Tre categorie di cittadini davanti alle casse malati

Il salasso è di quelli da primato, val così la pena di iniziare con un pizzico di leggerezza e con un ipotetico trasferimento ad Appenzello Interno. Potrebbe essere questo uno dei rimedi contro la «stangata» dei premi di cassa malati per l’anno prossimo. In questo piccolo semi-cantone della Svizzera orientale il premio medio per una persona adulta ammonterà l’anno prossimo a 295 franchi al mese, il più conveniente di tutta la Svizzera, oltre 200 franchi in meno rispetto a quanto si pagherà in Ticino. Seppur non priva di fascino, l’opzione appenzellese appare però poco praticabile, e così tra gli antidoti antistangata rimane pure sempre un altro tipo di trasferimento, quello in una nuova cassa malati. Nel nostro Paese ce n’è pur sempre una quarantina, in attesa, chissà, di una cassa malati unica e pubblica, un’opzione su cui in questi anni il popolo si è comunque già espresso due volte, in modo negativo.

Quest’anno però ci viene anche detto che questa migrazione autunnale – c’è tempo fino al 30 novembre per portarla a termine – causa pure una serie di costi amministrativi che le casse non riescono più ad assorbire e che vengono poi fatti ricadere sugli assicurati. Per rimediare a questa nuova impennata, altro rimedio noto da tempo, c’è anche l’opzione della franchigia. Un’analisi di Santésuisse, una delle due organizzazioni mantello degli assicuratori malattia, ha rilevato che ben il 35% della popolazione elvetica ha ormai scelto la franchigia massima di 2500 franchi. In altri termini i cittadini svizzeri sono ormai divisi in tre categorie: quelli che possono permettersi la franchigia minima di 300 franchi e la libera scelta del medico, chi è passato a una franchigia più elevata e ha optato per modelli di cura alternativi, come il medico di famiglia o la telemedicina, e infine chi riesce a pagare i premi e ad avere accesso alle cure ma solo grazie ai sussidi pubblici. In quest’ultima categoria troviamo ben il 30% della popolazione ticinese. Non è (ancora) una medicina a tre velocità ma di certo quanto sta capitando non era tra gli obiettivi di chi negli anni ’90 aveva ideato la Lamal, la legge federale sull’assicurazione malattia. Una normativa dapprima impostata dall’allora consigliere federale ticinese Flavio Cotti e poi portata a compimento da Ruth Dreifuss, che aveva ereditato dal ministro ticinese il Dipartimento dell’interno e il ruolo di ministra della sanità. La nuova legge fu approvata di misura a livello popolare con il 51,8 di voti favorevoli, in Ticino il sostegno delle urne andò ben oltre, e raggiunse il 66%. La Lamal entrò in vigore nel 1996, con la consapevolezza che fosse incompleta nonostante introducesse per la prima volta alcuni principi ritenuti fondamentali: quello della copertura medica garantita a tutta la popolazione e quello della solidarietà, le persone sane pagano anche per quelle che hanno bisogno di cure.

C’erano però delle migliorie da apportare, e anche velocemente, anche per tenere a bada gli appetiti dei diversi settori che ruotano attorno alla sanità elvetica. Basti pensare ad esempio ai costi dei medicinali, nel nostro Paese molto più elevati rispetto all’estero. Ma proprio questo è stato finora il tallone d’Achille del sistema, la sua incapacità di riformarsi e di trovare soluzioni per frenare l’incremento dei costi. Non per nulla in una recente intervista a «Le Matin Dimanche» la stessa Ruth Dreifuss ha ricordato che «da trent’anni stiamo facendo delle raffazzonature. Lo Stato ha poche possibilità di intervenire e così i diversi interessi in gioco si annullano a vicenda. Non c’è un pilota in questo aereo, o meglio ce ne sono troppi e ognuno vuole andare in una direzione diversa. Si può dire che questo velivolo non vola molto dritto». E visto che si tratta di gestire una spesa sanitaria di circa 90 miliardi all’anno, di cui una trentina coperti dell’assicurazione malattia, la constatazione dell’ex ministra è tutt’altro che rallegrante.

