In poco meno di due mesi sono stati soppressi quasi 240 posti di lavoro nel mondo del giornalismo. Quali sono le conseguenze sulla formazione dell’opinione pubblica?
Cominciamo con le buone notizie: l’offerta giornalistica in Svizzera non è mai stata così buona. È quanto emerge dall’annuario Qualità dei media 2023, pubblicato recentemente da un gruppo di ricercatori dell’Università di Zurigo. Il monitoraggio rileva che dal 2015 i media svizzeri svolgono un ottimo lavoro e che la produzione giornalistica si concentra sempre più su temi rilevanti, un’evoluzione a cui hanno contribuito la pandemia di Coronavirus e la guerra in Ucraina. «È un dato incoraggiante, ma anche sorprendente alla luce del fatto che le risorse nel giornalismo continuano a diminuire», ha commentato Mark Eisenegger, il responsabile della ricerca. Da anni, infatti, il settore dei media tradizionali è confrontato con una costante erosione di lettori e un crollo delle entrate pubblicitarie. Inoltre il mercato è sempre più conteso tra gli attori classici e le grandi multinazionali dell’IT come Google o Meta. A farne le spese sono spesso le giornaliste e i giornalisti delle diverse testate in Svizzera. Ed eccoci giunti alle note dolenti.
È di mercoledì scorso la notizia della soppressione nella Svizzera tedesca di 150 posti di lavoro, di cui 90 licenziamenti, da parte di CH Media. Secondo una nota del gruppo, nato nel 2018 come associazione tra NZZ Mediengruppe e AZ Medien, la causa è il continuo calo del fatturato, che nel primo semestre di quest’anno ha fatto registrare una perdita di 6,9 milioni di franchi. Si tratta di un ulteriore duro colpo per il settore giornalistico. Infatti, a fine settembre, TX Group, l’azienda mediatica cui appartiene Tamedia, ha annunciato il taglio di 48 posti di lavoro, 28 dei quali nella Svizzera francese. Poche settimane dopo, il gruppo zurighese ha comunicato la soppressione di altri 35 impieghi presso il quotidiano gratuito «20 Minuten», 28 nella redazione a Losanna. In poco più di un mese, la stampa romanda si è vista impoverita di quasi 60 giornalisti e giornaliste. Sono misure di risparmio che non sorprendono Peter Rothenbühler, giornalista, scrittore e profondo conoscitore del panorama mediatico romando, visto che per un decennio è stato caporedattore del quotidiano «Le Matin». Nel 2021, «Watson» e «Blick», due affermate testate nella Svizzera tedesca, hanno osato il salto oltre la Sarine, lanciando due piattaforme di informazione online. «Messo alle strette dalla concorrenza, Tamedia ha potenziato la redazione di “20 minutes”, sperando di sbaragliare la concorrenza. Ma ovviamente non è andata così», afferma Rothenbühler. «I recenti tagli non mi hanno quindi stupito più di tanto. Per Tamedia, la Svizzera romanda rimane una sorta di terra incognita». Sembra davvero che il gruppo mediatico zurighese continui a brancolare nel buio. In un’intervista a SRF, la radio svizzero tedesca, Christine Gabella, direttrice di Tamedia in Romandia, ha spiegato che uno degli obiettivi futuri è utilizzare le nuove tecnologie per scoprire quali sono gli interessi delle lettrici e dei lettori.
Una strategia a lume di naso che desta grande preoccupazione ad Impressum, la più importante associazione di giornalisti della Svizzera. «La pressione a cui sono sottoposte le redazioni è enorme», sottolinea Livia Lehner, segretaria centrale. «In queste condizioni, svolgere il proprio lavoro, che richiede inventiva e creatività, diventa molto difficile. Abbiamo inoltre la netta sensazione che la direzione a Zurigo non sia interessata a prendere sul serio il benessere e le preoccupazioni del personale, nemmeno dopo le manifestazioni di protesta. È una situazione estremamente frustrante».
