Contraddizioni e passi falsi di vincitori e vinti

by Claudia

Riflessioni dopo le ultime votazioni federali: dalla sempre verde lotta dell’UCD contro l’immigrazione al fallimento delle politiche famigliari, passando dalle questioni sollevate dalla libera circolazione delle persone e dalle congiunzioni di lista

Potremmo chiamarla la vittoria dell’usato sicuro. L’UDC ha scaldato a fuoco intenso la sua classica pozione magica, un misto di immigrazione e di asilo, ed è riuscita a portare in tavola un robusto successo elettorale che la rafforza nel ruolo di primo partito svizzero. Nella fase di avvicinamento alle elezioni il partito di Marco Chiesa aveva provato ad animare la sua campagna anche con altri temi: la neutralità, l’opzione del nucleare nella transizione energetica, il potere d’acquisto e persino il contrasto alle cosiddette teorie gender, con l’appendice dell’agenda scolastica in Ticino. Ma poi gli strateghi democentristi hanno preferito ripiegare con decisione sul loro classico cavallo di battaglia: la pressione migratoria. Per l’UDC lottare contro l’immigrazione significa sostanzialmente denunciare l’accordo sulla libera circolazione delle persone, visto che per immigrazione intendiamo, nello specifico, la forza lavoro in arrivo dall’Unione europea. Per buona parte dell’economia questo afflusso non sembra però essere un guaio, visto che è costantemente alla ricerca di nuovi dipendenti. E che l’arrivo di manodopera è uno dei fattori che hanno permesso all’economia elvetica di continuare a crescere. Ma c’è l’altro lato della medaglia, di certo l’immigrazione rappresenta un problema di natura infrastrutturale: più case, più traffico e meno verde in agglomerati sempre più intasati. E genera anche un problema di concorrenza, quando chi arriva da fuori viene assunto al posto di un residente, accettando magari anche uno stipendio inferiore.

A ben guardare però l’immigrazione è anche la conseguenza di una serie di questioni irrisolte che accompagnano la politica elvetica da decenni e che possiamo ricondurre al grande capitolo della demografia. Tra queste c’è di certo la politica della famiglia. Dal «Dizionario storico della Svizzera» prendiamo in prestito questa frase: «La politica della famiglia svizzera è molto meno sviluppata rispetto a quella della maggioranza dei Paesi europei. Le spese sociali per la maternità e per le questioni famigliari sono nettamente inferiori alla media europea e per molte famiglie i figli costituiscono un accresciuto rischio di povertà». In altri termini, se le politiche famigliari fossero più robuste, le famiglie avrebbero qualche mezzo in più, e con ogni probabilità la natalità aumenterebbe. Mentre per le donne sarebbe più facile conciliare gli impegni famigliari con quelli lavorativi. Tutto questo comporterebbe un incremento di manodopera residente e un effetto diretto sull’immigrazione, che con ogni probabilità diminuirebbe. Nel corso degli ultimi decenni però in questo ambito si è fatto ben poco. Bastino due esempi. Nel nostro Paese la storia dell’assicurazione maternità assomiglia ad una corsa ad ostacoli, dagli anni 70 in poi ci sono volute ben cinque votazioni popolari per garantire alle donne un sostegno finanziario alla nascita di un figlio. In vigore dal 2005, l’attuale assicurazione maternità non può tuttavia essere considerata generosa, se paragonata a quella della maggior parte dei Paesi occidentali. Il diritto a un’indennità è garantito per sole 14 settimane e riguarda unicamente le donne che lavorano, a cui è garantito l’80% dello stipendio. In questo lungo percorso chi si è sempre opposto a questo sostegno alla maternità? Proprio l’UDC, e con essa una parte del mondo economico.

Altro esempio, più recente. Nel marzo scorso il Consiglio nazionale ha varato un pacchetto da oltre 700 milioni di franchi per facilitare l’accesso agli asili-nido, rendendoli meno cari. Una misura voluta per migliorare la conciliabilità casa-lavoro e per permettere alle donne neo-mamme di accedere più facilmente ad un impiego, si tratta di persone residenti nel nostro Paese e non di manodopera in arrivo dall’estero. Ebbene al Consiglio nazionale chi ha bocciato questa proposta? L’UDC e con essa anche il PLR. Se per l’UDC la crescita dei figli è una questione da gestire soprattutto in famiglia, per i liberali radicali quello degli asili nido è un tema di competenza dei Cantoni, la Confederazione non ci deve mettere le mani, da qui la loro opposizione che non è però stata sufficiente per far naufragare il progetto. Tocca ora al Consiglio degli Stati discuterne. Certo, questa misura non può risolvere il problema dell’immigrazione, ma fa parte di un’impalcatura normativa che potrebbe servire a ridurne l’impatto e affrontare anche uno dei grandi assenti tra i temi di questa campagna elettorale: l’inverno demografico e il calo costante di nascite nel nostro Paese.

Le contraddizioni e i passi falsi non mancano però neppure sull’altro fronte. Basti dire che i partiti borghesi moderati – PLR e Centro – e quelli di sinistra non sono mai riusciti in questi decenni a strappare il tema dell’immigrazione dalle mani dell’UDC, anche se a volte su questo argomento hanno vinto delle votazioni popolari. Vittorie di tappa, che però sono rimaste tali e che non hanno mai portato ad una gestione meno conflittuale del fenomeno migratorio. Ma soprattutto questo fronte politico ha negli anni accettato il principio della libera circolazione delle persone, targato Unione europea, senza porre grandi condizioni, al di là delle misure di accompagnamento per contrastare il rischio di dumping salariale. Eppure qualche argomento per strappare a Bruxelles qualche concessione di sarebbe.

Uno studio dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, pubblicato di recente, indica che la Svizzera è oggi il Paese più toccato dalla libera circolazione delle persone, più di qualsiasi altro Paese membro dell’Ue, ad eccezione del Lussemburgo. Insomma siamo un Paese non membro ma in questo ambito siamo più europei di tanti altri. Di certo questo argomento rimarrà al centro del dibattito politico anche nel corso della legislatura che sta per iniziare, insieme a tanti altri: i costi della sanità, la transizione energetica, il clima e le pensioni, solo per fare alcuni esempi.

Tra i parlamentari c’è da sperare che nei prossimi quattro anni qualcuno vorrà far proprio perlomeno altri due temi. Il primo: tenere sotto controllo l’Ufficio federale di statistica affinché non ripeta «l’increscioso errore» nel conteggio dei risultati elettorali, emerso la settimana scorsa. Il secondo: battersi per l’abolizione delle congiunzioni di lista, e delle sotto congiunzioni. Accordi a volte programmatici, ma spesso soltanto di convenienza, che rendono opaco il nostro sistema democratico. Capita così, e succede anche in Ticino, di vedere candidati non eletti che hanno ottenuto diverse migliaia di voti in più di chi invece è riuscito a strappare il biglietto per Berna, perché favorito dalla congiunzione. La democrazia merita di meglio, questi giochi a tavolino dettati dagli strateghi di partito dovrebbero essere depennati. Finalmente.

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