Quanta umanità passa per uno studio di pedicure

Quella di una scrittrice che diventa pedicurista è una storia vera: la racconta Katja Oskamp in Marzahn mon amour. Storia di una pedicure edito da L’Orma e tradotto in italiano da Rachele Salerno. L’autrice tedesca scrive in questo romanzo, che è diventato un caso editoriale internazionale, di come a un certo punto della sua vita e della sua carriera di autrice abbia deciso di iscriversi a una scuola di pedicure e poi di iniziare a lavorare nel centro estetico di Tiffy, a Marzahn.

Ogni capitolo è dedicato a persone o meglio personaggi e personagge che l’autrice incontra nel centro estetico: i clienti e le sue colleghe.

Marzahn è considerato uno dei quartieri più brutti di Berlino: costruito negli anni 70 nella parte est della città, costituito per lo più da palazzoni che contengono piccoli appartamenti (come quelli della foto, in questo caso animati da due equilibristi di passaggio), il quartiere è adesso popolato da persone disabili o anziani soli. A queste categorie appartengono la maggior parte dei clienti di Katja Oskamp che non tenta in questo romanzo di camuffare in nessun modo la sua identità: questo testo non appartiene al genere in voga in questo momento, l’autofiction, si tratta di pura e semplice autobiografia.

Marzahn mon amour, però, non ha come protagonista l’io della sua autrice, non racconta nei dettagli perché Oskamp abbia deciso di passare dalla scrittura alla pedicure. Tranne il prologo e l’epilogo ogni capitolo di questo libro è dedicato a persone o meglio personaggi e personagge che l’autrice incontra nel centro estetico: i clienti e le sue colleghe. Ciò che sappiamo di lei è che alla soglia dei cinquant’anni la sua carriera stagnava, il suo ultimo libro non era stato pubblicato, suo marito era molto malato e la figlia era andata via di casa. Si trovava, quindi, in quello che lei definisce: «il periodo della crisi di mezza età […] La paura di affogare al centro del grande lago, senza un suono e senza un motivo».

La scelta di iniziare a fare la pedicure diventa lo strumento per diventare una scrittrice migliore: inginocchiata davanti ai suoi clienti, in una condizione di servizio e di cura, Oskamp si trova nella posizione perfetta per dare vita a dei personaggi che sono allo stesso tempo veri e simbolici. Peggy e Mirko, per esempio, rappresentano i compromessi necessari all’amore: lui ex alcolista ha affidato a sua moglie la sua salvezza e lei lo dirige e lo ama dando libero sfogo alla sua attitudine da dirigente, la stessa che esercita guidando la squadra di pulizie di cui è responsabile. La signora Nell e sua figlia rappresentano l’ingiustizia profonda che può annidarsi nei legami familiari, il sadismo che è possibile infliggersi a vicenda sotto l’apparenza di una relazione di cura. I coniugi Huth, al contrario, sono un esempio perfetto di come per occuparsi davvero di una persona affetta da demenza senile siano necessari un coraggio sconfinato e una dose di ironia inesauribile. Il signor Paulke e sua moglie sono quelli che Friedrich Nietzsche avrebbe potuto definire eroi della vita quotidiana. Oskamp stessa utilizza questa espressione, ma per descrivere Tiffy, la proprietaria del salone, e Flocke. La prima ha deciso di aprire il suo centro estetico dopo anni di sfruttamento in un’azienda: Oskamp mette in chiaro che lavorando in proprio non si è arricchita, è solo passata «all’autosfruttamento», ma adesso almeno Tiffy è soddisfatta di sé stessa. Flocke si occupa della manicure, dopo aver trascorso buona parte della sua vita a fare la cameriera in birrerie e osterie. È così che ha cresciuto da sola suo figlio Johnny, il quale quando è diventato abbastanza grande ha cominciato a ricambiare l’amore materno portando Flocke con sé a ballare la techno nei club berlinesi.

Attraverso il rituale della pedicure, della crema esfoliante, del taglio delle unghie e delle cuticole, della rimozione della pelle morta, del massaggio con la crema al lime, Oskamp entra in contatto con l’umanità in un modo che molto probabilmente le era precluso restando nel circolo ristretto e asfittico di scrittrici e scrittori.

Un lungo capitolo di questo romanzo davvero unico è dedicato a Gerlinde Bonkat che nel 1945 è scappata dalla Prussia con sua madre e il suo fratellino, da profuga. Di lei Oskamp conosce la fede indefessa in Dio, la sua carriera variegata da segretaria ad assistente negli orfanotrofi, poi infermiera e infine di nuovo segretaria. Sa delle sue patologie così debilitanti ed è consapevole che: «per la signora Bonkat ogni passo è doloroso, ma questo non le ha impedito di continuare a camminare». È stata lei stessa a confessarle che non si è mai sposata perché ai suoi tempi significava obbedire a un marito e a lei non è mai piaciuto prendere ordini. Oskamp sa tutto ciò e ce lo può raccontare perché fa la pedicure, perché: «mi inchino di fronte alla vita di Gerlinde Bonkat, altrimenti non lo farà nessuno».

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