«Insomma, che il lavoro nobilita l’uomo, rimane una gran verità». Lo dice sorridendo Alessandro Lucchini, responsabile del settore disoccupazione del Soccorso operaio svizzero (SOS) del Ticino, forse perché si tratta di un detto ormai un po’ desueto. È attribuito al grande naturalista Charles Darwin, risale quindi all’Ottocento e ha un padre nobile.
Qui, a Rivera, dove hanno sede due atelier riservati ai programmi occupazionali gestiti dal SOS, si fa riferimento ai disoccupati che aspettano di potersi reintegrare nel mondo del lavoro. «Prima di addentrarmi nel settore, – ci dice il giovane direttore – potevo avere dei dubbi sui programmi occupazionali. Chissà che attività fanno, forse sono inutili, o perfino una perdita di tempo. Lo pensavo io e lo pensa forse anche la popolazione, c’è un po’ questa idea che i disoccupati fanno scatolette di cartone inutili, solo per far passare il tempo. In realtà ho visto come le mansioni pratiche, se si concentrano su attività utili, organizzate come nel mercato del lavoro e che permettono a chi le svolge di entrare in contatto con aziende del territorio e con la clientela, danno senso di responsabilità e autostima che permettono di andare alla ricerca del lavoro con altro spirito e con più motivazione. Non è una perdita di tempo, anzi: è quello che serve per rafforzare la persona. L’attività pratica è un mezzo, non un fine. È una cosa che bisogna vedere da vicino per capirne l’importanza e l’utilità».
Tre atelier, tre mesi, un unico scopo
Il SOS Ticino propone tre programmi occupazionali. Ri-ciclette, che ha una tradizione pluridecennale, dà nuova vita a biciclette usate, famose quelle decorate con i colori del Pardo del Locarno Film Festival, ma tante altre, per adulti o per bambini, vengono messe a nuovo e rivendute. Quelle meno belle, ma ancora utili, sono spedite in Africa. Ri-taglio è un atelier che si occupa di attività di sartoria dove si fanno rinascere capi di abbigliamento che poi vengono venduti in negozio a Giubiasco. Ri-sostegno impegna i disoccupati nello sgombero di appartamenti, solai e cantine, riciclando gli oggetti ancora funzionanti. A Rivera c’è un grande magazzino, aperto al pubblico, in cui si trova e si può comperare di tutto, dai bicchieri di cristallo delle nonne ai mobili più disparati, dagli impianti stereo vintage ai giocattoli: c’è anche uno zaino militare di pelo di cavallo risalente alla seconda guerra mondiale.
«Noi lavoriamo anche con il sussidio dell’Ufficio misure attive del Canton Ticino. – spiega Alessandro Lucchini – I partecipanti sono persone in disoccupazione iscritte agli Uffici regionali di collocamento. Il consulente dell’Ufficio, che gestisce diverse decine di persone in cerca di lavoro, iscrive il disoccupato ai nostri programmi. Il partecipante rimane da noi per un massimo di tre mesi e in questo periodo si svolge il programma occupazionale che è strutturato su due piani: da una parte la pratica di lavoro nei tre atelier, che richiede un’attività giornaliera, e dall’altra il vero e proprio sostegno in vista del collocamento, con un aiuto personalizzato che prepara le strategie per la ricerca di un nuovo impiego. Il partecipante, assieme al nostro collaboratore, discute e valuta le sue competenze, rispetto alla sua formazione professionale e alle sue esperienze, e costruisce un piano di azione allo scopo di trovare un lavoro entro i tre mesi. Si affrontano i compiti amministrativi, come l’elaborazione dei dossier di candidatura o la preparazione di un curriculum vitae.
L’anno scorso, alla fine dei tre mesi, il 51% dei nostri partecipanti ha trovato lavoro e, a volte, il percorso dura anche meno».
Il risultato del reinserimento professionale dei programmi del SOS è più che significativo. In merito, il direttore del SOS Ticino Mario Amato non nasconde un certo orgoglio: «Ogni anno sempre più persone raggiungono questo importante traguardo all’interno delle nostre misure. Siamo molto soddisfatti perché è la dimostrazione che grande impegno, innovazione e sostegno mirato sono gli ingredienti giusti per sostenere al meglio la nostra utenza».
Il risultato del reinserimento professionale dei programmi del SOS è più che significativo. In merito, il direttore del SOS Ticino Mario Amato non nasconde un certo orgoglio: «Da notare che l’obiettivo posto dall’Ufficio delle misure attive fissa al 35% il tasso di collocamento e pertanto quello da noi raggiunto va molto oltre questo obiettivo minimo».
Chi non trova lavoro dopo i tre mesi ritorna a far capo all’Ufficio di collocamento, dove il consulente valuterà se ci sono altri percorsi possibili o altri programmi occupazionali. In alcuni casi, anche i programmi del SOS possono essere prolungati.
«Per i nostri atelier non sono necessarie una predisposizione o una formazione particolari, i lavori sono semplici, quindi i partecipanti possono avere esperienze molto diverse. Noi non poniamo nessun requisito d’entrata e quindi il nostro sostegno va a tutti, anche a chi è più debole e più in difficoltà».
