Concerto ◆ Il 7 dicembre al LAC saranno protagoniste la direttrice d’orchestra Giedrė Šlekytė e la violinista Alexandra Soumm
«Siamo una palla di neve che ha iniziato a rotolare a valle e non si ferma più. Sul podio ci vanno anche le donne e questo, semplicemente, accade, è un fatto che non può essere negato».
Giedrė Šlekytė è una musicista nata in Lituania 34 anni fa; gli inizi nel coro di voci bianche, poi il sogno di diventare ballerina, la parentesi durante la quale progettava un futuro da giornalista, infine l’approdo sul podio e una carriera in rapida e irresistibile ascesa: nel 2015 è tra le tre bacchette selezionate, assieme al ginevrino Lorenzo Viotti, per lo Young Conductor Award di Salisburgo; a seguire il perfezionamento con Riccardo Muti e Bernad Haitink, gli applausi ricevuti alla Opernhaus di Zurigo e con la Staatskapelle di Dresda, gli incarichi a Klagenfurt e Francoforte, e adesso il concerto con l’Orchestra della Svizzera Italiana che la vede impegnata nella Quarta sinfonia di Schumann e nel concerto per violino di Lalo, solista Alexandra Soumm.
Šlekytė non è una femminista convinta, gli amori che la infiammano sono per la musica e la natura, ma quando si trova a che fare con certi inveterati stereotipi, dal volto angelico traspaiono una convinzione e una lucidità ferree. «Gli stereotipi persistono un po’ in tutti gli ambiti della nostra vita, inevitabile che ce ne siano ancora anche nella musica. La mia idea è che non abbia alcun senso dividere i direttori in maschi e femmine; anzi, per essere precisi, tra “direttori” e “direttori femmine”, e già questo fa capire come sia un ruolo concepito ancora quasi unicamente al maschile. Se sei donna ti domandano se questo condizioni il tuo modo di fare musica, mentre mai chiedono se l’essere un uomo incida. Eppure, se stiamo a questo livello, dovremmo pensare a un uomo come a una persona forte, coraggiosa, che ama la velocità, che non urla; conosco tanti uomini molto interessanti che non corrispondono affatto a tale identikit, quindi credo sia giusto che anche a una figura femminile non siano aprioristicamente associate delle caratteristiche generiche».
La sua carriera, nonostante le importanti apparizioni con la Staatskapelle di Dresda o l’orchestra della Radio di Francoforte, si è sviluppata soprattutto nell’ambito operistico
Šlekytė ha dovuto affrontare un ulteriore pregiudizio: «Se sei giovane e bella devi essere incompetente; ma è possibile che un bell’aspetto debba essere uno svantaggio e non un vantaggio? È assurdo, eppure non è raro percepire questo pensiero; ognuno porta la propria croce, va bene così, l’importante è che poi, quando si fa musica, la qualità del lavoro venga riconosciuta».
Lo ha fatto ad esempio il teatro di Klagenfurt, che l’ha nominata per due stagioni – prima donna a ricoprire tale incarico nella storia dell’istituzione austriaca – Kapellmeisterin; qui ha diretto tanto Mozart (dal Ratto dal serraglio a Don Giovanni e Flauto magico, portato in un adattamento per bambini al Festival di Salisburgo nel 2018), Verdi, Donizetti; la sua carriera infatti, nonostante le importanti apparizioni con la Staatskapelle di Dresda o l’orchestra della Radio di Francoforte, si è sviluppata soprattutto nell’ambito operistico, «che presenta problemi decisamente più numerosi e anche complicati, ma è un mondo meraviglioso, che ti assorbe e ti incanta e di cui non riesco più a fare a meno». Come non può più fare a meno della natura; lo ha scoperto durante le due stagioni trascorse a Klagenfurt. «È abbastanza popolare in Austria come località turistica, ma devo confessare che quando mi proposero di lavorare lì non sapevo né dove fosse né come fosse; devo essere sincera: non l’avevo neppure mai sentita nominare. Quando sono arrivata lì ho scoperto un luogo splendido, sulla costa orientale del lago Wörthersee – infatti Klagenfurt am Wörthersee è il nome completo della città; mi sono ritrovata davanti panorami strepitosi, e ho scoperto che erano gli stessi che avevano ispirato compositori come Johannes Brahms, Gustav Mahler e Alban Berg. Il teatro è buono, gli spettacoli di livello, e uno spettacolo era la vista che avevo dal balcone e dalle finestre di casa: le montagne che confinano con la Slovenia – ci sono poi quelle austro-italiane. Chi mi veniva a trovare capiva immediatamente perché avevo scelto di vivere lì.
Quando iniziai a viaggiare per lavoro, mi sentivo libera di volare come un uccello in qualunque posto mi piacesse, pensavo che avrei potuto vivere nelle città che avevo sempre sognato. Ma dopo un periodo neppure lungo di continui viaggi, dopo i soggiorni un po’ più prolungati in città come Berlino o Francoforte, ho capito che non avrei potuto stare per sempre in luoghi così: voglio vivere circondata dalla natura, in una cittadina piccola». Sicuramente apprezzerà Lugano e il LAC, con la sua hall panoramica sul lago e le montagne che vi si specchiano. «Una convinzione che è maturata ulteriormente durante le quarantene imposte dalla pandemia: come tanti, ho capito quanto è importante la casa dove si vive, e io non vivrei mai in una casa da cui vedo solo altri muri, strade e traffico».
Se non uno stereotipo come quello legato all’esser donna, la nazionalità contribuisce a calamitare una certa curiosità attorno alla musicista di Vilnius: «La Lituania è vista ancor oggi come un Paese esotico: nessuno conosce bene come è fatto, i suoi luoghi, le sue tradizioni. Spesso mi chiedono di dirigere brani di autori lituani, pensando che l’interpretazione di una “madrelingua” sia migliore; con un antipatico risvolto: allora non si è così affini ad autori tedeschi o francesi. Lo trovo quasi offensivo, e comunque sono stata abbastanza in Austria e Germania per poter dire di conoscere la loro cultura e le loro tradizioni».