L’Uto-Kino a Zurigo

by Claudia
6 Novembre 2023

Un magnifico cinema morente mi aspetta, stasera, nel Kreis drei, quartiere di Zurigo noto anche come Wiedikon. A passo digressivo, tipico delle prime vere sere d’autunno, dalla stazione raggiungo in non so quanto, l’Uto-Kino (412 m). Il cui nome al neon, al tre della Kalkbreitestrasse, è illuminato dal diciannove novembre 1927. I titoli dei film in sagex già valgono il viaggio. Nelle vetrinette, cinquantuno lettere ritagliate a regola d’arte nel polistirene espanso, compongono i tre film in programma: The Unlikely Pilgrimage of Harold Fry, Rose, Beyond Tradition.

In un colpo d’occhio, così, una sera a fine ottobre, attraverso questo semplice lavoretto super efficace, alla faccia di un mondo rimbesuito dall’ipertecnologia, viene ridonata dignità alla manualità perduta. L’insegna al neon rosso, rigato di bianco, per un fan come me, provoca gioia estrema: una rarità, è a caratteri western. Il contorno bianco lungo le sei lettere della scritta rossa deviano, a metà del loro tragitto, in lievi oscillazioni elettrizzanti. E il trattino, tra Uto e Kino, è una stellina appena percettibile. Il neon bianco ritorna, sottolineando l’insegna e oltre, contornando tutto il perimetro sotto della pensilina e focalizzandosi poi verso la porta d’entrata, formando tre triangoli convergenti.

La triangolarità è ripresa nei vetri e nel legno della porta art déco. È presente anche nel marcapiano che corre sopra l’insegna luminosa: una rimarchevole linea tobleronica scolpita nella pietra. Seguendola fino all’angolo con la Elisabethenstrasse, ecco il pezzo forte: illuminato dal neon blu sottostante di un’altra più piccola insegna, c’è un enorme mascherone grottesco. Sbozzato nella pietra sempre tenendo a mente il leitmotiv triangoli, c’è un po’ di tutto, in questa espressione: furore, malinconia, sdegno, magia.

Se come architetto è saltato fuori un certo Fritz Fischer di cui si sa molto poco, nessuno sa niente dell’autore di questa meraviglia segreta. Un mascherone postfuturista che personifica, secondo alcuni, lo spirito dei boschi dell’Uetliberg. La montagna-collina sullo sfondo di Zurigo, nota anche amichevolmente come Uto e che fa parte di questo quartiere. Altri tirano in ballo la divinità egizia Uto, per via dell’egittomania tra i cinema d’epoca spesso chiamati Luxor. In realtà, forse, i mascheroni appartengono solo a sé stessi, vivono una vita propria, misteriosa, sono divinità da strada, in simbiosi con lo stupore dei passanti.

Ultima minuzia, all’entrata di questo cinema western-espressionista: al limitare della vetrinetta con i particolarissimi titoli dei film in cartellone, catturo due sagome vuote a forma di diamanti. Al loro interno, un filo di neon, spento, forma delicati triangoli stellari. Sprofondato tra le poltrone rosso vermiglio di questo storico cinema operaio – il più vecchio cinema zurighese ancora in vita, almeno fino alla prossima primavera – in penombra, i manifesti originali di Ieri, oggi, domani (1963) e La romana (1954), mi sembrano già vestigia. Sophia Loren e Gina Lollobrigida, ultime dive di un mondo svanito, lanciano uno sguardo protettore nella sala dove sul soffitto, due ghiribizzi al neon mimano ventilatori da saloon.

Harold Fry, quieto pensionato inglese, un mattino, a colazione, oltre ai toast, trova sul tavolo, in verticale, una lettera di una sua amica persa di vista. È in un ospizio, ha il cancro, sta per morire. Uscito per imbucare la goffa lettera di risposta, Harold Fry, per via anche delle parole di una ragazza con i capelli blu in un negozietto dove era entrato a prendere il latte, alla fine decide di non tornare a casa. E incamminarsi, così su due piedi – dopo aver annotato in fretta, in matita, sulla busta, «wait for me» – verso l’ospizio dove si trova Queenie Hennessy, convinto che finché è in cammino non morirà.

La trama iniziale di questo incredibile pellegrinaggio imprevisto dal Devon a Berwick-upon-Tweed, il cui protagonista è lo straordinario attore Jim Broadbent, mi ricorda subito un po’ quella del racconto Sentieri nel ghiaccio (1974) di Werner Herzog. In mocassini, Harold Fry, oltre alla fatica, dovrà fare i conti con i sensi di colpa che riaffiorano attraverso i flashback del figlio, lettore di Milton perduto in una spirale dolorosa di birra e pasticche. Non un capolavoro, ma un film commovente e ilare che ti cambia la vita.