La tensione tra Nuova Delhi e Ottawa resta alta dopo l’uccisione di un cittadino di origine indiana vicino a Vancouver. Si tratta di Hardeep Singh Nijjar, membro di organizzazioni separatiste Sikh sostenute dal Pakistan e dalla Cina
L’India espelle lo scorso 19 ottobre, citando ragione di reciprocità numerica nel numero di diplomatici dei rispettivi Paesi, quarantuno diplomatici canadesi minacciando di altrimenti revocare loro l’immunità diplomatica. Immediatamente il premier canadese Justin Trudeau, a favore di telecamere, invoca presunte violazioni della Convenzione di Vienna (confondendola all’inizio con la Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra) chiedendo alla comunità internazionale di intervenire per scongiurare il pericoloso precedente. La comunità internazionale, affaccendata in faccende di rilievo ben maggiore, ancora una volta esprime caute dichiarazioni di facciata e sostanzialmente lascia da solo Trudeau a uscire dal ginepraio in cui lui e il suo Governo si sono andati a cacciare.
Lo scorso 18 settembre difatti, parlando in Parlamento, Trudeau accusava formalmente l’India di aver ammazzato «un cittadino canadese su suolo canadese». Il cittadino in questione sarebbe Hardeep Singh Nijjar, ammazzato il 18 giugno scorso da due sconosciuti nel parcheggio di un «gurudwara», la porta del Guru (un tempio) Sikh a Surrey, vicino a Vancouver. Un cittadino definito dalla stampa canadese «un idraulico» e dalla stampa estera via via «un attivista», un insegnante nel «gurudwara», fino ad arrivare a «un religioso». Hardeep Singh Nijjar non era nulla di queste cose, visto che aveva a suo carico diversi mandati di cattura dell’Interpol, era sulla «no fly list» sia degli Stati Uniti sia del Canada e la rete è piena di sue foto mentre imbraccia (e adopera) un mitra. Ma questi sono dettagli. Trudeau, ben oltre un mese dopo, non ha ancora fornito alcuno straccio di prova delle pesanti accuse rivolte verso il Governo indiano. Continua a parlare di «forte probabilità che ci sia un possibile collegamento diretto tra la morte di Nijjar e i servizi segreti indiani», e a citare in ogni momento la questione talmente a sproposito da essersi guadagnato il dubbio onore di diventare un «meme» sui social media.
Nijjar era più che un terrorista, un criminale: indagato in India per traffico di droga, omicidio e traffico di esseri umani. Ma era membro, come molti criminali comuni che hanno chiesto e ottenuto asilo e/o cittadinanza all’estero, del cosiddetto Khalistan Movement e di Sikh for Justice: organizzazioni fuorilegge in India, i cui componenti dichiarano di battersi per una patria dei Sikh e per la «liberazione del Punjab» e che regolarmente dichiarano di essere per questo motivo perseguitati. Ma i conti non tornano: le organizzazioni di cui sopra in India non hanno seguaci né sostenitori. E, curiosamente, i patrioti liberatori di cui sopra chiedono la liberazione non dell’antico regno del Punjab, quello di cui era a capo il maharaja Ranjit Singh e che aveva Lahore come capitale, ma del solo Punjab indiano. Perché i signori di cui sopra e i loro movimenti sono finanziati e sostenuti dal Pakistan e dalla Cina con il solo scopo di creare tensioni in India.
Che c’entra il Canada? La comunità Sikh locale è molto numerosa ed è, per Justin Trudeau, essenziale. Il suo Governo è mantenuto in vita da un partito che ha a capo un sostenitore del Khalistan Movement. Che è forte, guarda caso, dove c’è anche una forte comunità pakistana. In Canada, in alcune zone degli Stati Uniti, in Inghilterra e anche in Italia. Dove si trova la più grossa comunità Sikh europea dopo quella inglese e dove, da qualche anno, cominciano ad arrivare, già armati di petizioni redatte da un avvocato, ragazzi che si dichiarano perseguitati dall’India perché membri del Khalistan Movement. Risultato: un paio d’anni fa anche a Roma, come negli Stati Uniti o in Inghilterra, la locale ambasciata indiana è stata vandalizzata (a San Francisco è stata data alle fiamme). Anche in Italia nei «gurudwara» appaiono cartelli minacciosi più o meno inneggianti all’assassinio di Indira Gandhi a opera dei Sikh e manca poco perché appaiano anche nei templi locali i cartelli presenti nei «gurudwara» canadesi: «wanted», ossia ricercati, con le facce dei locali diplomatici indiani e la taglia sulla loro testa, come nel Far West. Intanto di recente a Pordenone una fazione Sikh ne ha inseguita un’altra con spade e bastoni ferendo il capo dell’Unione Sikh Italiana per il controllo sul locale «gurudwara». E a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, qualcuno tirava tre molotov contro la casa del vicepresidente della stessa associazione. In Svizzera vivono circa 600 sikh ed esistono quattro «gurudwara» a Däniken (SO), Langenthal (BE), Bassersdorf (ZH) e Ginevra (vedi www.haus-der-religionen.ch/sikhs). E non si sono registrati problemi.
Mentre in Inghilterra dei gentiluomini del Khalistan Movement inscenavano una protesta a Londra davanti a Downing Street invitando il primo ministro Rishi Sunak (di origine indiana) a bere dalle bandiere indiane inzuppate di urina di mucca. Nel 1985 i patrioti del Khalistan hanno fatto esplodere il volo Kanishka da Toronto a Mumbay con 329 persone a bordo, continuano a fare strage in India di politici punjabi contrari alla loro ideologia e a scatenare risse e violenze un po’ in tutto il mondo. Hillary Clinton ha detto una volta: se allevi serpenti nel tuo cortile non puoi aspettarti che mordano soltanto i tuoi vicini. Chiudere gli occhi davanti a criminali comuni, terroristi e fiancheggiatori di terroristi solo perché attaccano qualcun’altro non è mai una buona idea. Trudeau dovrebbe pensarci bene, e anche noi.