Ottenuto «il beneplacito dei morti», senza dirlo alle madri, i due adolescenti partono per affrontare un percorso che si è già visto in tanti film, da «Lamerica» a «Tolo tolo», ma mai così. Garrone evita la cronaca, toglie il superfluo e si concentra sul percorso pericoloso di due ragazzi che inseguono un sogno altrove. Il titolo «Io capitano» si chiarisce al termine della visione e illustra bene la parabola del protagonista, in cui non mancano gli incubi, i miraggi e le magie: la traversata del deserto è un capolavoro e pure l’ultima parte è meravigliosa, sostenute da una colonna sonora perfetta.
Dopo le prime giornate, marcate come previsto dallo sciopero degli attori americani, sono emersi titoli importanti
La potenza del cinema emerge pure in «La bête – The Beast» del francese Bertrand Bonello con una al solito bravissima Léa Seydoux. Un film un po’ debitore da David Lynch, che forse pecca di eccessiva lunghezza e qualche compiacimento, ma è visionario e ardito. Il regista accosta due storie interpretate dagli stessi interpreti (l’altro è George MacKay), in due momenti diversi: una Parigi allagata nel 2044 e una Los Angeles investita da una scossa di terremoto nel 2014. Amore, arte, ansia per quel che può accadere, intelligenza artificiale e cambiamenti della società, tra paura e fascinazione.
Dal Giappone il thriller sottile e inquietante «Evil does not exist» di Hamaguchi Ryusuke (rivelatosi a Locarno nel 2015 con «Happy Hour» e affermatosi con «Drive My Car») sugli impatti negativi del turismo. In una località di montagna, le persone prendono acqua alle sorgenti nella foresta e una bambina impara a conoscere gli alberi, ma una società di comunicazione ha un progetto di investimenti per incassare i sussidi per il Covid e non intende tener conto delle esigenze locali. Un film lontano dall’eleganza del precedente, fatto di piccole cose, di misteri e di difesa di quel poco di incontaminato che è rimasto.
Sempre in gara, buoni i tre film biografici americani «Ferrari» di Michael Mann con Adam Driver nel ruolo di Enzo Ferrari, «Maestro» di e con Bradley Cooper su Leonard Bernstein e «Priscilla» di Sofia Coppola, ritratto smussato e quasi senza contrasti di Priscilla Presley cresciuta nel cono d’ombra, protettivo fino a un certo punto, del grande Elvis.
Nella sezione fuori concorso, in chiave di commedia, è arrivato il meglio della Mostra chiusasi sabato. Merito soprattutto dell’irresistibile commedia gialla sentimentale «Hit Man» di Richard Linklater. Linklater che tra la «Trilogia dell’alba», «Boyhood» e tanti altri ha costruito una filmografia impeccabile, ha superato il pur ottimo Woody Allen di «Coup de Chance» sul suo terreno. Gary è un anonimo professore di filosofia a New Orleans e un bravo informatico che collabora come infiltrato di polizia. Un giorno sostituisce un collega dal compito delicato: fingersi sicario e, per prevenire gli omicidi, incontrare i potenziali mandanti per incastrarli. Sorprendentemente efficace alla prima uscita, è confermato e, presentandosi come un assassino di nome Ron, incontra la bellissima Madison, che vorrebbe far uccidere il marito, e riesce a dissuaderla. Quando i due si incontrano tempo dopo, iniziano una relazione sentimentale, senza che l’uomo riveli la propria identità. Gli eventi accelerano in un crescendo irresistibile di colpi di scena, dialoghi esilaranti, protagonisti eccellenti come la rivelazione Adria Arjona e Glen Powell e scene memorabili. Oltre a trovare l’amore, si tratta di individuare i veri sé stessi.
Temi che tornano, oltre agli immancabili capricci del caso, nel film di Woody Allen, che azzecca una trovata degna di «Match Point». Siamo a Parigi e l’incantevole Fanny Moreau (un nome che è tutto un programma), che lavora in una galleria d’arte, si imbatte nello scrittore Alain conosciuto ai tempi del liceo. Nonostante il matrimonio di lei, anche qui nasce un rapporto finché prevale la gelosia, ma «la vita è un miracolo».
Ospiti bislacchi, un crescendo di disastri e fuochi d’artificio sono gli ingredienti della commedia ritmata «The Palace» del novantenne Roman Polanski. È il capodanno del 2000 in un hotel di lusso a Gstaad e niente andrà come previsto: tra «Vacanze di Natale», «Hollywood Party» e «Triangle of Sadness» ci si diverte assai.