Il contrabbandiere di libri proibiti che sfidava i potenti da Capolago

Nell’Ottocento Capolago era come WikiLeaks, il sito fondato da Julian Assange per diffondere documenti segreti e imbarazzanti per i potenti del mondo. In un edificio bianco affacciato sul lago, accanto al quale oggi sfrecciano – ignari della sua stupefacente storia – i convogli del TILO, venivano dati alle stampe gli scritti proibiti dei «patrioti» italiani (prima che l’Italia esistesse), suscitando la ferocia degli austriaci, a quei tempi padroni della Lombardia. È una storia affascinante e molto ben documentata: quella della Tipografia Elvetica, fondata nel 1830, fucina di penne e menti brillanti, all’inizio neppure d’accordo fra di loro, ma accomunate dal coraggio delle idee e dalla passione civile, un «lusso» che a quei tempi poteva anche costarti la vita. 

Luigi Dottesio attraversava clandestinamenteil confine tra Mendrisiotto e Lombardia per diffondere il verbo dell’unità d’Italia, ma alla fine venne catturato e ucciso

Fra i ribelli dell’Elvetica c’era anche il comasco Luigi Dottesio, l’Assange dell’epoca appunto, l’uomo che attraversava il confine del Mendrisiotto per diffondere il credo risorgimentale col suo carico di libri proibiti stampati a due passi da Lugano, in Ticino, Eden di libertà e rifugio dalla persecuzione. Una passione infuocata per la causa politica che si intrecciava con una contrastata storia d’amore che è anche diventata un romanzo che ricostruisce i legami segreti tra una parte e l’altra della ramina, quando la merce clandestina che circolava – però – non erano le sigarette né stranieri male in arnese arrivati dall’Africa, ma idee, anzi ideali da incidere sul marmo delle lapidi: «…Qui fu l’umile eroica stamperia onde il proscritto pensiero in sacro contrabbando varcato il confine avvicinava l’Italia ne’ cuori tale nella Santa parola dalle libere terre alle schiave…», si legge sulla base del monumento eretto davanti all’edificio dell’ex Tipografia Elvetica. 

Il romanzo in questione si intitola Il contrabbandiere di libri, è edito dalla rediviva Tipografia Helvetica e l’ha scritto il giornalista e scrittore comasco Pietro Berra, che abbiamo intervistato. 

Berra, vista dall’attuale Italia, la Svizzera di allora, – siamo a metà dell’Ottocento – poteva essere considerata la culla della libertà di Stampa? 
Sì, già nel 1746 era stata aperta la prima tipografia, la Agnelli in piazza a Lugano. Da allora la libertà di stampa si protrae per 107 anni, fino al 1853, quando l’Elvetica è costretta a chiudere i battenti. Per questo la vicenda del Dottesio è così importante. 

Che cos’era la Tipografia Elvetica in quegli anni? 
Immaginando questa realtà nei giorni nostri, forse poteva corrispondere al sito WikiLeaks; trovo dei punti di contatto tra Dottesio e la vicenda di Julian Assange. Incredibilmente, il rischio di essere perseguitati perché si pubblicano testi clandestini esiste ancora. Alla Tipografia Elvetica vengono attribuiti 493 volumi pubblicati. Quasi 500 titoli. Era nata nel 1830 con Carlo Massa e altre figure sia ticinesi sia italiane, sterza – e assume subito una sua credibilità – pubblicando opere importanti come Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo e di altri autori molto significativi. Entra nei libri di storia nel 1847, quando Alessandro Repetti, un genovese viene a Como per trattare l’eredità del padre e – pare proprio su incitamento di Dottesio – scopre la possibilità di acquistare la Tipografia Elvetica. Ci mette le risorse come proprietario unico. E a quel punto le pubblicazioni diventano più coraggiose e, secondo gli austriaci, «rivoluzionarie». In quel periodo entra nella direzione un’altra figura fondamentale: Carlo Cattaneo. 

Sul piano ticinese quali furono le battaglie dell’Elvetica? 
Una delle battaglie portate avanti dalla Tipografia riguardava il progetto di far passare il treno sul ponte di Melide, per esempio, progetto che all’epoca fallì. Si interessavano alla riforma della scuola che uno di loro, Cattaneo, realizzerà fondando il liceo cantonale di Lugano. In una delle ascese al monte Generoso di Repetti e Dottesio, i due incontrano Carlo Pasta che stava andando a perlustrare i luoghi dove sognava di creare il suo albergo. Del resto, il padre di Pasta aveva lavorato alla Tipografia Agnelli. 

Sono passati molti anni da allora. 
Sì, ma la lezione dell’Elvetica rimane intatta. La grandezza e la lezione per l’oggi della Tipografia è di avere dato voce a tante opinioni diverse che – nel caso specifico – avevano in comune l’idea di riunire l’Italia, di farla diventare un unico Paese. Nel catalogo dell’Elvetica trovi i libri di Gioberti che voleva l’Italia unita ma sotto il Papa e quelli di Massimo d’Azeglio, primo presidente del Consiglio del Regno di Sardegna, che puntava a sottomettere tutta l’Italia ai Savoia. Vi collabora però anche Mazzini che la voleva repubblicana e Cattaneo che se la immaginava federale, come la Svizzera. Prima di fare il Paese già ci si divideva su come farlo.

Cosa rappresentavano la Svizzera e il Ticino per i padri del Risorgimento italiano? 
Il legame con la Svizzera non è solo per l’ospitalità che i patrioti vi ricevono, ma per la complicità ideale e culturale. Basti pensare alla partecipazione dello stesso Alessandro Repetti alla guerra del Sonderbund e alla frequentazione di Dufour con l’Elvetica. Gli amici svizzeri come Vincenzo Vela e Antonio Arcioni ricambiano, passando il confine nel marzo del 1848: prima per liberare Como e poi, insieme ai comaschi, Milano. C’è un comune sentire spinto da un’idea di libertà e di autodeterminazione dei popoli e dal riconoscersi in una cultura comune. Le due collane più importanti realizzate dall’Elvetica sono quelle dirette da Carlo Cattaneo: L’Archivio triennale delle cose d’Italia (1850-53) e i Documenti della guerra santa d’Italia (1849-51). La Tipografia disponeva di una serie di corrispondenti che dalla Sicilia (dove l’uomo di riferimento era Francesco Crispi, poi presidente del Consiglio dell’Italia unita) arrivavano fino a Capolago, in una rete incredibile.

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