Figura difficilmente classificabile tanto per la sua vita privata quanto per la sua arte, Roger de La Fresnaye è un pittore che sorprende per versatilità e raffinatezza. Uomo dalla vasta cultura e dai modi squisiti, ha interpretato il Cubismo alla sua maniera, realizzando opere di ricercatezza formale e armonia cromatica. Il Museo d’arte di Mendrisio ospita una retrospettiva a lui dedicata, la prima organizzata in Svizzera e in ambito culturale italiano. Ne parliamo con Barbara Paltenghi Malacrida, curatrice della rassegna.
Chi è «il nobile cubista» Roger de La Fresnaye?
Questa definizione suggerisce una doppia lettura della nobiltà del pittore francese: quella della sua persona e quella della sua arte. Il padre, capitano d’artiglieria, appartiene all’aristocrazia normanna, la madre all’alta borghesia lionese. Roger de La Fresnaye cresce in un ambiente rigido e conservatore. Disegna con il compasso, conosce il latino, ascolta Wagner e Debussy, legge Nietzsche. È un uomo colto, affascinante e distinto. Condizione per avere una rendita economica è arrivare alla maturità. Ci arriva e a questo punto comunica ai suoi genitori che vuole fare il pittore, una scelta comunque nobile per chi, come lui, è stato educato alla bellezza. La Fresnaye è blasonato ma è anche molto dotato per il disegno e per la pittura. È un artista dalla grande duttilità espressiva, elegante e ricercato. Nobile, dunque, anche nel dipingere.
Come mai, nonostante sia stato una figura di spicco del Cubismo, La Fresnaye non viene ricordato tra i suoi esponenti più noti?
Innanzitutto La Fresnaye è un artista molto patriottico. Il tricolore francese è presente spesso nei suoi dipinti e a fine guerra, in una prospettiva più europeista, questo aspetto lo ha penalizzato. Il fatto poi che fosse nobile, con una serie di privilegi, dopo il secondo conflitto mondiale non ha giocato a suo favore. Un altro motivo è l’eterogeneità della sua produzione: La Fresnaye è un pittore che ti sconvolge, capace di creare opere cubiste e al contempo ritratti naturalistici. Il mercato non ama gli artisti che hanno più stili contemporaneamente ma apprezza chi rimane sempre riconoscibile. La Fresnaye è stato un cubista importante ma ha subìto le critiche di uno dei padri fondatori del movimento, Apollinaire, che lo ha adorato fino a un certo punto e poi ha iniziato a parlarne malissimo poiché lo reputava troppo poco radicale e troppo ornamentale. C’è inoltre un motivo più pratico. Nei musei l’arte contemporanea sta da tempo occupando sempre più spazio e per questo le avanguardie vengono sacrificate. I curatori devono fare una rigida selezione degli artisti da esporre e purtroppo quelli «minori» vengono spesso tralasciati. Del Cubismo, ad esempio, troviamo solo Picasso e Braque. Non bisogna dimenticare, infine, che La Fresnaye muore molto giovane, nel 1925, appena quarantenne, dopo aver preso la tubercolosi al fronte. La malattia rende i suoi ultimi anni di vita una vera agonia e lo esclude da tutti i fermenti in atto in quel periodo.
Com’è nata l’idea di dedicargli una mostra?
Mi sono innamorata di questo artista a Parigi, nel 2019. Ero a casa di un collezionista privato per vedere alcune opere di André Derain. A un certo punto ho notato due splendide nature morte di La Fresnaye. Spiccavano per la loro eleganza. Poi al Centre Pompidou ho visto la tela Le Prestidigitateur del 1921-22, un vero capolavoro. Mi sono chiesta come fosse possibile che un pittore tanto talentuoso non fosse molto conosciuto. Così ho deciso di dedicargli una mostra. Questa rassegna di Mendrisio è il frutto di una ricerca durata due anni. Ci siamo occupati non solo della produzione pittorica di La Fresnaye ma anche dell’illustrazione, ambito per lui importante. Abbiamo contattato tutti i musei francesi, tutti quelli svizzeri e tutte le case d’asta. Queste ultime, in particolare, ci hanno aiutato tanto, perché numerose opere dell’artista sono passate da Christie’s o Sotheby’s. I musei francesi ci hanno prestato molti lavori. Dal Centre Pompidou, ad esempio, ne sono arrivati ben dieci. L’ultima mostra su La Fresnaye è stata fatta a Le Mans vent’anni fa, la penultima nel 1950 a Parigi. Tra l’altro non esisteva nessuna pubblicazione in italiano su questo pittore: la prima è il nostro catalogo.
