(Keystone)

Quando riprenderà a scorrere la linfa vitale?

by Claudia

Per una trentina di secondi la sera dell’8 settembre la terra ha tremato nel Marocco attorno a Marrakech, la più maestosa fra le città imperiali che la storia ha allineato nel cuore del Paese. Un’intensità paurosa, più di sette gradi Richter. Trenta secondi e un mondo è crollato, uno stesso crudele destino si è accanito contro i celebri monumenti civili e religiosi e i poveri villaggi delle montagne circostanti fatti di materiali polverizzati dalla scossa. Cifre incerte e drammaticamente protese verso l’alto nel computo delle vittime: 2500, 3000 (settimana scorsa), chissà quante alla fine. Migliaia di sopravvissuti faticosamente estratti dalle rovine assieme ai resti di quelli che non ce l’hanno fatta. E una folla di turisti strappati all’incanto di un luogo carico di storia e di cultura. Mentre le squadre di soccorso frugano nel disastro per salvare i salvabili si delinea l’oscura prospettiva di un futuro enigmatico: ci si chiede quando riprenderà a scorrere la linfa vitale fin qui alimentata da quel patrimonio d’arte e di civiltà. Quello che può considerarsi uno fra i terremoti più disastrosi consegnati alla storia ha colpito un Paese che nel contesto febbricitante dell’Africa settentrionale cerca di mostrare al mondo una relativa stabilità. È retto da una delle più antiche fra le monarchie superstiti, da circa cinque secoli siede sul trono la dinastia alawide che vanta una diretta discendenza dal Profeta. Il sovrano è strettamente connesso con il potere religioso, non a caso porta il titolo di Comandante dei credenti. Questa posizione è insidiata dal radicalismo islamico che serpeggia anche in Marocco, nonostante la versione liberaleggiante e moderna della tradizione musulmana che prevale nel Paese grazie al sufismo.

L’esperienza coloniale ha per così dire soltanto sfiorato il Marocco, è stata quasi un incidente di percorso lungo la sua storia pluricentenaria. Accadde nella prima metà del Novecento, quando l’antico sultanato arabo e berbero conteso dalle potenze europee ebbe per alcuni decenni lo status di protettorato francese. Reciso quel legame, incompatibile con un orgoglio nazionale fondato su secoli di storia, il Marocco si è liberato nel 1956 da ogni limite alla piena indipendenza e ha ripreso fra mille difficoltà il suo cammino di Stato sovrano. Tre anni prima l’ultimo sultano Mohamed V, dopo aver subito l’esilio in Madagascar per avere incoraggiato l’Istiqlal (Partito dell’indipendenza, che intendeva anticipare i tempi verso la transizione alla piena sovranità) era tornato sul trono assumendo il titolo di re, poi trasmesso al figlio Hassan II e al nipote attualmente in carica, Mohamed VI. Entrambi attenti alle pulsioni verso la modernità ben presenti nella società marocchina, ma anche sfidati da una persistente crisi economica e sociale. Le restrizioni imposte dal Fondo monetario per garantire gli aiuti al dissestato bilancio statale portarono a sollevazioni popolari duramente represse. Negli anni di Hassan II il Marocco era un Paese irto di contraddizioni. Dominava a corte il generale Mohamed Oufkir, braccio destro del re e per un certo periodo ministro dell’Interno e della Difesa. Era solito usare con estrema disinvoltura i suoi estesi poteri. Oufkir è l’uomo che probabilmente fu all’origine della misteriosa scomparsa a Parigi del politico dissidente Mehdi Ben Barka. È l’uomo che si mise in testa di abbattere l’aereo che trasportava il leader libico Gheddafi, ma fu proprio un ordine del re a dissuaderlo dall’impresa. Alla fine tradì il suo sovrano facendo sparare sul suo aereo. Finì con un plateale suicidio nel palazzo reale di Rabat, dopo aver tentato invano di farsi ricevere dalla sua vittima designata.

Al momento della successione al trono l’attuale re Mohamed V ereditò dal padre Hassan un Paese ai ferri corti con l’Algeria. Oggetto del contendere, al di là del fossato ideologico, il fatto che Algeri sosteneva il Fronte Polisario contro le mire marocchine sul Sahara occidentale ricchissimo di fosfati. Ancora oggi un muro fortificato e invalicabile, la più lunga fra le barriere che oltre trent’anni dopo la riunificazione di Berlino continuano a sfigurare il mondo, separa i territori contesi del Sahara. La rivalità fra le due massime potenze del Maghreb si riflette anche sulle cronache successive al disastroso terremoto. All’offerta di soccorsi proveniente da Algeri, il Governo marocchino non ha risposto, limitandosi in una prima fase ad accettare i soli aiuti provenienti dal Regno Unito, dalla Spagna, dal Qatar e dagli Emirati Arabi Uniti. Anche la disponibilità manifestata da Parigi, che era pronta a inviare uomini e materiali per affiancare i soccorsi nelle aree terremotate, è caduta in un imbarazzante vuoto diplomatico. Intanto l’Africa arabo-berbera piange altre vittime di disastri naturali: mentre si scava fra le macerie di Marrakech arrivano dalla Libia notizie di morte per una volta slegate dalla guerra civile che imperversa nel Paese: una inconsueta tempesta tropicale, che una volta ancora chiama in causa la degenerazione climatica, ha fatto crollare due dighe a monte di Derna. La Libia desertica e assetata travolta dalle acque! Il bilancio è incerto: si parla di decine di migliaia di persone uccise dall’inondazione.

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