#nonsoloinstagram – A Chiasso un laboratorio di fotografia e scrittura creativa proposto ai ragazzi delle Scuole medie sfocia in una mostra e poi in un libro
Tutto è iniziato un paio di anni fa, quando l’artista fotografa Aline d’Auria ha proposto al docente Loris Viviani di dar vita a un laboratorio creativo, una specie di doposcuola in cui i ragazzi e le ragazze delle Medie di Chiasso potessero esprimersi attraverso la fotografia e la scrittura, senza assolutamente nessun tipo di valutazione. Qualcosa di libero, profondo e umano dal titolo #nonsoloinstagram. Il gruppo si è formato con sette ragazz (non tutte si identificano con il femminile di questa parola), interessate alla proposta e da lì sono iniziati gli incontri. Aline ha portato libri di fotografia, immagini da commentare, insieme sono andati a vedere mostre e paesaggi, hanno ascoltato musica provando a scrivere cosa suscitava in loro. Le ragazz sono state stimolate a osservare fuori, osservarsi dentro, provare a usare le immagini e le parole per raccontare una parte di loro stesse.
Hanno realizzato degli autoritratti, degli scatti a persone di famiglia, ai luoghi di vita, a ciò che le colpiva. Sono state invitate a mettere i pensieri su carta senza curarsi della forma. Loris, che si occupava della parte testuale, racconta che ha fatto un lavoro di «descolarizzazione», perché a volte il contesto della scuola non incoraggia l’espressione dell’io più profondo. «Come una foto sfocata a volte parla più di un’immagine perfetta dal punto di vista tecnico, così anche un testo sgrammaticato può essere più forte e potente di una serie di frasi senza i cosiddetti errori», spiega e Aline aggiunge: «Volevamo staccarci dall’idea che la foto perfetta è quella in cui tu sei uscita perfetta, con il trucco perfetto ecc. Quello che ci interessava di più erano la sincerità, l’aderenza a sé, la ricerca di qualcosa che fosse importante, almeno nel momento della creazione».
Hanno anche fatto un ritiro di tre giorni a Cabbio, una frazione del Comune di Breggia, per lavorare insieme. «Sono stati momenti di unione e di sorprese», racconta Loris. «Accadono cose impensabili e non program mabili, come un momento speciale a cucinare una torta di mele e a parlare di filosofia». Aline aveva portato la sua attrezzatura professionale e le ragazz si sono fotografate a vicenda, e hanno fotografato anche quello che le colpiva intorno a loro, oggetti, situazioni, paesaggi. Dopo il primo anno il doposcuola è sfociato in una mostra, dentro a uno spazio che hanno trasformato in una galleria d’arte, con l’aperitivo, gli amici, il pubblico, un dj. Si è trattato di un lavoro collettivo: non ci sono le firme personali, tutto è di tutte, le anime si fondono nel racconto corale.
Chiedo ad alcune delle ragazz come si sono sentite, come hanno vissuto questo monte-ore. «Ormai siamo delle artiste», ride una di loro. «Non volevamo che finisse, perciò, anche se alcune di noi avevano concluso le medie, abbiamo chiesto di proseguire con un altro progetto. Ci siamo dette che questa mostra poteva diventare un libro e così, durante tutto l’anno scorso abbiamo lavorato ancora con Aline, Loris e con una grafica, Lia Araujo. Ne è nato un libro che si intitola Mi sento me stessa quando, che raccoglie le nostre fotografie, i nostri testi e un’introduzione poetica di Prisca Agustoni».
Si tratta di un volumetto rosso fatto di bella carta e con la grafica curata, e appena lo si apre è chiaro che si sta entrando in qualcosa di intimo.
«Raccontare noi stesse», dicono le ragazze, «è stato liberatorio. All’inizio non è facile, almeno non per tutte. Ma poi abbiamo capito che ci potevamo fidare, le une delle altre, e anche di Aline e Loris. Abbiamo capito che non avrebbero spifferato i nostri segreti e che avrebbero rispettato i nostri desideri. Scrivere fa sentire più leggeri. È un po’ come fare ordine dentro di sé. A volte quello che abbiamo scritto può sembrare cupo, ma rappresenta tutto il nostro essere, è solo la parte che di solito teniamo nascosta». Chiedo loro se davvero, come ho letto, «crescere fa schifo». Ridono. «Ma no, cioè, sì, a volte. Ti senti sola, fai fatica a trovare qualcuno come te. Ma poi passa. Le medie fanno schifo, ma ci sono alti e bassi, sono momenti». È come la poesia: è vera nell’attimo. Come la fotografia.
I testi parlano della vita familiare, delle cose che si hanno nella testa, di ciò che non si capisce, dei momenti in cui nessuno ti ascolta, di quando gli adulti (genitori, insegnanti) instaurano relazioni che non funzionano; se il mondo fa schifo non è certo solo colpa dell’adolescenza. Il libro esprime anche la difficoltà di accettare il proprio corpo, la propria immagine: «È che stiamo cambiando, quindi non è facile. L’infanzia se n’è andata e a volte allo specchio non ci riconosciamo», raccontano, ammettendo che ogni persona è sempre molto severa con sé stessa, figuriamoci con un corpo nuovo ancora in formazione. Mi parlano di episodi in cui non si sono sentite accettate per il loro aspetto fisico. «Succede in continuazione, a scuola, alla fermata del bus. Ti dicono parole, ti prendono in giro, a me hanno anche buttato i sassi». Forse poi si dimentica, ma la vita da adolescenti non è facile per niente. Qualcuno ha scritto nel libro: «Quando mi dicono “sii te stessa” penso: ma come faccio a essere me stessa se nessuno mi vuole come sono veramente?».
Spesso si dice che oggi facciamo troppe foto, ma secondo Aline d’Auria non bisogna giudicare negativamente a priori: «È il nuovo linguaggio, è un modo di esprimersi e di comunicare. Se però scelgo una foto e decido di stamparla, la espongo in un contesto, mostra o libro che sia, sto facendo un passo importante e la faccio diventare un messaggio. Anche una foto banale, messa in risalto, prende potenza. Quindi anche quando mandi la foto di quello che stai mangiando magari stai dicendo qualcosa di importante». Aggiunge una delle ragazze: «È vero, magari è il piatto che hai cucinato con qualcuno o per qualcuno, oppure è stato un momento bello e te ne vuoi ricordare o vuoi che l’altra persona se ne ricordi. La forza sta in quello che c’è dietro alla foto». Ora mi dicono che fanno più foto di prima e che le guardano in modo diverso. Sanno che non è solo il soggetto che importa, o la tecnica, ma lo sguardo di chi ha guardato nell’obiettivo e scattato.
Il libro, generoso e pieno di coraggio, è stato recepito benissimo, dal pubblico, dai compagni, da alcuni dei genitori (altri non lo hanno visto e alcuni non lo hanno letto fino in fondo). Le autrici hanno ricevuto parecchi commenti positivi e hanno capito che è un volume che tocca ogni persona in un modo diverso. Una di loro non lo rilegge perché si emoziona troppo, un’altra lo sfoglia ogni sera «come una messa». Si intitola Mi sento me stessa quando… e si trova a Chiasso, nella Libreria Leggere e alla Galleria Consarc.
Una frase, dentro al libro, forse, riassume l’autoritratto collettivo delle sette giovani: «Ecco come mi sento quando scrivo: sono un po’ triste, un po’ felice e un po’ arrabbiata».