Fragilità sociale - L’indigenza in Svizzera e in Ticino è una realtà. Se ne parla da quarant’anni, ma non si riesce a debellarla,anzi, è in aumento e si declina in forme diverse
«Il mio auspicio è di essere un giorno disoccupato, ma sarà difficile. Constato infatti un aumento delle richieste di aiuto da parte di persone che hanno storie diverse, che non hanno mezzi sufficienti e non sempre riescono ad avere accesso agli aiuti pubblici. È una fascia grigia di popolazione che non ce la fa e si rivolge a noi». È fra Martino Dotta che ci racconta la sua esperienza quotidiana di paladino dei poveri in Ticino. Ha creato la Fondazione Francesco per l’aiuto sociale che gestisce due strutture di accoglienza, il centro Bethlehem, che da poco ha sede nella masseria di Lugano Cornaredo, e Casa Martini a Locarno.
Fra Martino non sarà mai disoccupato, purtroppo, perché la povertà in Ticino e in Svizzera è una realtà in aumento. «C’è un aspetto che mi crea un grande sconforto: vedere che chi è in una situazione di precarietà non riesce a uscirne, malgrado tutti i nostri sforzi».
La povertà in Ticino è uno studio della metà degli anni Ottanta, curato dall’economista Christian Marazzi. Un lavoro importante che ha illuminato il Paese su un fenomeno che sembrava tabù. «Rispetto agli anni Ottanta è cambiata la percezione, – ci dice Marazzi – ora si sa che la povertà esiste, allora lo studio era visto come una curiosità. Guardando anche retrospettivamente, si rilevano delle costanti: la categoria più fragile è costituita dalle famiglie monoparentali, che svelano il rilievo della dimensione femminile, poi anche le famiglie numerose. Un cambiamento nel corso degli anni riguarda la povertà fra gli anziani: sembrava quasi estinta o almeno contenuta, invece c’è un ritorno. Il reddito fisso, ossia pensioni che non aumentano, subisce le conseguenze dell’inflazione».
La Svizzera è un Paese ricco, ai vertici delle classifiche mondiali. Ma, si sa, la ricchezza non è distribuita equamente fra la popolazione. Il numero dei poveri è alto e dal 2014 è in continuo aumento. La pandemia è stata una mazzata per molti e ora c’è l’inflazione.
Nel 2021, circa 745mila persone, vale a dire l’8,7% della popolazione, era colpito da povertà reddituale. L’Ufficio federale di statistica (UST) conferma che le persone più frequentemente colpite da povertà reddituale sono quelle straniere, che vivono sole o in famiglie monoparentali, senza formazione postobbligatoria e che sono escluse dal mercato del lavoro. Parallelamente, una persona su venti era in una situazione di deprivazione materiale e sociale. Il 5,2%, circa 448mila persone, era confrontato con questa deprivazione, che significa essere costretti a rinunciare a importanti beni, servizi e attività sociali per ragioni finanziarie: per esempio, non essere in grado di sostenere una spesa imprevista di 2500 franchi in un mese.
Se lavorare non basta
Ma non è detto che lavorare basti per evitare il baratro della povertà. Il mondo del lavoro è sempre più difficile: aumenta il precariato, non manca la disoccupazione, gli stipendi sono fermi e in Ticino siamo confrontati con bassi salari e dumping. Il fenomeno dei working poor è ormai radicato e, in Svizzera, nel 2021 si contavano circa 157mila persone occupate che non hanno percepito un reddito superiore alla soglia di povertà, nonostante avessero un impiego. «La povertà laboriosa – precisa Christian Marazzi – ha ormai una dimensione strutturale, perché dipende da un modello liberista di crescita economica, dove la precarietà è la regola. Il dato nuovo sono gli indipendenti, un gruppo professionale che in Ticino conta circa 28mila persone. Si tratta di neoindipendenti, soggetti dell’esternalizzazione delle imprese, di chi fa lavoretti o lavora a tempo parziale. Durante la pandemia hanno rivelato la loro fragilità. Tant’è vero che il Consiglio federale in sei giorni ha esteso l’indennità di perdita di guadagno a questa categoria. Ecco un esempio di come, se si vuole, si possono adottare misure incisive per contrastare la povertà».
