A guardar bene anche la nostra democrazia diretta ha avuto la sua «prima volta». E da allora sono trascorsi ben 175 anni. In quell’occasione, era il 12 settembre del 1848, si trattava di votare sulla prima Costituzione federale, testo che avrebbe sancito la nascita di quella che oggi chiamiamo la Svizzera moderna. Fu una votazione popolare ben diversa da quelle che conosciamo oggi. A cominciare dal fatto che le donne non poterono esprimersi, si dovette per questo aspettare un bel po’ di tempo, fino al 1971. Ma ci furono anche altre singolarità, anche perché nel nostro Paese c’erano ancora da ricucire le ferite lasciate dalla guerra civile del Sonderbund, che si era combattuta nel novembre del 1847. Quella prima chiamata alle urne non fu organizzata in tutti i 22 Cantoni elvetici di allora, solo 16 di loro lo fecero. Lucerna era tra i Cantoni usciti sconfitti da quell’ultimo conflitto combattuto su suolo svizzero e nel giorno di quella prima votazione popolare non mancò certo di originalità. Per poter approvare l’atto di nascita del nostro Paese, al voto dei favorevoli venne aggiunto anche il numero di chi aveva scelto di astenersi. Nel Canton Friburgo votò solo il Gran Consiglio, nei Grigioni ci si affidò a dei comitati speciali, i cittadini non furono chiamati alle urne. Si votò in giorni diversi. In Ticino si andò alle urne il 3 settembre e il 68% dei cittadini di allora si schierò contro la Costituzione, un «no» minoritario a livello nazionale. Glarona fu uno dei Cantoni che convocò una Landsgemeinde, con un risultato decisamente insindacabile: il 100% dei presenti si disse favorevole alla nuova «Magna charta». Si potrebbe pensare che nessuno osò alzare il proprio braccio per dire di no.
La Svizzera democratica e federale che conosciamo oggi nacque così. Forse è bene ricordarlo, soprattutto in un anno elettorale come questo: la democrazia va vista come un cammino, un susseguirsi di continui affinamenti. Basti ricordare che nel 1874 venne poi introdotto il diritto al referendum e che dal 1891 venne aggiunta anche l’opzione dell’iniziativa popolare. I due pilastri della nostra democrazia semi-diretta. Tornando a quel 1848 va detto che in quell’autunno si svolsero anche le prime elezioni federali. C’erano da scegliere i deputati del nuovo Parlamento, che poi nominarono anche i primi sette membri del Consiglio federale. Una doppia elezione che avvenne tra il mese di ottobre e di novembre di quell’anno, con poche settimane di tempo per dar vita alla prima campagna elettorale del nostro Paese. Senza contare che contemporaneamente c’era anche da dar forma all’Amministrazione federale, con i suoi sette dipartimenti, lo stesso numero di oggi. Pochi ci pensano, ma in quel 1848 si andò davvero di corsa, trovando spazi, uffici e sale di riunione in diversi edifici del centro storico di Berna. Palazzo federale andava ancora costruito, verrà inaugurato soltanto nel 1902.
Tra gli eletti di allora vi fu anche Stefano Franscini, di Bodio, il primo consigliere federale italofono, padre della scuola pubblica in Ticino. In Governo a Berna si impegnò, tra l’altro, per la fondazione del Politecnico federale di Zurigo e dell’Ufficio federale di statistica. E a proposito di numeri chissà cosa potrebbe pensare Franscini guardando alle elezioni federali di quest’anno. Una corsa verso Berna che sta battendo tutti i primati, statisticamente parlando. Saranno quasi 6000 i candidati che ambiscono ad uno dei 246 posti della Camere federali. Quattro anni fa erano 4660, già allora una cifra da record. Ma a moltiplicarsi è anche il numero di liste e congiunzioni. In Ticino le liste sono ben 33, comprese le sotto-liste. A quella del partito principale si possono aggiungere a volontà altre squadre, con l’intento di accrescere la propria visibilità e quindi anche il numero di voti incassati dal partito principale. Il Centro, per esempio, presenta la lista Più voce ai pensionati. I Verdi e il Forum alternativo, rimanendo nella stessa fascia di età, fanno scendere in campo I Sempreverdi, mentre l’Udc gioca anche la carta degli Agrari. Il Plr lancia anche una lista tematica, chiamata Libertà, energia e ambiente. Nel Canton Berna dove le liste sono 39. Pure qui si dà spazio ai pensionati, con una lista del Centro chiamata Best agers, in inglese, per buona pace delle nostre lingue nazionali. I Verdi liberali dal canto loro presentano la lista Creative e Creativi mentre gli evangelici schierano anche le Kmu, sigla che sta per piccole e medie imprese. Nel Canton Zurigo, ultima tappa di nostro questo piccolo giro elettorale della Svizzera, le liste sono ben 44. Diversi partiti fanno leva anche sui cosiddetti secondos, cittadini naturalizzati di seconda generazione. Per la prima volta anche l’Udc presenta una lista di questo tipo. A sinistra si guarda invece anche alle minoranze sessuali, con liste composte pure da persone queer ed esplicitamente denominate in questo modo. C’è anche una lista dei sans-papiers e pure una degli imprenditori etici. Insomma il cammino democratico del nostro Paese è arrivato anche a questo, con sfoggio di una certa fantasia nel tentativo di contendersi un po’ di gloria federale. Tutto regolare e tutto nel rispetto delle norme in materia.
Tra poche settimane noi cittadini riceveremo le buste con il materiale elettorale e di sicuro saranno molto voluminose. Nel consultarle dovremo dar prova di pazienza, con un triplo effetto possibile: ci sarà chi se le guarderà per bene, chi si limiterà alle liste dei principali partiti e chi invece farà di questo malloppo una delle tante possibili scuse per non recarsi alle urne il prossimo 22 di ottobre. Inutile negarlo, questo rischio c’è. Nel 175esimo anniversario della prima Costituzione della Svizzera moderna, c’è però anche una novità di peso nella corsa verso Palazzo federale. Da quest’anno i candidati e i loro partiti dovranno dar prova di trasparenza e dichiarare l’origine dei fondi con i quali hanno finanziato la loro campagna elettorale. E questo nel rispetto di una nuova normativa varata dal Parlamento nel 2021. Le cifre relative a questi finanziamenti saranno pubblicate sul sito del Controllo federale delle finanze, che vigila sui conti della Confederazione. Un esercizio non sempre facile visto che le campagne dei partiti e dei candidati a volte si sovrappongono e risulta complicato definire con precisione gli importi spesi dagli uni e dagli altri. Senza contare che ogni partito ha una sede centrale a livello nazionale e poi diverse sezioni cantonali, con contabilità separate. Nei vari segretariati di partito c’è chi teme «forti mal di testa» nel far di conto. In ogni caso queste saranno le elezioni federali più trasparenti della nostra storia. Sì, la democrazia è davvero un processo sempre in cammino.