Le streghe di Eastwick di John Updike tradotto da Lorenzo Medici racconta una vicenda che è già impressa nell’immaginario occidentale grazie al film di George Miller del 1987, solo che il romanzo, senza per forza voler assecondare un luogo comune, è davvero tutta un’altra storia.
Alexandra, Jane e Sukie (nella foto ritratte nel film che vede protagoniste Susan Sarandon, Michelle Pfeiffer e Cher) sono tre amiche che abitano a Eastwick, una cittadina degli Stati Uniti vicina all’oceano Atlantico in cui non succede niente, almeno in apparenza, salvo che poi nel corso delle pagine si avvicendano suicidi, violenti omicidi e la morte di un reverendo che si riduce letteralmente in mille pezzi costruendo una bomba da lanciare in una manifestazione contro la guerra in Vietnam.
Le tre donne sono divorziate e sono delle streghe. Ogni giovedì hanno l’abitudine di incontrarsi a casa dell’una o dell’altra, spettegolare sugli abitanti della città, soprattutto raccontarsi le vicende erotico sentimentali in cui sono coinvolte, bevendo alcolici e mangiando stuzzichini di pessima qualità. Le streghe sono spesso in bolletta, perché «gli assegni per il mantenimento dei figli arrivavano sempre più tardi» e loro vivono solo del proprio lavoro. Alexandra scolpisce delle statuette che vende per due negozi della città, appartengono al genere dei simulacri della fertilità, lei le chiama: «poppe». Jane suona il violino per il coro della chiesa e dà lezioni di musica, mentre Sukie scrive per il giornale locale. Tutte e tre si sono sbarazzate, letteralmente, dei loro mariti e si occupano poco e malvolentieri dei propri figli che costituiscono nel romanzo degli elementi di sottofondo, al massimo degli impicci.
Il sodalizio tra le tre verrà messo in parte a repentaglio dall’arrivo in città di Darryl Van Horne, un uomo con le mani ricoperte di peli e dal dubbio gusto nell’abbigliamento che ha l’ambizione di rivoluzionare la produzione di energia mondiale dedicandosi a esperimenti confusi, al limite della scientificità. Abusa del turpiloquio e sputa quando parla, tuttavia riesce senza difficoltà a vincere l’iniziale diffidenza delle tre e ad attirarle nella sua villa che ristruttura e poi manda in malora, con il campo da tennis e una vasca di acqua caldissima, in cui fanno il bagno tutti insieme, bevono, fumano e praticano sesso di gruppo ascoltando ottima musica. Nessuna delle streghe si innamora di Darryl, seppur Alexandra sperasse che lui potesse diventare il suo nuovo compagno, un’ancora alla quale aggrapparsi in un momento difficile della vita: si sta avvicinando ai quarant’anni, si sente sola, grassa e ossessionata dalla paura del cancro. Più in generale nessuna delle streghe si innamora: perderebbero i loro poteri.
Per ottenerli è necessario, infatti, lasciare un marito o essere abbandonate da un uomo: le streghe sono tali quando riescono a evitare o ad annientare qualsiasi elemento che possa limitare l’espansione del proprio sé: «Molti dei poteri straordinari […] derivavano dalla semplice riappropriazione dell’identità».
Nel romanzo, Darryl non è il Demonio, anche se di certo è uno spiritaccio: «Il suo pene freddo faceva male come se fosse ricoperto di piccole squame». È l’unico capace di esercitare un potere sulle streghe offrendo loro la possibilità di eccedere: con lui si ubriacano, si abbuffano di cibo, si sballano e si desiderano, si dedicano cioè esclusivamente alla ricerca del piacere, senza creare dei vincoli, stringere un legame, formare una coppia. Per questo, quando Darryl si sposa con la giovane, dolce e paffuta Jenny le streghe si infuriano.
In un’ottica femminista il romanzo si macchia di una colpa imperdonabile, quello di non permettere davvero alle sue protagoniste, nonostante i loro poteri, di essere indipendenti dagli uomini che invece risultano necessari nelle loro vite, ma un’interpretazione del genere sarebbe sciocca e scorretta, prima di tutto perché questo bisogno è legato soprattutto a una ricerca del piacere: le streghe di Eastwick non sono né ascete, né madonne, né separatiste. Particolare decisamente eccentrico in un racconto che ha come protagoniste delle streghe, le tre donne sono tutte dotate di una grande compassione nei confronti del genere maschile, della bruttezza degli uomini, delle loro piccolezze e difficoltà. A partire dal presupposto che l’incontro con l’altro sesso nasce da un’esigenza inevitabile, quella del coito, frequentano vecchi giornalisti alcolisti, mariti infedeli e di scarsa intelligenza, senza mai provare davvero nei loro confronti altro se non comprensione. Talvolta se ne prendono gioco, ma senza essere davvero affrante dal disprezzo, dalla rivendicazione, dalla delusione che molto spesso attanaglia il genere femminile nella relazione eterosessuale: «È da questo che si riconosce una vera donna – scherzò Darryl Van Horne – si sente sempre come se l’avessero fregata». Per le streghe di Eastwick evidentemente non è così.
E poi questo romanzo è talmente godibile che leggerlo sarebbe comunque un peccato che vale la pena commettere: «Lo spirito ha bisogno di follia come il corpo ha bisogno di cibo».