Cos’è la fotografia, come si è sviluppata, come affrontarla praticamente, quali sono gli specifici strumenti e tecniche, che punti di vista concettuali adottare, in che modo elaborare un progetto, come definire contenuti e forme con cui presentarlo, sono alcuni dei temi che hanno scandito fin qui la serie di articoli della nostra rubrica. Argomenti vari, con l’intento di sollecitare nel lettore una riflessione riguardo a una pratica che oggi – dovuto in parte ai continui e notevoli progressi tecnologici ai quali è soggetta la fotografia e alla facilità con cui di questa possiamo avvalerci – risulta spesso essere, purtroppo, banalizzata.
Una ridondanza di fotografia sta ammazzando la fotografia. Non è, il mio, uno sguardo pessimista, è solo una presa d’atto. Del valore che poteva avere una fotografia, fosse anche solo venti o trent’anni or sono – non in termini economici, che è tutt’altra storia, ma per il senso di verità che poteva ancora veicolare, o per il carico affettivo e di memoria con cui ciascuno di noi la rivestiva –, nell’odierna saturazione d’immagini, di quel valore resta ben poco. Conseguenza di una banale regola: quel che abbonda si svaluta.
Gli sviluppi tecnologici hanno semplificato tutto quel che riguarda la produzione di un’immagine – al punto che oggi, con l’intelligenza artificiale, per «fare» una fotografia non abbiamo neppur più bisogno di un apparecchio fotografico, basta un computer… –, ma non c’è stata nel contempo una conseguente e necessaria socializzazione alla comunicazione, visiva e non solo. È paradossale: pur avendo a disposizione strumenti sempre più potenti e – se solo li utilizzassimo con proprietà e discernimento – capaci di elaborare analisi, riflessioni, pensiero critico, poetico, filosofico e sociale, finiamo invece per considerarli quasi solo come dispositivi di cui far uso per rassicurare le nostre sempre più fragili identità o per riempire ludicamente i momenti vuoti della nostra iperattiva quotidianità.
La logica strumentale, della produzione e del consumo di massa, soggetta allo sviluppo delle macchine, alla loro pervasività, con tutta evidenza costringe vieppiù la riflessione umanistica in spazi sempre più angusti e poco frequentati. E la fotografia, se la consideriamo nella sua dimensione sociale, come pratica collettiva, riflette in pieno questo stato di cose.
Con ciò non voglio dire che non esistano più spazi dove trovare eccellenza, in forma di immagini potenti, capaci di trasmettere profondità e bellezza. Cercando bene, li troviamo. In internet, ma ancora meglio, dal vivo, in musei, gallerie e altri spazi espositivi, anche in pubblicazioni cartacee di qualità. In quegli spazi, troverete la storia della fotografia – importante da conoscere se vogliamo capirne la sua attualità – e anche, possibilmente, dell’ottima fotografia contemporanea.
In sintesi, tale è stato il senso del mio scrivere questa serie di articoli, proposti in primo luogo agli appassionati di fotografia, ma anche a un pubblico più vasto, che magari di fotografia aveva poche o nessuna nozione: cercando di affrontare la fotografia tanto nei suoi aspetti tecnici e formali come pure nelle sue potenzialità comunicative e di lettura del presente; stimolando una riflessione verso questo mezzo; suggerendone possibili piste di approfondimento. Tutto ciò, naturalmente, con la parzialità che il ragionare su uno strumento tanto complesso come questo impone se vogliamo rispettare gli spazi ristretti della pagina a disposizione.
La fotografia è comunque di per sé materia così vasta, viva e, per certi versi, sfuggente da frustrare il tentativo di rinchiuderla in discorsi troppo definitivi. Forse anche in ciò sta il suo fascino: in questa sua capacità di rinnovarsi e adattarsi come linguaggio agli orizzonti in continua trasformazione di una realtà che richiede mezzi sempre più raffinati per essere pienamente colta, intesa ed elaborata.
Sono stati, questi miei, dei contributi prettamente soggettivi, fondati sulle personali conoscenze pratiche e teoriche della materia fotografica. Ritengo sia giunto ora il momento di dare una svolta a quei discorsi che potrebbero diventare – se già non lo sono diventati – ridondanti e dunque, alla lunga, inutili e tediosi. Per questo motivo, dalla prossima puntata questa rubrica verrà dedicata al racconto di altrui esperienze.
Prospettive
Si tratterà, in altre parole, di raccogliere attraverso una serie di interviste la narrazione del fare di altri fotografi.
Di come affrontano la loro pratica professionale, i loro soggetti privilegiati; di come riflettono sull’attualità di questo strumento, di quel che è stato e quel che potrebbe divenire, secondo le prospettive che l’oggi suggerisce loro. Il nostro intento non sarà, dunque, quello di tratteggiare un ritratto esauriente del loro percorso, ma di questo coglierne alcuni sprazzi, significativi, delineandone le problematiche, le sfide e le soluzioni da loro adottate al fine di risolverle al meglio.
Ci avvarremo della testimonianza di professionisti attivi nel nostro territorio, specializzati, quando è il caso, in uno specifico settore d’azione. E di più o meno lunga navigazione: diciamo – se vogliamo porre un’ipotetica asticella – dai cinquant’anni in su. Un criterio, questo, certamente discutibile, ma che ci permetterà di scremare un potenziale bacino così vasto da porre altrimenti dei seri problemi di selezione.