Un quadro preoccupante. La soglia di povertà utilizzata dall’UST è determinata dalla Conferenza svizzera delle istituzioni dell’azione sociale (COSAS). Nel 2021 ammontava mediamente a 2’289 franchi al mese per una persona che viveva da sola e a 3’989 per due adulti con due bambini. Decisamente difficile far quadrare i conti con entrate simili, anche se, da questi redditi, sono stati dedotti i premi della cassa malati, le imposte e i contributi delle assicurazioni sociali.
«Si rivolgono a noi – ci spiega fra Martino – non solo nuclei famigliari, ma anche singole persone che sono al beneficio dell’invalidità o dell’assistenza, ma che non ce la fanno, perché magari hanno debiti da recuperare e il margine di manovra per il sostentamento si riduce. Abbiamo riorganizzato la consulenza e il lavoro di orientamento sociale per rispondere alle numerose richieste di aiuto. Poi incontriamo anche molti stranieri, ex richiedenti l’asilo, che hanno ottenuto il permesso B e possono esercitare un’attività lucrativa, ma si tratta di lavori precari e poco qualificati che non permettono di uscire da una situazione di bisogno e di fragilità. Stranieri che vivono con il timore di perdere il permesso e quindi non osano chiedere i sussidi per la cassa malati. In questo Cantone c’è una popolazione straniera che si sente minacciata».
In Ticino
Per quanto riguarda il Ticino, si stima che circa 80mila persone siano confrontate con il rischio povertà. Cosa può fare lo Stato? «Nelle misure di contrasto alla povertà, lo Stato ha fallito. – afferma Marazzi – Non ha dimostrato in modo sistematico di voler affrontare la questione. In Ticino l’unico tentativo riuscito, almeno in parte, per affrontare la povertà delle famiglie, è stata la creazione, con Pietro Martinelli al Dipartimento della della sanità e della socialità, degli assegni di prima infanzia e degli assegni integrativi. È stata l’unica misura innovativa che ha permesso di evitare che le famiglie si impoverissero alla nascita di un figlio. Lo spirito di quelle prestazioni era superare l’assistenzialismo. Per il resto, niente: è stato perfino eliminato l’Ufficio delle abitazioni economiche. Di fronte a questa inerzia dello stato sociale si è animato il privato sociale: Tavolino magico, Soccorso d’inverno, fra Martino, ecc. Non è un caso che durante la pandemia gli indipendenti si siano rivolti a queste strutture private, alle associazioni caritatevoli. Se si fossero rivolte all’assistenza, avrebbero dovuto privarsi del furgoncino o dei locali che usavano per il loro lavoro, perché, se possiedi beni, non hai diritto ai sussidi. Questo la dice lunga sulla impreparazione, rigidità e fiscalità delle istituzioni».
Altri due dati sono significativi per contestualizzare la fragilità del Cantone. Per quanto riguarda il fisco, un quarto della popolazione soggetta all’imposizione fiscale non paga tasse. 110mila persone, quasi un terzo della popolazione, beneficiano dei sussidi cantonali per l’assicurazione malattia, per una spesa del Cantone di 335 milioni di franchi. «Una cosa che ripeto da tempo – ci dice fra Martino – è che, a mio avviso, lo Stato dovrebbe coordinare meglio gli aiuti alla popolazione: si assiste alla tendenza di delegare alla benevolenza delle organizzazioni umanitarie, come la nostra, un sostegno che potrebbe essere garantito dall’ente pubblico. L’assistenza da sola non basta, c’è troppa gente che vive con l’acqua alla gola».