In aumento chi ha più di 50 anni e i giovanissimi
Alessandro Lucchini è responsabile del settore disoccupazione del SOS da tre anni. Un ottimo punto di osservazione per valutare lo stato della disoccupazione in Ticino. Qual è il profilo di chi cerca lavoro e segue i vostri programmi? «L’età media nei tre atelier si situa attorno ai 43 anni. Più di un terzo, il 34%, ha più di 50 anni ed è un dato in crescita. Negli ultimi due anni l’età media è aumentata di due anni e mezzo. Circa il 20% ha meno di 30, altro dato in crescita. Aumenta il numero dei più anziani e dei giovanissimi. Alla fine dell’anno, nelle tre strutture, avremo seguito circa 700 persone. La metà sono donne. Buona parte di loro non ha una formazione professionale e la scolarizzazione è abbastanza bassa. Sono spesso persone che non hanno fatto esperienze lavorative continuative: magari hanno lavorato tre anni in un’azienda e poi un anno e mezzo in un’altra, cambiando settore. La maggioranza dei nostri partecipanti ha un profilo che denuncia una certa fragilità professionale. Gli svizzeri sono circa il 45%, la metà sono europei e solo il 5% proviene da Paesi extraeuropei».
Fa specie che, oltre agli ultracinquantenni, aumenti il numero dei disoccupati giovanissimi, cosa che preoccupa anche Angela Monhart, responsabile dell’atelier Ri-taglio di Giubiasco: «Negli ultimi due anni abbiamo riscontrato una forte crescita di giovani che stanno cercando lavoro da lungo tempo. Emergono spesso difficoltà di adattamento, scarsa costanza e poca resistenza a situazioni di stress. Oltre all’evidente inesperienza lavorativa data dall’età, a volte abbiamo riscontrato poco interesse nell’apprendere nuove competenze e ad aprirsi a nuove sfide lavorative, insicurezza e sfiducia di poter trovare lavoro in un mercato complicato».
Non c’è dubbio che il mercato del lavoro, oggi, sia sempre più difficile, soprattutto per le fasce più deboli della società. I dati ufficiali della Segreteria di stato per l’economia (SECO) indicano un tasso di disoccupazione del 2% in Svizzera. Sono dati indicativi, che si basano sul numero di persone iscritte agli Uffici di collocamento, quasi 90mila lo scorso mese. Ma il numero di chi cerca lavoro è maggiore, poco più di 152mila nella Confederazione in agosto.
Il tasso di disoccupazione piuttosto basso si ripercuote sull’attività del SOS? «Sì e no. Per un verso dovremmo avere una ricaduta, perché si tratta dei dati che fanno riferimento agli Uffici di collocamento ma, in effetti, le nostre misure sono sempre ben occupate, perché da una parte coloro che restano in disoccupazione sono i profili più fragili con cui noi principalmente entriamo in contatto, e dall’altra parte diversi consulenti degli Uffici di collocamento continuano ad affidarsi a noi, perché conoscono la qualità del servizio di sostegno che offriamo alle persone in disoccupazione. Quando comunichiamo di avere posti liberi riceviamo subito altre iscrizioni. Il consulente apprezza il lavoro che stiamo facendo, magari ha meno disoccupati in lista d’attesa, ma a noi continua a mandarne».
Il contatto con le aziende e con altre associazioni
Un altro punto chiave per reintegrare i disoccupati nel mondo del lavoro è il rapporto con le aziende. Il SOS cerca di sviluppare buone relazioni con le aziende attive sul territorio. Ci sono ditte amiche del SOS, spiega il direttore, con cui c’è un’ottima collaborazione, che permette di inserire i disoccupati oppure consente loro di seguire stage o prove di lavoro. I partecipanti ai corsi beneficiano di queste relazioni.
Abbiamo visto che i dati sui giovani disoccupati sono in crescita. La disoccupazione giovanile è un aspetto che deve preoccupare tutta la società. In questo campo Il Soccorso operaio svizzero si è attivato mettendo a punto un progetto di intervento particolare indirizzato ai giovani dai 18 ai 30 anni. Si tratta del programma Coaching Transfair 2 (CT2), anche in questo caso i risultati sono incoraggianti con un tasso di collocamento nel 2022 pari al 68%.
«Il nostro progetto CT2 è inserito nella rete associativa Check your chance. – precisa Lucchini – Si tratta di un’associazione nazionale che racchiude le varie organizzazioni che offrono servizi di prevenzione della disoccupazione. Ci siamo noi, e altre organizzazioni, ed è una misura promossa dalla SECO». In Ticino le associazioni coinvolte oltre al SOS sono: LIFT, Rock Your Life! Svizzera italiana, Young Enterprise Switzerland e le Fondazioni IPT e Pro Juventute, che collaborano per raggiungere nel lungo periodo una maggiore efficienza, massimizzando la quantità e la qualità delle soluzioni proposte ai giovani dai 13 ai 30 anni. Lo scopo è evitare che i giovani, una volta concluso un percorso presso un’organizzazione, escano dalla rete di sostegno. Inoltre, ci sono scambi di buone pratiche ed esperienze, atte a migliorare il servizio offerto da tutte le organizzazioni coinvolte. «La filosofia di questo lavoro coordinato si fonda sulla condivisione e non sulla concorrenza fra le associazioni, un bel risultato», dice Lucchini.
Prima di lasciare l’ufficio, l’atelier e l’officina di Rivera, un vecchio stabile industriale che in passato ospitava una tipografia, Alessandro Lucchini lancia un messaggio: «Ci tengo a sottolineare che tutta la nostra attività, realizzata assieme ai nostri partecipanti disoccupati, rientra in quella che si definisce economia circolare. Recuperiamo oggetti che potrebbero andar distrutti, dalle biciclette ai vestiti, dai mobili alle suppellettili, li aggiustiamo e li facciamo rinascere a nuova vita, per poi venderli nei nostri negozi a prezzi contenuti. Questo è un aspetto importante, che qualifica ulteriormente la nostra attività».