Taylor Swift, Miss Americana

by Claudia

Serie  ◆  La parabola della cantante statunitense nel documentario Netflix che costruisce un personaggio universale

Nell’ambito delle immancabili, più o meno autorevoli classifiche che inevitabilmente accompagnano ogni fine d’anno, non ha sorpreso il fatto che per la prestigiosa rivista «Time» la cantante statunitense Taylor Swift sia il «personaggio dell’anno 2023»: un riconoscimento, di fatto, ampiamente meritato, data la vertiginosa traiettoria ascendente della giovane artista – oggi giunta al suo massimo picco grazie all’incredibile successo del rivoluzionario The Eras Tour, grazie al quale la Swift ha battuto ogni record nella storia della musica live. Forse proprio quest’ultimo «centro perfetto» ha convinto molti critici musicali a rispolverare l’intrigante documentario Miss Americana, vero e proprio studio biografico di Taylor Swift firmato da Lana Wilson – e che, seppur realizzato nel 2020, sta attualmente vivendo una seconda giovinezza su Netflix, ottenendo grandi riscontri.

In effetti, visto a posteriori, il documentario appare profetico nella sua evidente volontà di ritrarre una stella già di immensa magnitudine, immortalandola nel momento in cui è sul punto di ascendere a vette ancor più esaltanti dell’olimpo pop tramite exploit del calibro del sorprendente album Midnights (disco più venduto del 2022). Non solo: nel tratteggiare la dettagliata istantanea di un fenomeno musicale il cui successo pare oggi non conoscere limiti, la regista sembra sottolineare come, davanti a un simile risultato, sia facile trascurare la persona dietro alla star – dimenticando come la Swift possa vantare una carriera già ventennale, avendo esordito da teenager ed essendo praticamente divenuta adulta sul palco. Da qui la scelta di soffermarsi su quelli che potrebbero definirsi i momenti di «presa di coscienza» di Taylor, la quale, nella sua crescita umana e artistica, sembra rappresentare il perfetto prototipo della ragazza di oggi, affetta da tutte le paure, dubbi e incertezze che accomunano le donne della sua generazione.

Certo, si può dire che, a tratti, Miss Americana soffra del medesimo difetto che affligge la maggior parte dei recenti documentari sulle star musicali – ovvero, la tendenza ad assumere uno sguardo per certi versi quasi voyeuristico, con accenti da rotocalco; lo si nota, ad esempio, nella sequenza in cui lo spettatore scorge Taylor sull’orlo delle lacrime nel raccontare del momento forse più difficile della sua carriera – quando, nel 2016, si ritirò praticamente dalle scene per un anno a causa dell’effetto devastante che le aspre critiche provenienti da «frange ostili» dell’opinione pubblica avevano sulla sua psiche. Del resto, uno degli obiettivi più evidenti di Miss Americana è proprio quello di indagare il mondo interiore della Swift, cercando di umanizzarla e renderla più vicina ai propri fan – tratteggiandola come la classica «ragazza della porta accanto», in cui è possibile, per il pubblico giovanile, riconoscersi e identificarsi.

Il documentario la mostra così nell’atto di attraversare, anno dopo anno, tutte le immancabili tappe della propria maturazione interiore, sia come persona che come professionista: nello specifico, il passaggio cruciale immortalato dalla Wilson è quello che permette a Taylor di evolversi da «brava ragazza» fortemente dipendente dall’approvazione altrui (come lei stessa si definisce) a donna adulta e consapevole; permettendoci così di assistere alla maturazione di una giovane star che, dopo essersi a lungo sforzata di ottenere il plauso altrui, scopre di possedere una coscienza sociale e civile – e, infine, di non avere paura di esprimerla. Passando dal senso di empowerment personale scaturito dalla causa intentata contro il DJ radiofonico che l’aveva molestata, alla decisione di rivelare al pubblico giovanile le proprie opinioni politiche tramite le dichiarazioni anti-Trump, fino all’appoggio alla causa LGTB, la Swift viene qui presentata come una giovane artista alla ricerca e scoperta di sé stessa: particolarmente eloquente è la scena in cui riceve la notizia di non essere stata selezionata per l’edizione 2018 dei prestigiosi Grammy Awards, e, per tutta risposta, afferma con tono sicuro che la cosa non le dà problemi, poiché la spingerà a scrivere un album migliore in futuro; il che, considerando la pressione che all’epoca doveva circondare quell’evento, ci restituisce un’immagine della giovane Taylor per molti versi illuminante.

In tal senso, l’astuta regia di Miss Americana tradisce un progetto calcolato, che va ben oltre l’atto di seguire la parabola ascendente della Swift da cantante country fino allo status di assoluta superstar, peraltro già garantito fin dal travolgente successo dell’album 1989 (pubblicato nel 2014). E se l’intenzione era quella di fare di Taylor Swift una sorta di role model per il pubblico giovanile, si può dire che il film raggiunga in pieno l’obiettivo, dal momento che già all’epoca della sua uscita ritraeva la diva come il fenomeno universale che sarebbe divenuta: uno dei rari artisti che, in barba alle facili categorizzazioni, si è mostrata in grado di travalicare qualsiasi confine culturale e geografico per abbracciare e accomunare diverse generazioni. Proprio il tipo di fenomeno che lo sguardo privilegiato offerto da Miss Americana illustra con sensibilità – non soltanto illuminando l’universo vorticoso che circonda la Swift, ma, soprattutto, accompagnando noi spettatori nel suo mondo interiore per mostrarci la donna dietro il nome.

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