È la memoria fotografica degli ultimi 60 anni del Locarnese. E sommando altri 35 anni di attività del negozio che fu di sua zia e poi di suo padre, arriviamo a quasi un secolo di scatti, fermi immagine, ritratti e panoramiche di una regione, sulle rive del Verbano, profondamente mutata ma che grazie al lavoro familiare di «scrittori di luce» non s’è persa nei meandri della storia. Marco Garbani Nerini, classe 1948, fotografo professionista e formatore, nonostante sia in pensione da tempo e abbia affidato il negozio al centro Pax di Muralto alla figlia Prisca – la quindicesima della famiglia ad occuparsi di fotografia – lo vedi ancora a qualche inaugurazione, festa, cerimonia, manifestazione pubblica o privata, imbracciare la sua Canon e fissare (oggi sulla scheda di memoria, un tempo su pellicola e prima ancora su lastra) frammenti di vita quotidiana del «suo» Locarnese. «Tutto cominciò con mia zia Camilla, nata nel 1901 e che nel primo dopoguerra espresse un desiderio rivoluzionario per l’epoca: andare a lavorare. Così si impiegò come commessa in un negozio di fotografia di Locarno, parlava tre lingue, compreso il tedesco, lingua imprescindibile non solo per questa professione», quindi insieme a colui che diventerà suo marito, aprì nel 1928 il primo negozio a Muralto, in viale Stazione, proprio di fronte al Grand Hotel. «È lì che mio padre, Marco, più giovane di mia zia, fece il suo apprendistato; quindi quando Camilla e suo marito, Walter Steck, nel 1936 si trasferirono a Zurigo, prese in mano il negozio di Muralto insieme ad altre tre sorelle più giovani. E nel 1963 arrivai io a bottega per cercare di carpire i segreti degli scatti fotografici, dello sviluppo, della stampa», racconta Garbani Nerini nel suo museo di Locarno Monti inaugurato l’11 novembre scorso.
In due grandi locali ha raccolto quasi un secolo di cimeli, macchine fotografiche, obiettivi, esposimetri e naturalmente stampe d’epoca, un autentico «sancta sanctorum» dell’immagine che mette volentieri a disposizione di chi gli chiede di visitarlo (basta chiamare allo 0917353410). Così come nel «retrobottega» del suo negozio di Muralto, tutte classificate, albergano lastre, pellicole, cartoline illustrate e stampe d’epoca che testimoniano quasi un secolo di passione per la fotografia della famiglia Garbani Nerini. «Sto cercando con il Comune di Muralto un luogo dove creare un museo permanente della fotografia. Ho una quantità incredibile di materiale, raccolto in tutti questi anni, perché di questo mestiere mi appassiona tutto, anche la storia: ho apparecchiature e macchine vecchie di cent’anni e ancora funzionanti. Reflex e obiettivi introvabili. Per non parlare delle decine di migliaia di cartoline, in bianconero e a colori, con immagini d’epoca, luoghi, piazze, vie, palazzi che non esistono più. Negli anni poi ho acquistato il materiale di altri fotografi, acquisito diversi archivi fotografici (o fondi fotografici) che hanno cessato l’attività, e vorrei appunto che questo patrimonio di macchine e immagini potesse essere conservato e valorizzato» ci dice con un certo orgoglio.
