La crisi dei servizi segreti occidentali

by Claudia

All’instupidimento generale contribuiscono le nuove tecnologie. Henry Kissinger ci aveva avvertiti, con scarsi risultati

La stagione autunno-inverno 2023-2024 s’annuncia piuttosto calda per le intelligence d’ogni latitudine. La Guerra Grande, come «Limes» definisce la partita strategica fra le tre massime potenze al mondo – Stati Uniti, Cina, Russia – sta sconvolgendo gli equilibri geopolitici consolidati. Il suo recente capitolo mediorientale, riaperto dalla strage del 7 ottobre compiuta da Hamas attorno a Gaza con relativa sanguinosa rappresaglia israeliana, ha aggiunto materiale molto infiammabile alle partite dei Grandi. Quando tutto si muove e si muove tutto insieme, prevedere è impresa quasi impossibile. Ma è precisamente questo il compito delle agenzie di spionaggio: anticipare gli eventi e permettere ai rispettivi decisori di prendere le contromisure in un quadro strategico sufficientemente definito. Oggi scopriamo che i servizi segreti, specie occidentali, non sono attrezzati a capire quindi a prevenire le minacce come potevano esserlo prima, ad esempio durante la guerra fredda o nel decennio della Pax Americana che è conseguito al crollo dell’Urss.

Il caso più lampante è proprio l’aggressione di Hamas a Israele, il 7 ottobre. Fino al giorno prima le intelligence israeliane – Shin Bet (interno), Mossad (esterno) e Aman (militare) – muovevano dall’idea che il movimento islamista si fosse adattato alla dura gestione dell’esistente: la manutenzione della gabbia di Gaza. Salvo periodiche esibizioni missilistiche, dagli effetti comunque limitati grazie alla protezione del sistema di intercettazione Iron Dome. I servizi israeliani erano anzi parte della manutenzione, partecipando al trasferimento dei circa 30 milioni di dollari che mensilmente il Qatar – potenza pirata del Golfo, amica di tutti e dei nemici di tutti – versava a Hamas per tenere in vita i due milioni e trecentomila palestinesi compressi nella Striscia. L’imborghesimento degli islamisti gaziani era tesi poggiata sulla premessa strategica che dalla fine degli anni Ottanta orienta i governi di Gerusalemme: Hamas ci serve per dividere il fronte palestinese, quindi aiutiamolo a sopravvivere.

Premessa che si è dimostrata falsa. Hamas non è affatto addomesticato e non solo non divide i palestinesi ma tende semmai a raccoglierli sotto le proprie bandiere. L’Autorità nazionale palestinese è svuotata di senso. Il marchio degli islamisti è diventato mondiale. Ispira violenze e attentati in tutto il mondo. I servizi israeliani sono rimasti prigionieri dell’abitudine a considerare il futuro prolungamento del presente. Così rivelando come anche l’intelligence non sia immune dall’aria del tempo, tendente a non considerare l’avvenire se non per evocare l’apocalisse che ci distruggerà. All’instupidimento delle agenzie di intelligence contribuiscono le nuove tecnologie. A Gaza come altrove ci si affida(va) a vigilare sui possibili nemici via mirabolanti sistemi ad altissima tecnologia, che richiedono scarso impiego di manodopera e trasmettono un senso inebriante di sicurezza semiautomatica. Poi arriva l’ingegnoso terrorista che s’infila sotto l’asticella troppo alta fissata dai servizi dello Stato nemico, lavora di carta, penna, voce e fantasia. E ti fa male quando meno l’aspetti.

In questo campo, e non solo, emerge il paradosso per cui i miracoli tecnologici, se mal gestiti, sono spesso i peggiori nemici di sé stessi. Nell’ambito dell’intelligence incitano a rinunciare all’uso del cervello, disabilitano le funzioni deputate a studiare il futuro a partire da profonde analisi di passato e presente, con occhio alle rotture più che alle continuità. Vero e proprio appiattimento culturale che si abbatte sull’insieme delle collettività occidentali, di conseguenza anche sui servizi di intelligence. I quali accumulano strepitose quantità di dati senza sapere come interpretarli, connetterli, usarli per anticipare le mosse dei terroristi o di altri nemici. La cosiddetta intelligenza artificiale, supposta moltiplicare l’intelligenza umana, la sta avvilendo ogni giorno di più. Il cervello va allenato. Se depositato all’ingresso della sala macchine elettroniche si atrofizza. Processo in corso, destinato a incrudirsi col tempo. Favorito anche dal clima woke che dalle università a stelle e strisce è percolato nell’intero edificio pedagogico americano, e di qui in Europa. Non in Cina, in Russia o altre nemesi delle potenze occidentali, che se la ridono vedendoci intesi a strangolarci con le nostre mani. Il 30 novembre è scomparso, centenario, Henry Kissinger. Uomo di Stato di notevolissimo calibro, forgiato nell’intelligence. Negli ultimi anni ci aveva messo in guardia contro l’idolatria dell’intelligenza artificiale. Con scarsi risultati. Ci mancherà anche per questo. Non si vedono in giro molti suoi emuli. Ma forse attraverso le tragedie in corso altre teste pensanti si mobiliteranno per impedire che la sua lezione venga dispersa.

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