Adrenalina - Appesi come ragni ai massi. A volte pure a testa in giù. E senza nemmeno quella rete di sicurezza costituta dalla corda agganciata al moschettone
Nel bouldering, a parare l’eventuale caduta è un «semplice» materasso. O, nella migliore delle ipotesi – e quando la complessità del «problema» da risolvere (perché è così che tecnicamente vengono definiti i macigni da «domare» in questo sport) supera un certo coefficiente di difficoltà – uno «spotter» pronto a entrare in azione quando una presa viene meno.
Per il resto, come detto, i boulderisti gran parte del loro tempo lo trascorrono… appesi al macigno. Nato negli anni Settanta oltre Manica (non a caso gran parte dei suoi termini tecnici sono in inglese), il bouldering ha via via preso piede un po’ in tutto il mondo. Anche alle nostre latitudini, al punto che proprio in Ticino vi sono alcune delle «mecche» di questo sport, in particolare a Brione Verzasca, Chironico e Cresciano, e, allargando il campo ai Grigioni, la regione di Ferrera. In palestra, invece, in Ticino lo si può praticare a Giubiasco (Alpha Boulder) e Taverne (Evolution Climbing Center).
La disciplina sportiva del bouldering è nata negli anni Settanta oltre Manica per poi diffondersi in tutto il mondo: a colloquio con l’esperto sud tirolese Jacopo Larcher
Ma che cos’è di preciso il bouldering, e come lo si pratica? Ad aprirci le porte di questa particolare attività, sorta di… fratello minore dell’arrampicata classica, è Jacopo Larcher. Lui, il bouldering lo conosce bene, avendolo praticato per parecchi anni ai massimi livelli, vincendo fra l’altro il titolo italiano nel 2010. Nelle montagne, in quella porzione di Alto Adige dove è più facile ritrovarsi un’imbracatura addosso che qualsiasi altro indumento sportivo, Jacopo ci è nato. «Ad… aprirmi la via è stato mio padre, grande amante della montagna. Così, a dieci anni mi sono ritrovato in palestra per un corso di arrampicata: a propormelo era appunto stato lui, senza peraltro tanta convinzione sul fatto che mi sarebbe piaciuto. Non a caso, prima di provare con l’arrampicata mi ero cimentato in una marea di altri sport, ma senza che scoccasse la vera scintilla di passione per questo o quello. Con l’arrampicata, invece, è stato diverso: è stato amore a prima vista. Quando nasci e cresci a Bolzano, la montagna in un modo o nell’altro te la porti dentro, e il corso ha portato alla luce la mia passione per questo sport, che fin da piccolo guardavo con trasporto».
Veniamo al bouldering: cos’è e cosa lo distingue dall’arrampicata classica? «È la disciplina che maggiormente si avvicina all’essenza più pura di questo sport, quella che riesce a mettere davvero in primo piano l’aspetto atletico di chi la pratica. E, soprattutto, non necessita di grandi attrezzature: bastano un paio di scarpette, un materasso per parare i colpi in caso di cadute e poco altro. Niente imbracatura, corda o moschettoni…». Ma è anche quella che richiede lo sforzo istantaneo maggiore: l’energia spesa da un arrampicatore classico per uno «strappo» di una ventina di metri è la medesima che necessita un boulderista per risolvere un «problema» di 7-8 metri, in un paio di minuti. «I passaggi sono molto più corti: in genere, per risolvere un «problema» sono sufficienti pochi movimenti (8-10), ma ben calcolati. Ne consegue anche una maggiore concentrazione di adrenalina che ti scorre nelle vene». Per essere un buon boulderista, serve più forza o più agilità?
«La giusta combinazione delle due cose. Ed è proprio questa caratteristica ad affascinarmi: la capacità di portare all’estremo il movimento, dove per la riuscita occorre trovare l’equilibrio perfetto tra agilità, coordinazione e tecnica. Senza dimenticare l’abilità di «leggere» il «problema»: più sei bravo a decifrarlo, prima trovi la chiave per risolverlo. Poi, però, devi anche avere i mezzi, ossia le doti fisiche, per venirne a capo…». E quali sono allora le caratteristiche fisiche imprescindibili per ambire a distinguersi in questo sport? «Di requisiti fondamentali non ve ne sono, anche se chiaramente chi ha una corporatura più esile parte leggermente avvantaggiato. Forza esplosiva e coordinazione, a ogni buon conto, sono qualità che non devono mai mancare».
È più pericoloso dell’arrampicata classica? «Non direi, anche se è vero che quando lo si pratica all’aperto, e dunque su sassi naturali, affrontando certi passaggi delicati magari situati un po’ in quota, il rischio di farsi male effettivamente c’è. Ma questo vale anche per l’arrampicata classica: sotto questo aspetto, adottando tutti gli accorgimenti necessari in materia di sicurezza, bouldering e arrampicata classica si equivalgono. Poi, quando si raggiungono certe quote, in particolare affrontando massi particolarmente alti (detti anche «highball»), il bouldering si avvicina quasi di più all’arrampicata libera, senza corda, alzando sensibilmente il tasso di rischio».
Cosa ha rappresentato per te il titolo vinto nel 2010? «Usando una metafora, direi che è stato come risolvere un «problema» del bouldering: ho trovato la mia via d’uscita. Alle gare ci sono approdato da giovanissimo, un po’ perché cercavo compagni con cui condividere questa mia passione, visto che spesse volte in palestra mi ritrovavo da solo, non essendoci molti coetanei dediti all’arrampicata. Dopo anni di competizioni avevo bisogno di prendermi un timeout, in modo da poter vivere la mia passione per l’arrampicata nel modo più naturale possibile. Il titolo ha facilitato la mia scelta: a Modena, dove è andata in scena la competizione, è come se il cerchio si fosse chiuso…».
Da un amore per la montagna a un amore… sbocciato in montagna, visto che proprio la passione comune per il bouldering ha fatto sì che tra Jacopo e Barbara Zangerl, altro nome assai noto nel mondo dell’arrampicata, scoccasse la scintilla affettiva: «Ci siamo conosciuti al Melloblocco, un evento di bouldering in Val Masino. Ora spesso arrampichiamo assieme: trovarti in parete con il tuo partner anche nella vita con… i piedi a terra facilita molte cose. A volte ci intendiamo anche senza troppe parole. Ma a casa no, non parliamo solo di rocce: per fortuna riusciamo anche a staccare».