Houdini: il re delle manette

by Claudia

Graphic novel biografiche - L’uomo che si dibatteva disperatamente per spezzare i legacci (della vita) che lo imprigionavano

È passato poco dai tempi in cui i fumetti venivano considerati una forma d’intrattenimento popolare di bassa lega. Ci è voluto l’apporto di un genio come l’artista americano Will Eisner (1917-2005) per dare dignità al genere, esplorando la cosiddetta «arte sequenziale» da lui stesso concepita come mezzo narrativo, e di fatto brevettando il termine graphic novel («romanzo a fumetti») – oggi entrato nel linguaggio comune per definire un’opera di narrativa disegnata concepita come un volume a sé stante, e non parte di una regolare serie da edicola. Opera che, proprio per questo, ben si presta all’ambito biografico, ovvero alla narrazione delle vite di personaggi più o meno importanti tramite una fusione perfetta tra parola e immagine.

Branca, quella della biografia a fumetti, ancora giovane, ma già meritevole di approfondimento – il che costituisce anche l’obiettivo di questa serie, volta a esaminare contributi validi del genere, e oggi inaugurata dall’eccellente graphic novel Houdini: The Handcuff King (in onore del più grande mago illusionista di tutti i tempi), firmata da Jason Lutes (testi) e Nick Bertozzi (disegni). Due dei più noti nomi del moderno fumetto americano. Non a caso quest’opera è stata pubblicata (nel 2007, e poi ristampata nel 2019) con la collaborazione del Center for Cartoon Studies statunitense, una delle maggiori organizzazioni dedite a valorizzare la graphic novel.

A una prima lettura, la struttura di The Handcuff King appare semplice, quasi elementare, presentandosi come il racconto piuttosto diretto di quello che potrebbe essere «un giorno nella vita del grande Harry Houdini». Tuttavia, dietro l’apparente semplicità dello sguardo narrativo si nascondono una particolare cura e attenzione al personaggio, tratteggiato e dipinto con poche, sapienti pennellate, proprio come dovrebbe essere in ogni racconto di qualità; così, per mostrare la forza del legame tra il mago e sua moglie Bess, bastano due semplici inquadrature (una singola coppia di vignette affiancate a offrire, come si dice in gergo, un «campo e controcampo»), e l’espressione struggente sul viso di Houdini mentre guarda colei che è impegnata a sistemargli il nodo della cravatta.

In questo gioca un ruolo fondamentale lo stile grafico di Bertozzi, sintetico e pressoché stilizzato, eppure capace di grande espressività e potere evocativo – quasi a voler dimostrare l’infondatezza dell’odierna preferenza per le graphic novel mal disegnate, vittime dell’equivoco secondo il quale il testo è più importante dell’immagine (in un evidente tradimento del caposaldo stesso su cui si basa la tecnica fumettistica). Qui, invece, le linee pulite ed eloquenti di Bertozzi riescono a catturare perfettamente anche un aspetto chiave della storia quale la prevaricante fisicità del protagonista, le cui imprese ai limiti del possibile costituiscono, com’è naturale, il fulcro della vicenda; grazie a foto e filmati d’epoca, viene infatti ricostruita la tournée del 1908, caratterizzata da una delle imprese più celebri di Houdini, che vedeva l’illusionista gettarsi (incatenato e ammanettato) dall’alto del ponte di turno, fin nelle acque gelide del fiume sottostante, per poi liberarsi dai lucchetti a tempo record – scampando così per un soffio all’annegamento. È quindi la suggestiva rappresentazione della tappa all’Harvard Bridge, a Boston, a fare da sfondo alla vicenda narrata da Lutes e Bertozzi; tuttavia, quello che dovrebbe essere il nocciolo della storia – ovvero, il grande segreto di cui Houdini deve mettere a parte l’assistente appena assunto riguardo al «trucco» dietro questo terrificante numero – diviene, in realtà, soltanto un pretesto per illuminare qualcosa di ben più importante.

Infatti, sebbene il lettore venga presto messo in condizione di svelare l’arcano (in base a una teoria da molti anni popolare tra gli appassionati di Houdini), ad attirare davvero la sua attenzione è l’anima del grande mago — i suoi sentimenti, idiosincrasie e contraddizioni. Così, la devozione di Bess, che gioca un ruolo fondamentale in ogni esibizione, ruba rapidamente la scena al fascino dell’illusionismo, quasi a ricordare come, in fondo, l’amore resti il mistero più insondabile di tutti; mentre la fedeltà impulsiva e istintiva del nuovo assistente – il quale si rende subito conto di trovarsi davanti un uomo singolare, da proteggere con la medesima cura che si avrebbe verso una pianta rara – diviene simbolo di una preziosa e antica forma di lealtà, da sempre uno dei sentimenti più nobili di cui l’essere umano sia capace.

È proprio questo, in fondo, a interessare maggiormente Lutes e Bertozzi: l’affresco emotivo di un uomo misterioso quanto affascinante e delle molteplici, contrastanti e umorali reazioni e sensazioni che la sua presenza suscita – dalla stuporosa, paziente attesa degli spettatori accorsi al ponte, al puro terrore provato dall’inesperto assistente, fino alla meraviglia dei bambini davanti al loro eroe. In tutto ciò, la paura del fallimento, e della morte che ne risulterebbe, è sempre dietro l’angolo, una presenza ostile ma in fondo ben accetta, in quanto necessaria a enfatizzare la grandezza di Houdini – il solo, autentico mago di cui nessuno dovrà mai dimenticarsi.

Così, al di là dell’ottimo lavoro di documentazione svolto dagli autori, gli elementi che brillano in The Handcuff King sono ben più sottili. Su tutti, l’ossessione del mago per la fuga – la necessità costante di liberarsi da qualsiasi forma di costrizione, a partire da manette e catene fino ad arrivare a bauli chiusi a chiave, bidoni del latte e perfino bare sigillate – diviene metafora del desiderio di liberazione dalla realtà che accomuna ogni essere umano: nella caparbia volontà a sottoporsi a prove sempre più rischiose e sfiancanti, Houdini non tenta semplicemente di divenire il più grande «escapista» di sempre, ma anche di sfuggire ai fardelli della sua vita precedente di ebreo ungherese emigrato negli States: la fame e povertà patite in giovinezza, l’antisemitismo, il dolore per la morte dell’amatissima madre, il timore dell’ignoto e dell’aldilà.

Forse è proprio questo a fare di Houdini, a distanza di quasi un secolo dalla sua prematura morte, un personaggio ancora così attuale e moderno, e a permetterci di avvertirlo come tanto vicino a noi – un uomo che si dibatte nel millenario dramma della sua condizione terrena, e cerca disperatamente di spezzare i legacci che lo imprigionano, così da gridare più forte che mai il proprio orgoglio e la volontà di vivere secondo regole imposte da sé stesso, e da nessun altro; qualcosa che questa piccola gemma a fumetti riesce a catturare alla perfezione.