L’amore nato a Istanbul sulle danze dervisce

Classe 1957, critica letteraria, giornalista e docente, nata a Karlsruhe, oggi di casa a Sent nei Grigioni, sabato 7 ottobre alle 16.00 Angelika Overath dialogherà con Flurina Badel, artista, autrice e mediatrice culturale, nell’ambito del Festival Lettere dalla Svizzera alla Valposchiavo. In programma dal 5 all’8 ottobre, il Festival sarà l’occasione per la scrittrice tedesca che ama le coste della Grecia e in particolare il mare di Salonicco per parlare di Un inverno a Istanbul, romanzo uscito in italiano per Dadò con la traduzione di Laura Bortot.

«Si tratta del primo volume di una trilogia – racconta l’autrice conosciuta per il suo bestseller Alle Farben des Schnees (Tutti i colori della neve) – che si sviluppa tra Istanbul, Coira e il viaggio in mezzo per raggiungerle». In tedesco è già uscito il secondo volume Unschärfen der Liebe (Imprecisioni dell’amore) in cui continua la storia d’amore tra Cla – insegnante grigionese e il cameriere turco Baran in un viaggio attraverso i Balcani. Se l’autrice vi incuriosisce, in italiano sono già usciti Giorni vicini (Keller, 2012), Pesci d’aeroporto (Keller, 2013).

In Un inverno a Istanbul non solo vediamo, visualizziamo la città, ma la respiriamo a pieni polmoni in tutte le sue sfaccettature, vicoli e colori che sfavillano e si alternano sul Bosforo, specchio per i gabbiani che volano dispettosi e divertiti.

«Quanto grandi erano i gabbiani…Come uccelli predatori allungavano i becchi ricurvi, mentre le piume sfumate di grigio delle ali tese rimanevano quiete. Veleggiavano quasi a rallentare il tempo. Cla seguì con lo sguardo il dorso di quel fluttuare. Si trovava al quarto, quinto piano o sesto piano di un ristorante la cui sola vista delle vetrate era di per sé nutrimento per gli occhi. Il Corno d’Oro, il Bosforo e uno scorcio del Mar di Marmara. Anche Eminönü sulla punta dove confluivano tre vie d’acqua. Gli albori di Bisanzio. Il cuore dell’antica Costantinopoli».

Nel romanzo di Angelika Overath l’aria mistica dell’Oriente danza con la modernità dell’Occidente senza che una delle due perda la sua peculiarità, la sua essenza.

Vien da chiederle come faccia a conoscere così bene Istanbul. «Grazie a una borsa di studio sono stata dieci mesi all’Accademia culturale di Tarabya ma ci torno sempre di tanto in tanto. Vado a trovare una cara amica, una storica dell’arte con la quale ho tradotto delle poesie d’amore dal turco».

Già l’amore, tutto gira intorno all’amore, quello distante per Alva, insegnante di educazione fisica e di romancio alla scuola Cantonale di Coira – che ha promesso di venirlo a trovare – e quello magico, inaspettato per il cameriere Baran. Lui, Cla, il protagonista, è professore di tedesco, religione ed etica in un liceo internazionale in Engadina. è a Istanbul presso il collegio di Tabaya grazie a una borsa di studio.

Tra incontri e sguardi fugaci l’intenistà della storia raggiunge il picco quando Cla e Baran vivono insieme un’esperienza mistica, un passaggio iniziatico, preludio della loro prima notte d’amore. Baran lo conduce a Karagümrük il più antico quartiere ottomano della città: «Cla era ancora in quella sala, ammaliato dai dervisci rotanti (come nella foto), dall’estasi controllata di quegli uomini in bilico sulla loro esperienza con Dio. Tutto gli era apparso cosi straniante, eppure lo aveva rapito».

Racconta Angelika Overath che «nel cuore di Istanbul esiste ancora il vecchio monastero della confraternita dei dervisci rotanti anche se oggi è un museo. Qui si possono ancora ammirare le danze tradizionali originali».

A tratti, in particolare nelle descrizioni, la mano dell’autrice è poetica e attenta ai dettagli, alle minuzie d’atmosfera «La tazza era una fantasia di tulipani intorno a un cuore nero. Simile a una pralina di cioccolato. Sul piattino, a sublimare la delizia di quella visione, un cubetto di melassa con frammenti di pistacchio, un bocconcino rosa e verde tiglio ricoperto di zucchero».

Il tempo è l’altro elemento determinante, la scrittrice nei suoi romanzi ama dilatare, rallentare i tempi come ci dice anche questo passaggio: «Le chiese bizantine, le mura di terra e le mura di mare, le fortezze, le case mercantili, i conventi sufi abbandonati. Anche gli spazi che non dovevano nulla alla mano dell’uomo, le colline, le acque, i cieli sopra le acque. Spazio e tempo erano in conflitto. Nell’epoca dell’accelerazione il tempo si aggiudicava la vittoria. Ma il passato era realmente passato? Mari, rive, nuvole, o la luce del Bosforo, non raccontavano ancora, al di là del trascorrere e dello sfiorire del tempo, come fossero una volta quei luoghi? Seicento anni sono un lungo tratto di storia. E un batter di ciglia».

«Con l’idea di una lettura lenta voglio portare il lettore a prestare attenzione ai dettagli – sottolinea Angelika Overath – a renderlo più consapevole». .

A tenere insieme tutto, la trilogia, la storia d’amore di Cla e Baran con Istabul sullo sfondo, il viaggio da Coira sul Bosforo e ritorno è il sentimento di tolleranza e gratitudine. Sullo sfondo compaiono anche le questioni più critiche che riguardano la Turchia, ad esempio l’attacco del regime ai giornalisti indipendenti. «Ne faccio un accenno perché è giusto farlo, non si può tacere. D’altro canto i miei libri sono testi silenziosi nei quali parlo anche di politica, esprimo la mia posizione ma senza clamore. Sono attenta alle questioni del nostro tempo e sto sempre dalla parte dei perdenti».

Se volete saperne di più non vi resta che andare al Festival, si inizia questo giovedi alle 17.30 con l’inaugurazione della mostra personale di Frédéric Pajak alla Galleria Pgi.

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