Lo si vede anche dalle cifre previste per il 2024, con un aumento medio dei premi pari all’8,7% a livello nazionale e del 10,5% per quanto riguarda il Ticino, cantone che negli ultimi due anni deve fare i conti con un incremento complessivo del 20% circa, un primato svizzero di cui la popolazione ticinese avrebbe fatto volentieri a meno. Alla fine dell’anno Alain Berset lascerà il Governo dopo dodici anni alla guida del Dipartimento federale dell’interno, la cabina di regia della sanità elvetica. Per lui è tempo di bilanci, davanti alla stampa si è detto sicuro di aver fatto tutto il possibile per contenere i costi, citando per esempio alcune misure che hanno permesso di risparmiare un miliardo di franchi ogni anno sui prezzi dei medicamenti.

«La competenza sanitaria però – ha ricordato Berset – è nelle mani dei cantoni, le possibilità d’azione del Consiglio federale sono limitate». Va pure detto che tra il 2019 e il 2022 gli aumenti annuali dei premi sono stati contenuti, anche facendo leva sulle riserve delle casse malati. Uno strumento che non può più essere utilizzato, visto che in alcuni casi le riserve sono ora ben inferiori al limite legale. Per i suoi detrattori invece Berset non ha fatto abbastanza in questi dodici anni. Lui, il Governo e il Parlamento hanno proceduto a revisioni di portata limitata e così «il sistema è arrivato al suo limite estremo, occorre una riforma totale», come ha affermato la settimana scorsa Raffaele De Rosa, il ministro della sanità ticinese.

Facile a dirsi, molto più complesso a farsi. Tra i tanti cantieri aperti prendiamo quello degli ospedali. Nel nostro Paese ce ne sono all’incirca 280, un numero troppo elevato a detta di molti specialisti del settore, anche perché almeno il 30% di queste strutture è circondato dai debiti. Non per nulla proprio giovedì scorso San Gallo ha annunciato il licenziamento di ben 440 dipendenti dei quattro ospedali pubblici del cantone, con l’obiettivo di risparmiare 60 milioni all’anno. Ma come ridurre il numero degli ospedali? Come portare a termine una pianificazione capace di superare eventuali votazioni popolari? Spetterebbe ai cantoni farlo, Ticino compreso, ma in questo ambito finora si è mosso ben poco.

In ogni caso dal primo gennaio il nostro Paese avrà un nuovo o una nuova ministra della sanità, con il compito di ridare una rotta all’aereo di cui parlava Ruth Dreifuss. I nodi da sciogliere sono davvero parecchi: più generici e medicinali meno cari; una cassa malati unica; premi calcolati in base al reddito e non più uguali per tutti; l’eventuale riduzione delle prestazioni mediche rimborsate; modelli assicurativi a più velocità; la numerosa presenza dei lobbisti sanitari a Palazzo federale e diverse iniziative popolari da affrontare… La scrivania del neo-ministro o neo-ministra è già sommersa ancora prima di cominciare. Difficile al momento immaginare chi potrà essere il successore di Berset e anche capire se tra i ministri in carica ci possa essere qualcuno pronto a raccogliere questa pesante eredità, chissà magari sarà il turno di Ignazio Cassis, che è pur sempre medico di formazione. Le parole di Berset su questo punto ci fanno comunque capire che in questo ruolo ci vuole una certa predisposizione al sacrificio, «quella del ministro della sanità non è di certo una carica ambita». Avanti il prossimo, poi si vedrà… Chi prenderà il posto di Berset dovrà gestire la scomoda poltrona di ministro della sanità e cercare una soluzione anche al problema dei premi eccessivi delle casse malati.

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