L’attività nel negozio fotografico Steck-Garbani Nerini prolifera dagli anni ’60 e ’70, anche perché ai servizi fotografici e allo sviluppo e stampa delle foto si affianca il laboratorio semi-industriale di Minusio. Ma a dare un notevole impulso all’attività ci sono le cartoline illustrate, quelle per intenderci da spedire «Con tanti saluti da Locarno» a parenti e amici. «Mio zio a Zurigo, oltre al negozio, si mise a costruire una macchina che permetteva la stampa delle cartoline. Non era una prima assoluta in Svizzera, ma considerando l’attività di fotografo di mio padre, che oltre a gestire il negozio di Muralto immortalava paesaggi, monumenti e palme, le cartoline della cosiddetta Sonnenstube, stampate con la macchina realizzata da mio zio Walter, ebbero un grande successo commerciale, sia in Svizzera interna che in Ticino», racconta. Nel frattempo il giovane Marco studia fotografia alla SPAI di Lugano (oggi CSIA) – «l’esame lo feci con il compianto Mario Binda», ricorda – comincia a girare il Locarnese e le Valli con la sua macchina fotografica al collo, affianca il padre nella gestione del negozio di Muralto e nello sviluppo dell’attività «complementare», quella di sviluppo e stampa, dopo un accordo vantaggioso con una tipografia.
A metà degli anni ’70 la svolta giornalistica: «L’amico Paolo Storelli mi propose di collaborare con lui per alcuni servizi di cronaca del Locarnese per il Corriere del Ticino. Poi arrivò Giò Rezzonico che m’ingaggiò per l’Eco di Locarno, quindi ci furono La Regione e il Giornale del Popolo». Con tanti anni di attività, anche come fotogiornalista, una moltitudine di aneddoti di situazioni o scatti mancati. Uno su tutti, ma che non lo coinvolse direttamente. «Eravamo nel settembre del 2004 con le prime macchine fotografiche digitali che si stavano imponendo sul mercato. Mio fratello Luca ricevette una “soffiata”: l’allora presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi si stava recando alla Clinica Hildebrand a trovare il “senatur” della Lega Umberto Bossi, suo alleato di governo, che era stato colpito da un ictus ed era ricoverato a Brissago. Mio fratello partì, riuscì a fotografare l’incontro tra Berlusconi e Bossi, fece diversi scatti e poi tornò per inviarli ai giornali. Nella memoria della sua macchina fotografica, però, non c’era traccia delle foto, tranne una. Per fortuna con quell’unico scatto non aveva perso l’attimo fuggente. Anni dopo, recuperando i dati da quella memory-card, misteriosamente ritrovammo una decina di scatti del servizio che mio fratello aveva fatto quel giorno con il premier italiano a Brissago».
Insomma non si muoveva foglia nel Locarnese che qualcuno della famiglia Garbani Nerini non fosse lì ad immortalarne il fruscio, il distacco e la caduta. Una presenza discreta ma costante ancora oggi, quando c’è da fotografare la castagnata al Burbaglio piuttosto che l’arrivo dell’ambasciatore indiano a Palazzo Marcacci. Una lunga carriera di fotoreporter con qualche soddisfazione: «Posso vantarmi di un piccolo ma significativo primato: sono l’unico fotografo ad aver immortalato tre presidenti della Confederazione ticinesi: Nello Celio, quando ero molto giovane, Flavio Cotti nella mia maturità professionale e più recentemente Ignazio Cassis». Parallelamente, Marco Garbani Nerini ha portato avanti un’altra sua passione, la formazione. Lui che aveva avuto grandi maestri, ha cercato di tramandare il mito della cattura dell’attimo fuggente alle nuove generazioni. Riuscendoci. «Da me sono passati i migliori fotografi professionisti della regione, che si sono poi illustrati anche a livello svizzero e internazionale. Diciamo che dalla fine degli anni ’60 ad oggi la famiglia Garbani Nerini ha formato una cinquantina di collaboratori che hanno creduto in questa attività e ci vivono. Nell’ambito della Federazione svizzera dei fotografi, Imagesuisse, di cui sono stato presidente e capo esperto degli esami, cerchiamo di tutelare questa professione e garantire che chi produce immagini o filmati riceva un adeguato compenso per l’utilizzo delle rispettive opere audiovisive nell’ambito dell’uso collettivo. Un mestiere che è cambiato in tutti questi decenni, in particolare con la rivoluzione del digitale, per non parlare degli smartphone, ma che continua ad avere un’attrazione e un fascino unico per chi ci si appassiona», conclude.