In che modo è cubista La Fresnaye?
Il movimento cubista ricerca un certo rigore, un certo ordine. Pur guardando all’antico, è qualcosa di estremamente moderno che rivela un approccio matematico alla rappresentazione. Detto ciò, nessuno impedisce a un artista di elaborare questa visione dandone una versione più delicata, decorativa e ornamentale. È proprio quello che fa La Fresnaye. Il suo cubismo è lirico, raffinato, elegante. La Fresnaye è parte integrante della corrente cubista: nel 1911 espone al Salon des Indépendants, nel 1912 partecipa alla mostra della Section d’Or, la più importante esposizione sul Cubismo mai organizzata, e nel 1913 è presente all’Armory Show di New York. Inoltre è uno dei teorici del movimento. I cubisti sono tantissimi, circa settanta, e hanno stili molto diversi tra loro. Pensiamo ad esempio a Delaunay. Questo pittore è un cubista solare e infatti La Fresnaye rimane molto colpito dai suoi lavori. Quello che ci preme far capire con questa mostra è che il Cubismo non è un mondo rigido, chiuso, ma un universo variegato, con decine di declinazioni.
Come si sviluppa la mostra?
Nel percorso espositivo abbiamo voluto documentare l’evoluzione di La Fresnaye nelle varie iconografie. È quindi un allestimento tematico e cronologico insieme. A inizio rassegna le opere testimoniano i primi anni parigini dell’artista. La Fresnaye lascia la sua tenuta, un castello meraviglioso nell’entroterra di Lione, per andare nella Ville Lumière. Quando vi arriva fa la scelta più classica e si iscrive all’École des Beaux Arts. Presto però capisce che il fermento è altrove e fa il grande salto andando all’Académie Ranson, dove ha come docenti Maurice Denis e Paul Sérusier, discepoli di Gauguin. Per lui è la rivelazione. Da qui in poi la svolta simbolista è evidentissima. Emblematica in questo senso è la tela dal titolo Maria Zimmern, del 1909, con il taglio da stampa giapponese, la linea sinuosa dell’Art Nouveau e i colori tipici dei Nabis. Proseguendo nel percorso troviamo una sala dedicata al paesaggio. La Fresnaye è un pittore aperto a molte suggestioni: le prende e le lascia, ma gli servono tutte per costruirsi una sua identità. Ci sono poi le nature morte, vere e proprie messe in scena dove gli oggetti arrivano a essere scolpiti dalla luce, e i nudi, dove «l’audacia tranquilla» del pittore lo porta a realizzare l’opera maestra La vie conjugale, del 1912-13. Seguono i lavori del suo «periodo d’oro», gli anni 1913 e 1914, di cui presentiamo la versione su carta della celebre tela La conquête de l’air esposta al MoMA di New York, dipinto che Apollinaire aveva definito perfetto. Abbiamo poi dedicato una sezione proprio alle opere su carta realizzate dall’artista al fronte mentre il dopoguerra del pittore è all’insegna di un ritorno all’ordine. L’artista respira male e non riesce a stare in piedi. In mostra abbiamo l’ultimo olio su tela da lui eseguito, un paesaggio alla Poussin del 1922. Durante la malattia dell’artista muore anche suo padre, presenza ingombrantissima. È adesso che La Fresnaye inizia a dipingere uomini nudi e ritratti del suo compagno Jean-Louis Gampert, pittore svizzero conosciuto ai tempi dell’Académie Ranson. Questa relazione non era mai stata esplicitata prima.
E poi c’è la sala dedicata al Cubismo…
Non poteva mancare. Mentre La Fresnaye dipinge anche altro, continua a realizzare opere cubiste. Il lavoro più significativo è a mio parere Le Prestidigitateur del 1921-22 (nella foto), l’olio che tanto mi aveva colpito al Centre Pompidou qualche anno fa. Qui ci sono i piani sovrapposti a delineare il volto, due apostrofi che ricordano le nuvole molto amate da La Fresnaye, i fogli a disegnare i panneggi. E poi i dadi e le carte. È un’opera onirica, surrealista: il pittore sta morendo e dà vita a una realtà utopica, leggiadra e armoniosa.