Quando possiamo parlare di «dipendenza»?

by Claudia

Monitoraggio e consapevolezza delle conseguenze da uso di sostanze nel nostro territorio. Parla Alberto Moriggia

La fondazione Dipendenze Svizzera, il cui intento è prevenire e ridurre in modo efficace i problemi legati alle varie forme di dipendenza, descrive le attuali tendenze in fatto di consumo di alcol, tabacco, droghe illegali e farmaci psicoattivi, riservando all’uso di sostanze un’accurata panoramica che tiene conto del contesto giovanile.

La carrellata di sostanze, il cui uso (e abuso?) è favorito da un accesso facilitato ai giovani, inizia dall’alcol: «I test di acquisto nel commercio al dettaglio e nella ristorazione hanno dimostrato che i giovani hanno potuto ottenere illegalmente bevande alcoliche nel 33,5% dei casi; addirittura nel 93,8% nell’acquisto online». Per quanto attiene all’uso del tabacco: «L’uso delle sigarette elettroniche puff bar (monouso, ndr) si sta diffondendo tra gli adolescenti e i giovani adulti senza una parallela diminuzione del consumo di sigarette tradizionali. Questo potrebbe generare un nuovo gruppo di dipendenti dalla nicotina».

Dipendenze Svizzera lamenta che l’analisi del consumo illegale di droghe in Svizzera manchi di dati aggiornati: «Ma negli ultimi anni è aumentata la domanda di trattamenti per problemi di cocaina, mentre è diminuita quella per l’eroina. Per quanto riguarda la canapa, le tendenze sono ancora poco chiare». Resta da definire il concetto di dipendenza che l’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp) così descrive: «Malattia caratterizzata da un comportamento compulsivo che persiste anche dopo l’insorgenza di gravi conseguenze negative sul piano sociale e della salute per la persona affetta e il suo contesto socio famigliare».

Ne parliamo col dottor Alberto Moriggia, direttore sanitario di Ingrado e medico accreditato all’Epatocentro Ticino, che si sofferma sul concetto di dipendenza: «Mi è successo di accompagnare a casa un ragazzino minorenne che si allena nella palestra da me frequentata. Chiacchierando mi ha chiesto cos’è, secondo me, una dipendenza». Moriggia rilancia e il ragazzo risponde: «Non tutti quelli che conosco hanno una dipendenza, anche se fumano o bevono; perché “dipendenza” è “quando ti rovini”». Ciò permette di riflettere sul termine stesso che non rispecchia in modo efficace la problematica, spiega Moriggia: «È una parola inadeguata, perché dipendenza in italiano ha un significato che non troviamo in altre lingue». Egli fa notare che «in inglese si dice dependence o, meglio ancora, addiction. In tedesco Abhängigkeit o Sucht. Mentre in italiano non esiste il termine addiction, che però risulterebbe il più appropriato». Allo stesso modo per quanto attiene alle sostanze: «Suchtmedizin, addiction medicine, medecine de l’addiction… quindi, in italiano è appropriato parlare di “disturbo da uso di…”».

Pare una lezione sintattica ed etimologica della lingua italiana, ma la terminologia è essenziale perché «ha risvolti terapeutici molto importanti. Dipendenza denota una situazione di passività (dipendo da questa cosa, non ce la faccio a stare senza). Addiction è qualcosa di attivo: è una mia tendenza (un’affezione?)». Comunque, si parla di una malattia del comportamento: «Una voglia spasmodica, spesso difficilmente controllabile, a consumare una sostanza o ad assumere un comportamento». Ad esempio: «Addiction forte per alcol, sigaretta, oppioidi, cannabis, ma pure cellulare, sesso, gioco d’azzardo (dipendenza da comportamento)».

