Robert Kovalski solista al LAC con il suo violino

Quello del musicista può diventare un mestiere, ma è innanzitutto e nasce sempre come vocazione. «Lo confermo, per me è stato così. Avevo sette anni. Mia madre cantava il pop, mio padre seguiva la musica, ma di classica, in casa, non aleggiava neanche una nota. Però in soggiorno c’era un violino arrivato pressappoco con me: l’avevano acquistato – non si ricordano neppure perché – poco prima che nascessi. A sette anni, appunto, lo presi in mano per caso, non percepii nessuna voce interiore, ma mi sentii calamitato: una sensazione ineffabile e profonda. Non mi sono mai detto che avrei fatto il musicista perché è una strada che si è venuta a delineare come la più ovvia, direi anzi l’unica».

Robert Kowalski ricorda così il suo incontro con la musica; giovedì 9 novembre sarà solista in Anahit per violino e diciotto strumenti di Giacinto Scelsi (cui Markus Poscher fa seguire la Fantasia scozzese di Bruch, solista la viola di Nils Mönkemeyer, e la seconda sinfonia di Bruckner), e se c’è un aspetto su cui non dovrà lavorare a lungo sarà l’intesa con gli altri strumentisti richiesti nel brano del compositore spezzino morto nel 1988 a Roma, ottantatreenne. Perché dal 2011 Kowalski è il primo violino Konzertmeister, o spalla, dell’Orchestra della Svizzera Italiana. E anche questa tappa del suo percorso musicale assomiglia non poco a una vocazione, anche se più geografica che artistica. «In Polonia, retaggio dell’impostazione educativa dell’Unione Sovietica, c’erano scuole musicali ottime che coprivano non solo le scuole dell’obbligo, ma anche il liceo; la preparazione di base fu buona, però poi quasi tutti i musicisti, se vogliono diventare concertisti o comunque professionisti, devono perfezionarsi. Io lo feci inizialmente a Mannheim, però il primo incontro col professore che mi invitò poi in Germania avvenne ad Ascona; avevo sedici anni e per la prima volta in vita mia uscivo dalla Polonia; rimasi stordito dalla bellezza di una natura così diversa da quella dei miei luoghi natali e pensai che se avessi potuto sognare il posto dove vivere da grande avrei scelto proprio quel lembo di Europa».

Un’attrazione irresistibile che diventa chiamata fatale: «Il mio professore mi comunicò che si trasferiva e mi domandò se fossi disposto a seguirlo; quando gli chiesi dove e mi disse Lugano, mi sembrò un regalo del destino. Accettai entusiasta, e nel 2011 vinsi il concorso per il posto di primo violino Konzertmeister. Conoscevo bene l’Orchestra della Svizzera Italiana, da studente avevo seguito quasi tutti i suoi concerti e nelle ultime stagioni avevo iniziato a suonarvi come aggiunto (orchestrali non fissi, che partecipano a concerti i cui brani in programma esigono organici più ampi di quello “base” della OSI, ndr.); mi aveva sempre impressionato il livello dell’ensemble, e suonandoci dentro, anche se può sembrare un giudizio scontato o addirittura obbligato, devo dire che la qualità dei miei colleghi è davvero alta».

E ancor più lo deve essere quella del violino di spalla: «Un ruolo ampio e sfaccettato, il cui compito principale è l’esser tramite tra il direttore e l’orchestra, tradurre in gesti tecnici l’idea del maestro. Spesso le intenzioni di chi sta sul podio sono chiarissime, ma alcune volte non è così immediata l’intesa e quindi sta alla “spalla” interpretarne la volontà e raccordare le varie sezioni dell’orchestra. Certo, tecnicamente è un ruolo sfidante perché non sono rari gli assolo che il primo violino deve affrontare; penso a quelli, splendidi e difficili, della Missa solemnis di Beethoven che abbiamo eseguito un paio di anni fa». Stavolta però non starà a fianco dei colleghi, al primo leggio alla sinistra del podio; in Anahit sarà un vero e proprio solista, e non dovrà suonare le parti dell’orchestra: «Se mi sembrerà strano stare davanti agli altri musicisti e non nelle file con loro? È già capitato, ma certamente farlo sul palco del LAC darà emozioni diverse, più potenti. Luogo a parte, sarà un piacere immenso, perché conosco la bravura dei membri dell’OSI e perché siamo legati non solo professionalmente: tra noi ci sono rapporti umani, amicizie belle». Kowalski non può comunque esimersi da alcune riflessioni «da solista»: «Ciò che colpisce dello stile di Scelsi, e lo si ritrova anche in questo brano, è la ricerca, la cura del suono. Più ancora che all’invenzione di melodie o alle costruzioni armoniche e formali, affida il suo messaggio al suono come tale; e attraverso questa materia sonora credo voglia mostrarci la capacità sublime della musica di creare ponti tra cielo e terra, di rendere percepibile qui tra noi ampiezze e purità celestiali».

Anahit è pagina fascinosa, ma rara («non è comunque il Novecento aspro che incute timore negli ascoltatori» rimarca sorridente); potesse o dovesse essere solista in qualcuno dei grandi concerti per violino, non avrebbe dubbi: «Brahms, ascoltato la scorsa stagione dalla prodigiosa Julia Fischer, e Sibelius, perché è il primo che feci suonando nell’OSI».

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