Arnaldo Cipolla redattore viaggiante

Nell’epoca delle fake-news, parrebbe quasi un affronto occuparsi di un monumento del giornalismo di tutti i tempi, quale fu colui che venne ribattezzato il «Kipling italiano».

Ci stiamo riferendo ad Arnaldo Cipolla, campione di quella categoria di «redattori viaggianti» – come si chiamavano gli inviati e i corrispondenti di guerra nella prima parte del secolo scorso –, che incantò milioni di lettori.

Nei primi decenni del Novecento, costoro ci hanno raccontato il villaggio globale, forse con qualche fronzolo e con qualche artifizio retorico di troppo, ma con una penna capace di stupire e di lasciare ammirati.

Esploratore, scrittore, autore di decine di libri di viaggi, Cipolla nacque a Como, nel 1877, figlio di un garibaldino, Antonio, e di Giulia Bracciforte

Si chiamassero Luigi Barzini, o Vittorio Beonio-Brocchieri, Indro Montanelli, Curzio Malaparte o Dino Buzzati, questi narratori di terre lontane, questi affabulatori qualcosa in comune tra di loro ce l’avevano: la sete di avventura, il mal d’Africa o degli altri Continenti lontani, la febbrile ricerca della sfumatura esatta nel rievocare una sensazione colta. Insomma, auscultare il palpito sfuggente e segreto della madre terra.

Esploratore, scrittore, autore di decine di libri di viaggi, Cipolla nacque a Como, nel 1877, figlio di un garibaldino, Antonio, e di Giulia Bracciforte.

Assunto dal «Corriere della Sera», nel 1907, come corrispondente, assegnato all’Eritrea e all’Africa Orientale, passò successivamente alla «Stampa» di Torino, occupandosi della campagna di Libia del 1911-12. Uomo di inesausta curiosità intellettuale, coltivò e alimentò il genere della letteratura coloniale che gli procurò grande popolarità in Patria. Antesignano del reporter contemporaneo, oltre all’Africa, visitò anche i Paesi del Continente americano, focalizzando l’attenzione sul Medio Oriente, l’Asia Minore e l’India, ma giungendo fino alla Cina e al Giappone. Intervistò Gandhi, al quale donò un suo libro, e il celebre ritrattista inglese William Orpen lo immortalò, in un dipinto, realizzato sul fronte britannico, durante la Prima guerra mondiale, nel 1918.

Nel suo ultimo libro, Sino al limite segreto del mondo, pubblicato nel 1937 (nel 1949, uscì, postuma, la sua autobiografia), Cipolla colse come la via del petrolio fosse l’epicentro dei conflitti del mondo contemporaneo. Suonò l’olifante del suo aulico romanticismo, schierandosi dalla parte degli oppressi del globo terrestre.

Arnaldo Cipolla Bracciforte, che associò sempre al patronimico il riferimento al cognome materno, conservò nel suo archivio privato anche le lettere ricevute da Alberto Albertini quando entrò nei ranghi del «Corriere». Questi, capo dei servizi esteri del «Corriere della Sera», era con il mitico fratello Luigi, direttore della testata dal 1900 al 1925, coeditore del quotidiano milanese. Le missive albertiniane rappresentano una testimonianza del rigore anche amministrativo che guidava l’istruzione del «perfetto redattore» corrierista.

I materiali qui presi in esame riguardano il 1909, periodo in cui Cipolla venne incaricato di seguire i sommovimenti della polveriera balcanica. Sono documenti tratti da un fondo archivistico della Biblioteca comunale di Como. L’annessione della Bosnia Erzegovina all’impero asburgico, nel 1908, faceva temere un nuovo, grande conflitto, che poi sarebbe scoppiato, alcuni anni più tardi. Uno degli inediti, che pubblichiamo integralmente a parte in questa stessa pagina, conia le «regole d’ingaggio» di un inviato speciale: non un decalogo, ma un «ottalogo» del bravo giornalista immerso nel terreno geopolitico, che – fatta la tara dell’evoluzione anche tecnologica del giornalismo – mantiene ancor oggi una sua validità.

È, questa, l’occasione per accennare anche a cosa fosse il «Corriere della Sera» nella sua età dell’oro, ossia nel primo quarto del Ventesimo secolo, nel suo duplice ruolo di grande organo di opinione liberale, erede della Destra storica, e di qualificato strumento di informazione. Il quotidiano di via Solferino assolse una delicata funzione nell’orientare la politica estera italiana e garantire i suoi capisaldi, soprattutto nel riferirsi alle grandi potenze democratiche. Sul piano interno, il grande giornale della borghesia milanese era lo specchio, e insieme la guida, dell’establishment liberalconservatore, nel suo antigiolittismo, e nella cauta apertura alle istanze dei nazionalisti più moderati.

Con l’avvento del fascismo, il «Corriere della Sera», sulle prime, credette di cogliere in Mussolini il restauratore dell’ordine, contro la marea «rossa». Ma, appena il governo del Duce accennò a picconare i cardini dello Stato liberale, gli Albertini si collocarono all’opposizione, accusando i fascisti di voler instaurare un regime alla maniera del leninismo sovietico. Così i due fratelli editori si videro revocare la gerenza, e il giornale, passato in altre mani, finì per essere «fascistizzato», fin dal 1925. Quanto a Cipolla, morì, di polmonite, nel 1938, quando era imminente la sua nomina a senatore del Regno.

Le 8 regole auree dell’inviato speciale del «Corriere della sera» dell’era Albertini

18 marzo 1909 Sig. Arnaldo Cipolla

PRO-MEMORIA

1. Non muoversi dalla propria residenza se non dietro ordine o previo accordo con la Direzione. Muovendosi dare sempre l’indirizzo preciso, far conoscere il proprio itinerario e il proprio recapito, in modo che la Direzione possa in qualunque momento telegrafare con la sicurezza che il suo dispaccio sarà ricevuto.

2. Non raccogliere notizie vaghe o incontrollabili, o quando si raccolgono mettere in chiaro la loro natura e la fonte cui sono attinte.

3. Nel caso di conflitto non esporsi a rischi inutili. Ricordare la propria qualità che è di corrispondente di giornale e non di belligerante.

4. Non spendere in equipaggiamenti e in provviste somme eccessive, e non sovrabbondare in fotografie.

5. Mantenere le spese nei confini del necessario e dell’utile. Non assoldare aiutanti inutili; insomma, anche dovendo seguire le operazioni di guerra, non dimenticare che un giornale italiano non è un giornale inglese o americano. Non affidare servizi o incarichi ad alcuno senza previo accordo con la direzione.

6. Mantenere il servizio in limiti strettamente proporzionati agli avvenimenti. Se questi sono scarsi o di poca importanza non è affatto necessario telegrafare molto.

7. Per i telegrammi cercare le vie più economiche e non ricorrere a quelle più costose se non dopo accordi, e solo in casi eccezionali. Non telegrafare d’urgenza se non in casi eccezionalissimi.

8. Nel caso nascesse il conflitto e le spese aumentassero in modo da non poter restare nei limiti del forfait stabilito, mandare i conti settimanalmente.

Alberto Albertini

Related posts

Cape Ann, per le fughe d’amore, le gite e l’ispirazione di artisti

L’illusione della scelta infinita

Marco D’Anna, fotografo viaggiatore