L’intelligenza artificiale nel futuro della sanità

by Claudia

Ricerca - Laura Azzimonti, docente e ricercatrice all’Istituto Dalle Molle, ci spiega come l’IA sia già una realtà al servizio della salute e quale sia il suo potenziale di sviluppo

L’Intelligenza artificiale (IA) potrà mai imparare a pensare come noi esseri umani? «Io spero di sì, questa idea mi affascina, ma sarà possibile, forse, soltanto in un lontano futuro». Laura Azzimonti, docente e ricercatrice, dal 2020 responsabile dei progetti «AI in Health and Life Sciences» dell’Istituto Dalle Molle di Studi sull’Intelligenza Artificiale (IDSIA) di Lugano, è una studiosa rigorosa e competente, che però non esita a fare spazio anche alle emozioni quando si definisce «molto ottimista» per l’impatto positivo che l’IA potrà avere sulle nostre vite. E non si tratta di un ottimismo di facciata, dal momento che sta lavorando concretamente all’uso di questa nuova tecnologia in campo biomedico, con progetti già attivi in alcuni ospedali e altri in fase di sviluppo.

Del resto l’Istituto Dalle Molle, che celebra i 35 anni dalla sua fondazione, è tra i 10 più importanti centri di ricerca che hanno fatto da apripista per la ricerca attorno alle IA a livello globale: da qui è passato uno come Shane Legg, fondatore di DeepMind Technologies, ora diventato il centro di ricerca di Google dedicato al machine learning. E sempre qui si è cominciato a pensare alle applicazioni delle IA in ambito sanitario, con tra le altre una collaborazione con l’Ente Ospedaliero Cantonale iniziata cinque anni fa.

Laura Azzimonti, quali sono i settori in campo biomedico nei quali si sta sviluppando in modo più promettente l’utilizzo delle IA?
Sono quattro quelli in cui siamo impegnati: il primo è quello della medicina personalizzata e predittiva, che consiste nel supportare le diagnosi mediche e le previsioni di andamento di una malattia sulla base di grandi quantità di informazioni, integrate con i dati genomici del paziente. Il secondo riguarda la computer vision, cioè le tecniche basate sull’IA che permettono di analizzare immagini e di classificarle in modo automatico, per capire per esempio se ci sono cellule tumorali e aiutare gli istopatologi a individuarle e a contarle, velocizzandone il lavoro. Il terzo è quello dell’analisi dei testi: in questo caso l’esempio è quello delle cartelle cliniche, che grazie a queste tecnologie possono essere «lette» da una macchina, che poi è in grado di estrarre i dati che servono a elaborare dei modelli statistici.

Grazie a questa enorme mole di informazioni si possono per esempio prevedere se ci saranno eventi avversi per un paziente nell’uso di determinati medicinali, se sarà necessaria una seconda ospedalizzazione a breve termine o se è da prevedere un peggioramento della malattia. Infine le IA possono essere utilizzate per simulare dei sistemi biologici complessi per verificare per esempio l’interazione tra una nuova molecola e la membrana cellulare per la messa a punto di nuovi farmaci.

Uno dei progetti al quale sta lavorando si chiama Spearhead (spearhead-project.ch) e riguarda la lotta alla resistenza dei batteri agli antibiotici, una epidemia silenziosa che preoccupa molto gli esperti. In che modo l’IA può aiutarci?
Secondo l’OMS nel 2050 l’antibiotico resistenza sarà la principale causa di morte e non ci saranno più antibiotici efficaci per combattere batteri fino a qui curabili. Spearhead è un progetto finanziato da Innosuisse, l’Agenzia per la promozione dell’innovazione, e coinvolge un ampio consorzio di istituti di ricerca, aziende e ospedali. In questo contesto l’IDSIA ha messo a punto una piattaforma di consultazione per i medici, che li aiuta nella prescrizione degli antibiotici, basata su una grande mole di dati provenienti dalle cartelle cliniche degli ospedali coinvolti, estratti ed elaborati grazie al ricorso all’IA. In questo modo possono sapere quando è giusto prescriverli e quale antibiotico otterrà il miglior risultato.