Le parole sono importanti, e addiction dà la cifra della ricaduta: «Non possiamo incappare nell’errore di pensare che una persona rimanga dipendente per sempre, che non guarisca mai, perché ciò preclude a priori l’idea di cura. Perciò, è corretto dire che si tratta di patologie croniche: se ne può guarire perché la malattia può andare in remissione, un concetto sostanzialmente diverso da quello di patologia acuta».

Così come nelle dipendenze da comportamento, anche per definire il disturbo da uso di sostanze sono undici i criteri diagnostici riportati dal DMS-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), in parte sopra riassunti dal dottor Moriggia al quale chiediamo quale sia la tendenza che possiamo osservare nei giovani: «È l’alcol la sostanza in assoluto più consumata, quella che dà più problemi a livello mondiale. Seguono gli stimolanti: cocaina, anfetamina, meta-anfetamina, nicotina, senza dimenticare i tranquillanti (principalmente le benzodiazepine), i farmaci sia prescritti che assunti liberamente. La cannabis è un tema a sé, che può creare dipendenza ma in modo diverso dalle altre».

Questa la fotografia del nostro territorio da parte dell’antenna Ingrado: «L’alcol è sempre presente e non saprei dire se la pandemia abbia davvero avuto un ruolo nella sua recrudescenza. Sicuramente la situazione non è migliorata: l’abuso e la dipendenza da alcol è una costante di lunghissima data che difficilmente è scalfita da qualsivoglia evento». Egli osserva che sul territorio se ne consuma parecchio: «Esiste una mentalità soggiacente difficile da mutare». Sulle sostanze illegali: «Si nota un’esplosione di cocaina consumata in diversi modi. Rispetto all’uso per inalazione, che già non è il massimo, il consumo di crack è molto più pericoloso (ndr: cocaina trattata per essere fumata)».

Sebbene da noi l’aumento del consumo di crack non abbia ancora carattere estremo, Moriggia individua in chi ha sempre consumato diverse sostanze («compresa l’eroina») coloro i quali vanno in questa pericolosa direzione: «È più facile accedere al consumo di crack; ad esempio, un ragazzino può impiegare molto tempo prima di iniettarsi eroina, ma per fumare crack ci vuole poco, l’accesso è molto più semplificato, però la dipendenza è molto più forte e disgregante!».

Il medico mette all’erta: «Non è come fumare cannabis, ma ha molte più affinità col consumo di eroina e i consumatori sono problematici». Per i suoi effetti immediati: «Il crack aumenta repentinamente i livelli di dopamina, producendo piacere, sensazione di grandiosità, euforia, benessere». Ma l’aumento repentino dell’ormone del benessere è il problema principale: «Il rapido effetto che sfuma produce una voragine che obbliga a consumarne ancora e ancora, scatenando la voglia di ripetere l’esperienza e aumentando sempre più il bisogno della sostanza».

Le conseguenze sono presto immaginabili: «Oltre a quelle già evidenziate, con gli anni aumentano gli effetti collaterali sul sistema cardiocircolatorio (cocaina), così come i problemi polmonari, per non dimenticare il contesto psicosociale e famigliare fortemente intaccati dal disturbo da uso di sostanze e dalle loro conseguenze». Discorso a sé per la cannabis, e Ingrado si occupa pure di mediazione fra le famiglie e i giovani che ne fanno uso: «Cerchiamo di ricreare e favorire un dialogo per valutare se il consumo sia problematico o meno».

Si torna al concetto di dipendenza, e sul fatto che non tutti i consumi sono problematici. Così si chiude il cerchio sull’aneddoto iniziale che ci fa chiedere se il ragazzino della palestra avesse ragione: «Non tutti i consumi sono considerati problematici: esiste il consumo, ed esiste il consumo problematico. Ci sono sostanze con cui è più facile scivolare nel consumo problematico (se parliamo di eroina, forse basta una volta)». Allora, non sempre si può parlare di dipendenza, perché «dipendenza è quando ti rovini», diceva il ragazzino. E siccome potrebbe bastare anche una sola volta, è di certo meglio nemmeno provarci.

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