Le richieste di Caritas e il ruolo della Confederazione
Caritas svizzera è da sempre impegnata a lottare contro la povertà e denuncia le lacune e i difetti del nostro sistema di sicurezza sociale. Per contrastare la povertà, che è ormai strutturale, Caritas «chiede al mondo politico ed economico di garantire a tutta la popolazione della Svizzera una vita dignitosa con una sicurezza sociale». Per raggiungere l’obiettivo di abolire la povertà si avanzano sei richieste: lavoro dignitoso con stipendi che assicurino la sussistenza, pari opportunità educative, pari possibilità per tutte le famiglie, un sistema sanitario privo di barriere, la garanzia della sussistenza e un alloggio a prezzi accessibili. Caritas insiste nel proporre una riforma fondamentale del sistema svizzero della sicurezza sociale. C’è dispersione fra chi eroga prestazioni, è necessaria una sola istituzione che garantisca una previdenza pubblica di base a tutta la popolazione.
La Confederazione, da parte sua, ha prolungato fino al 2024 la «Piattaforma nazionale contro la povertà», che dovrebbe sviluppare le misure di prevenzione. Tanti studi sullo stato della socialità elvetica, ma misure che sembrano rimanere nel limbo della teoria. In particolare, si spiega che si potrà intervenire anche «con minori mezzi» e che «il Governo rinuncerà altresì all’erogazione di aiuti finanziari a progetti pilota o manifestazioni di terzi». Dulcis in fundo: «Per l’attuazione operativa delle misure, in qualità di organo responsabile, l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS) avrà a disposizione un credito per beni e servizi pari a 250mila franchi l’anno e risorse di personale per 1,4 posti». Il Consiglio federale investe poco per combattere la povertà, anche se sappiamo che il federalismo prevede che siano i Cantoni ad assistere gli indigenti.
«C’è un vuoto sul piano federale, la Confederazione è assente. – sostiene Marazzi – Rimane la via delle iniziative popolari, come quella che proponeva il reddito universale o reddito di base. Ma l’ideologia del lavoro di cui è ancora impregnata la società elvetica è un ostacolo non indifferente. La povertà è un risvolto di un modello iper produttivista e dell’ideologia del successo e questo non può che produrre esclusione ed emarginazione. Se non si affrontano le cause delle disuguaglianze con misure radicali, come il reddito universale, non se ne esce. Negli anfratti della povertà si annidano forme di populismo, come chi dice che l’immigrazione crea povertà, mentre è vero il contrario».
Una nuova forma di povertà
«Vorrei segnalare che c’è anche una nuova forma di povertà, – spiega fra Martino – una povertà relazionale, non tanto economica, ma che riguarda le relazioni interpersonali. Con la pandemia è emersa la rinnovata necessità di socializzazione informale, da ricercare non in ambienti strutturati o istituzionali, come Pro Senectute o Pro Infirmis, ma semplicemente per cercare un’occasione di incontro. Perciò molte persone sole vengono a pranzo alle nostre mense di Locarno e Lugano. C’è un bisogno di ritrovare fiducia negli altri».
La povertà nella ricca Svizzera è dunque una realtà che non si riesce a debellare. Fra Martino saluta positivamente il maggior interesse per il tema della povertà: «Se ne parla in convegni e incontri, ma il rischio è di fermarsi lì, di discuterne senza poi fare granché per cambiare le cose: basta guardare alle conseguenze delle difficoltà finanziarie del Cantone».
Eppure, la Costituzione elvetica è chiara in proposito. All’articolo 12 recita: «Chi è nel bisogno e non è in grado di provvedere a sé stesso ha diritto di essere aiutato e assistito e di ricevere i mezzi indispensabili per un’esistenza dignitosa». E all’articolo 41: «La Confederazione e i Cantoni si adoperano affinché ognuno possa trovare, per sé stesso e la sua famiglia, un’abitazione adeguata a condizioni sopportabili».