Tumore al seno, teniamo alta l’attenzione

by Claudia

Salute - Screening mammografico: il programma di prevenzione cantonale può suscitare timori ma permette la diagnosi precoce

Nel 2016 Anna (nome noto alla redazione) compie 50 anni. Fino ad allora, racconta, non aveva mai visto regolarmente un medico, e neppure il suo ginecologo se non per le tre gravidanze: «La spinta a fare la prima vera visita di controllo al seno l’ho avuta quando ho ricevuto la lettera del Programma cantonale di screening mammografico nel quale mi si invitava a prendere un appuntamento per una mammografia in uno dei centri specializzati». Vuole parlarne con noi: «Spero che il mio racconto possa essere da stimolo». E si rivolge alle donne che stanno leggendo: «Hai 50 anni? Hai fatto il controllo al seno?».

A partire dal 2015, per tutte le circa 50mila donne dai 50 ai 69 anni residenti, il canton Ticino ha introdotto la possibilità di sottoporsi a una mammografia di screening ogni due anni, con partecipazione volontaria. Un esame i cui costi sono in gran parte sostenuti dall’Assicurazione malattia di base e sono esenti da franchigia, risultando in tal modo completamente gratuito per la donna. D’altra parte, il suo elevato livello qualitativo nell’ambito del programma di screening trova piena raccomandazione presso la Federazione svizzera dei programmi di screening del cancro Swiss Cancer Screening, la Lega svizzera contro il cancro e l’OMS che concordano: «Rappresenta il metodo scientificamente più appropriato per l’individuazione precoce del tumore al seno».

Al Centro di senologia della Clinica Moncucco di Lugano incontriamo il senologo Francesco Meani: «La mammografia è uno strumento utile alla diagnosi precoce, sinonimo di prevenzione secondaria: dobbiamo chiarire che non si tratta di prevenzione primaria, la cui strategia ha lo scopo di evitare o ridurre la probabilità di ammalarsi; siamo invece nell’ambito della prevenzione secondaria, anch’essa strategica, che si attua con il diverso obiettivo di riuscire ad accorgersi prima possibile se, di fatto, ci si è ammalati».

In risposta ai vari dibattiti sullo screening mammografico, «seppur leciti», dice: «Se mi chiedessero: Francesco, se proprio ti devi ammalare di un tumore, preferisci scoprirlo di 5 millimetri con linfonodi sani, oppure di 3 centimetri con linfonodi malati?», tutti sceglierebbero la prima opzione. E lo specialista mette sul piatto della bilancia quella che definisce «una sorta di tabù, di scaramanzia» che spesso limita anche solo il pensiero di sottoporsi a un esame di screening, per timore di favorire in qualche modo la scoperta di un tumore: «Ottobre (ndr: “rosa” perché eletto a mese di prevenzione del tumore al seno) non deve essere il mese dello struzzo: comprendo che l’atteggiamento scaramantico, ancora oggi molto presente, sia un meccanismo innato di difesa: nego, non ci penso, non sto male, se non ci penso non mi succederà».

Dottor Meani: «È fondamentale ricordare che la diagnosi precoce salva la vita e spesso salva anche il seno»

Ma evitare i controlli può avere un prezzo, talvolta molto alto: «Una diagnosi precoce può salvare la vita, preserva molto di più il seno, comprende un percorso terapeutico meno invasivo e pesante». Le conferme giungono dal prosieguo del racconto di Anna: «Ho aderito all’invito dello screening e sono andata a fare la mammografia a cui è seguita l’ecografia. Poi, la scoperta del tumore, piccolo che palpandomi nemmeno sentivo, l’esame con l’ago (ndr: biopsia del tessuto) e la conferma: un tumore maligno sotto il centimetro di grandezza, non aggressivo e per il 98 per cento sensibile agli ormoni. Avevo allattato tutti e tre i miei figli, cosciente anche del fatto che l’allattamento mi avrebbe aiutata a non incontrare un tumore sulla mia strada, ma ognuno di noi è fatto diversamente e c’è sempre il fattore sfortuna. Invece, poi ho capito la mia fortuna di aver risposto alla chiamata dello screening: l’importante è riuscire a trovarlo nel momento giusto, all’insorgere, e questo si può fare solo attraverso i controlli».

Dal canto suo, il dottor Meani ribadisce: «È fondamentale ricordare che la diagnosi precoce salva la vita e spesso salva anche il seno», ricordando che: «Oggi non vale più solo l’equazione “più grosso è il tumore e più è difficile curarlo”, perché conosciamo le differenze di biologia dei tumori dove l’aggressività, a parità di dimensioni e stadio, può differire da donna a donna e dipende da molti fattori individuali come la salute generale, l’età, la familiarità, e via dicendo». Ne consegue che la scelta dei trattamenti e le probabilità di guarigione sono estremamente individuali e vanno presi a carico in modo personalizzato: «Dopo la diagnosi di un tumore al seno, la personalizzazione delle cure e l’ascolto della storia di ciascuna paziente sono due fattori imprescindibili nel rapporto che questa instaura con i propri curanti. Dico pure alle pazienti che non bisogna confrontare la propria situazione con quella di altre donne, perché ciascuna presenta fattori differenti e individuali, che possono modificare la situazione».

Al confronto fra ciascuna esperienza personale, spiega il nostro interlocutore, bisogna prediligere la scelta di un centro specializzato che: «Oltre al percorso terapeutico sappia offrire a ciascuna paziente quelle attenzioni e quel tempo di cui lei necessita, anche se non sempre è facile». Di fatto, egli sottolinea che: «L’impostazione della consultazione è parte imprescindibile dell’atto terapeutico: se fossi seduto io al posto della paziente, cosa vorrei mi fosse offerto? Se ciascuno di noi curanti si cimentasse in questo esercizio, ogni paziente si sentirà accolta adeguatamente. Senza dimenticare l’importanza di farsi comprendere con un’adeguata traduzione del linguaggio “medichese” che sia ben recepito dalla paziente».

Paziente che oscilla fra paure e razionalità, spiega Anna: «Il periodo che ricordo con più timore era quello in cui ero più preoccupata perché non sapevo, non conoscevo bene la situazione che poi il medico mi ha spiegato con cura e molto chiaramente: quando mi hanno detto che cosa era e mi hanno dato il suo nome e cognome, allora mi sono detta: va bene, anche io ho un nome e cognome e ora so chi è il mio nemico, combattiamo. E la battaglia l’ho vinta io!». Ribadisce l’importanza di «riuscire a trovarlo nel momento giusto, al suo insorgere, e questo si può fare solo attraverso i controlli come quello dello screening mammografico cantonale a cui ho aderito senza pensarci due volte. Ho trovato un tumore ancora davvero molto piccolo, mi è stata chiaramente spiegata la situazione, mi è stata proposta la terapia, mi sono sentita davvero seguita e ho trovato la forza. Alla fine la forza la trovi. E tutto questo mi ha salvato la vita».

Da questa esperienza Anna ha sentito il bisogno di testimoniare alle altre donne il proprio percorso, per incoraggiare e sostenere le donne ancora indecise sul fare gli esami per la prevenzione del tumore al seno: «Non dovrebbe essere un’opzione, dovrebbe essere un dovere verso noi stesse e verso i nostri famigliari che non vogliamo veder soffrire». Anna oggi è una splendida cinquantasettenne. Quando ha scoperto il tumore ne aveva 50: «È successo proprio all’inizio del mio percorso di prevenzione».

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