Ci può fare un esempio concreto?
Spesso quando si presume che sia in corso un’infezione delle vie urinarie e di fronte alla necessità di agire in fretta, senza attendere analisi di laboratorio che possono prendere dalle 24 alle 48 ore, il medico prescrive un antibiotico ad ampio spettro che però non funziona, rendendo necessario il ricorso a un altro antibiotico. In questo modo non si fa che aumentare la resistenza generale dei batteri, capaci di mutare per sopravvivere ai medicinali, che usati in dosi massicce vengono liberati nell’ambiente. Il nostro lavoro mira a evitare tutto questo.

L’altro progetto al quale sta lavorando è relativo alla previsione del rischio di pre-diabete (praesiidium.spindoxlabs.com). Anche qui, l’IA come ci può aiutare?
Il pre-diabete è una condizione di salute che si riferisce a un livello di glucosio nel sangue superiore alla norma ma non abbastanza alto da essere considerato diabete. Si tratta di una condizione che può anticipare l’insorgenza del diabete di tipo 2 e ne soffrono 541 milioni di adulti. Ma la cosa più importante è che il pre-diabete è reversibile; deve però essere diagnosticato precocemente e correttamente. In questo caso l’IA serve a identificare i pazienti a rischio grazie ai dati che arrivano da molte fonti diverse e a modelli matematici molto complessi.

In questo caso qual è il metodo utilizzato?
Vengono messi a punto dei modelli digitali del corpo umano, dei veri e propri «gemelli digitali» dei pazienti, integrati anche con i loro dati clinici, che permettono di predirne l’evoluzione. Questo aiuta i medici a prevenire il diabete consigliando i necessari cambiamenti nello stile di vita dei pazienti.

È possibile pensare a un futuro in cui la medicina sarà in qualche modo automatizzata?
Le faccio un esempio: in collaborazione con l’EOC e una startup ticinese stiamo lavorando a un progetto di telemedicina in ambito oncologico. I pazienti che tornano a casa dopo un ricovero potranno venire seguiti 24 ore su 24 attraverso dispositivi (smartwatch, fitness band, ecc.) i cui dati vengono monitorati grazie al ricorso a IA. In questo modo i malati sono sempre sotto controllo e si sentono più seguiti, anche se i medici di famiglia non sono sempre disponibili. In caso di parametri vitali problematici, il sistema può lanciare un allarme e fare intervenite direttamente un’ambulanza.

Tutto questo pone però il problema dell’automatizzazione della medicina: non si rischia che con l’avvento delle IA la diagnosi e la cura siano demandate sempre più alla tecnologia e che il ricorso al medico sia invece sempre più raro e accessibile magari soltanto ai privilegiati?
Io penso che il ricorso all’IA porti principalmente vantaggi. In particolare in campo medico permetterà l’automazione di una serie di mansioni di basso livello, lasciando ai medici maggiore tempo per occuparsi di compiti nei quali l’intervento umano è insostituibile e del rapporto con il paziente. Inoltre attraverso le IA si può gestire e analizzare una mole di dati che un essere umano non è in grado di controllare da solo e ottenere in questo modo un aiuto importante nelle diagnosi.

IA che da sole fanno diagnosi: è un futuro possibile?
Non nel breve termine. Le IA non sono generaliste, sono pensate per eseguire compiti specifici. È un po’ la stessa preoccupazione nata nell’opinione pubblica attorno a ChatGPT: si tratta di tecnologie che non ragionano da sole, la paura che questi strumenti possano sostituire l’essere umano mi pare ingiustificata. Quello che invece è positivo del dibattito che si è acceso sull’IA è che ha dato una spinta alla riflessione sulla loro regolamentazione. Tutto sta nelle mani degli esseri umani: sono loro che usano e programmano le IA, quindi sono fiduciosa.

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