Narrativa ◆ La storia di Tookie che sopravvive al carcere grazie ai libri e rinasce in una libreria di Minneapolis
I libri possono salvare da una vita dissipata? Sì, non c’è dubbio. Così come non c’è dubbio che questa storia di redenzione grazie alla lettura (redenzione durissima, ma al tempo stesso incantevole, poiché venata di mitologia e di fiabe dei nativi americani) si ricolleghi a un filone che narra di esistenze, vere o immaginarie, in cui i libri hanno rappresentato l’estrema àncora di salvezza. Come nel caso di Jean Genet o di Arturo Bandini, il protagonista di Chiedi alla polvere di John Fante, così autobiografico sotto un velame di finzione.
La vicenda prende avvio con l’arresto di Tookie, la protagonista, nella primavera del 2020 quando Minneapolis vive giornate di rabbia e guerriglia urbana a seguito dell’uccisione di George Floyd. Rea di avere aiutato un’amica a trasportare droga, Tookie viene condannata a sette anni di carcere ai quali sopravvive grazie a letture voraci che le fanno ingurgitare di tutto, dalle graphic novel a Proust, da Louis L’Amour a Almanac of the Dead. Tookie capisce ben presto che per lei leggere rappresenta l’illusione più efficace per trascinare la mente fuori da quel luogo claustrofobico. Ma ecco un avvenimento che ha del miracoloso: appena uscita di prigione trova lavoro in una piccola libreria di Minneapolis. Nel libro ci sono pagine splendide che descrivono i momenti di estasi di questa meravigliosa e dura professione: accadono ogni volta che una libraia incontra un lettore con cui condivide un entusiasmo sconfinato per un determinato scrittore. Tookie dunque si barcamena nella sua nuova vita tra i libri da vendere ma che vorrebbe solo per sé, come quando era in carcere, e l’esplorazione di Minneapolis alla ricerca di un pasto a poco prezzo. Ma Tookie ha sangue misto e spesso il sangue le va in subbuglio. Anche perché una cliente assidua, Flora, muore, ma si ripresenta alcuni giorni dopo sotto forma di spirito (il fiabesco di cui si diceva). La cosa sorprendente è che il fantasma di Flora continua ad aggirarsi per la libreria e a frugare tra le novità. Possibilissimo, del resto la mitologia degli indiani d’America, come ogni mitologia, mostra dei confini mentali permeabili e «vedere fantasmi» rientra tra le possibilità dei suoi codici narrativi. E si consideri che le librerie sono luoghi magici per eccellenza, come ha mostrato Borges nella Biblioteca di Babele.
In ogni caso Tookie si rivela un’abile piazzista di libri: quando un cliente le rivela i propri gusti, le si attiva una fittissima rete di associazioni mentali, frutto delle sue sterminate letture carcerarie, e immancabilmente propone il libro perfetto. Ecco che cosa serve per farsi una cultura: qualche anno di cella d’isolamento e una biblioteca fornita!
La grande controversia riguardante le rivendicazioni dei nativi americani emerge costantemente nelle pagine del libro. Si scopre così, per esempio, che per loro la ricorrenza del Thanksgiving è un giorno infausto perché ricorda l’inizio dell’invasione dei primi coloni bianchi e le persecuzioni che seguirono. Perciò hanno ribattezzato quella festa Thanks-taking. E si rimane sbalorditi apprendendo che la legge che obbliga i musei etnografici a restituire i cadaveri dei nativi ai legittimi discendenti (rimuovendoli perciò dalle vetrine nei quali erano non di rado esposti) è stata varata solo nel 1990. Nel frattempo il fidanzato di Tookie è deciso a non farle dimenticare le loro comuni origini potawatomi: partecipano a cortei di protesta, organizzano mercatini, si impegnano per la Causa, sono orgogliosi delle loro radici. Ma sotto sotto, ci si potrebbe chiedere, tutto questo attivismo non è una scusa, un modo di sopravvivere vendendo chincaglieria etnica ai turisti? Un modo in fondo per illudersi di dare un senso, sia pure effimero e venale, a ciò che rimane della loro cultura defraudata dagli invasori?
Ovviamente si intuisce l’osmosi tra la protagonista del libro e Louise Erdrich, essa stessa proprietaria di una libreria proprio a Minneapolis, così come la piccola libreria minacciata dalle grandi catene diventa facilmente metafora dei territori dei nativi minacciati dall’avidità dei «bianchi». La stessa epifania spettrale di Flora (che aveva sostenuto di essere stata un’indiana in una sua vita precedente) è funzionale ad attivare una sorta di coscienza collettiva della comunità.
Ma non si creda che L’anno che bruciammo i fantasmi sia solo un testo (giustamente) rivendicativo. È, anche, una lunga dichiarazione d’amore verso la letteratura. Ma pure il racconto delle traversie di una piccola comunità dove tra i suoi membri circola tenace la linfa della solidarietà, per di più insaporita dall’ironia. Assistiamo così agli sforzi, a volte rabbiosi, con cui i loro membri cercano di emanciparsi dalle strettoie di una cultura egemone che sentono ostile. Una comunità pulsante malgrado tutte le angherie subite, ostinata nel voler tenere in vita le antiche conoscenze tribali.
Tookie sa che la società americana, in gran parte ancora maschilista e classista, è implacabile e la etichetta in base a un triplice, odioso stigma: donna, ex detenuta e nativa. Eppure, nonostante tutto, quei libri letti avidamente nel carcere l’hanno salvata e le hanno dato la forza di fornircene una splendida testimonianza.