Ma quale impatto avrà questa evoluzione sulla formazione dell’opinione pubblica, in maniera particolare nella regione francofona del Paese? Da anni si osserva una tendenza verso la concentrazione che suscita un diffuso timore per il futuro del «quarto potere». Nella Svizzera romanda due gruppi controllano ormai quasi la totalità del panorama mediatico: TX Group e SRG SSR detengono l’81,5% della quota di mercato. La centralizzazione delle redazioni ha comportato una riduzione dell’offerta giornalistica poiché un numero crescente di testate propone gli stessi contenuti, causando un appiattimento del dibattito pubblico e una riduzione della pluralità di opinioni. Inoltre, la diminuzione delle risorse nelle redazioni si ripercuote sulla qualità dell’informazione: si rinuncia alla ricerca giornalistica classica e si ricorre sempre più spesso all’intelligenza artificiale per la produzione di contenuti. «Arriva un punto in cui è molto difficile produrre articoli che apportino un reale valore aggiunto», spiega Nathalie Pignard-Cheynel, professoressa e direttrice dei corsi di giornalismo presso l’Accademia di giornalismo e media dell’Università di Neuchâtel. «Le testate rischiano di perdere ulteriormente lettori visto che questi ultimi non sono disposti a pagare per un’informazione uniformata. Si corre il pericolo di entrare in un vero e proprio circolo vizioso».
Le misure di risparmio adottate da Tamedia non sono probabilmente finite, anche perché il numero di abbonati e abbonate continua a diminuire e con loro le entrate pubblicitarie. Secondo un recente studio, nella Svizzera tedesca il quotidiano gratuito «20 Minuten» conta ancora su circa 840’000 lettori e lettrici, cifra che rappresenta un calo del 10% rispetto al 2022. Anche il «Tages-Anzeiger» ha perso quasi 50’000 abbonati. E com’è la situazione nella Svizzera francese? «Negli ultimi anni abbiamo assistito alla scomparsa di varie testate. Il settimanale “L’Hebdo” non viene più pubblicato e “Le Matin”, un tempo quotidiano molto popolare, ora esiste solo nella versione online», prosegue Nathalie Pignard-Cheynel. Nonostante questa tendenza alla standardizzazione, il panorama mediatico romando rimane diversificato, soprattutto grazie ai giornali regionali e locali. «Si osservano dinamiche interessanti», aggiunge la direttrice della scuola di giornalismo. «Nell’area francofona hanno fatto la loro comparsa i portali d’informazione online come Heidi.news, Watson e Blick. È un’evoluzione alquanto paradossale: mentre i grandi gruppi editoriali procedono con i licenziamenti, emergono nuovi media che assumono giovani».
Qual è la situazione nella Svizzera italiana? Uno studio condotto nel 2022 dall’Università di Zurigo ha puntato l’attenzione su Ticino e le quattro valli italofone nel Cantone dei Grigioni. In generale, i risultati della ricerca mostrano che la qualità dell’offerta è analoga a quella nelle altre regioni linguistiche del Paese. Anche qui, come nel resto della Svizzera, si osserva un calo del numero di lettori: ad esempio, tra il 2010 e il 2021, la tiratura del «Corriere del Ticino» è passata da circa 37’000 a 29’600 copie e quella de «laRegione» da 32’500 a 23’700. Oltre che dalla cronica difficoltà nel mondo dei media, che si traduce in un peggioramento delle condizioni di lavoro per giornalisti, fotografi, cameraman e personale tecnico, Roberto Porta, presidente dell’Associazione ticinese dei giornalisti, è preoccupato anche dalla crescente disaffezione dei giovani verso le testate tradizionali. «Questa è una grave ipoteca sul futuro del settore», sottolinea. «Qui occorre davvero agire con urgenza, a cominciare dal mondo della scuola. Non è in gioco solo il futuro del giornalismo, ma anche quello del dibattito democratico nel nostro Paese».
* L’autore dell’articolo è membro del comitato centrale di Impressum.