L’America Latina (e non solo) è incollata alle tv che trasmettono immagini di una serie di assalti e violenze in corso in Ecuador. Il piccolo Paese andino, ricco di petrolio, è teatro di una guerra innescata da narcotrafficanti con legami mai chiariti con alti politici locali. Roberto Saviano sul «Corriere della sera», settimana scorsa, parlava di «narcogolpe» che vuole terrorizzare il Paese e ristabilire la supremazia delle gang sul Governo. Al momento non è da escludere neppure l’ipotesi che finisca per essere una sorta di «autogolpe», ossia che le autorità colgano l’occasione per instaurare un regime di sorveglianza e leggi liberticide. Il presidente ecuadoriano, Daniel Noboa, in carica da due mesi, lo ha definito «conflitto armato interno». Ciò consente il dispiegamento delle forze armate contro chiunque venga sospettato di fare in qualche modo parte di bande; una ventina di gruppi di criminalità organizzata sono stati dichiarati «organizzazioni terroristiche» e alle forze armate è stato dato l’ordine di «neutralizzarli». Settimana scorsa durante un tg del canale «TC Televisión» un gruppo di ragazzi incappucciati ha fatto irruzione nello studio e ha preso in ostaggio i giornalisti. In diretta in quasi mezz’ora si sono visti giornalisti implorare di non essere uccisi. La polizia alla fine ha arrestato gli assaltanti, non ci sono state vittime. I Governi dei Paesi vicini sono in allarme.
Tutto ciò avviene mentre il Continente è in piena ondata elettorale. Argentina, Ecuador, Guatemala e Paraguay hanno tenuto elezioni presidenziali nel 2023. Messico, Venezuela ed El Salvador si apprestano a votare nel 2024. Il panorama è di grande trambusto politico e sociale. Dopo la grande sorpresa della sconfitta del peronismo in Argentina, il neo presidente Javier Milei, outsider di estrema destra che ha vinto con l’intenzione dichiarata di voler «dollarizzare» l’economia, tagliare i ministeri, licenziare i dipendenti pubblici assunti nell’ultimo anno e privatizzare molti settori, ha spalancato le braccia alla cooptazione di chi, dall’opposizione e dalla società civile, vorrà saltare sul suo carro: «Riceveremo a braccia aperte tutti quei leader politici, sindacali e imprenditoriali che vogliono unirsi alla nuova Argentina». La differenza politica dei prossimi mesi la farà proprio l’eventuale successo di questo suo invito. Chi sembra politicamente aver preso in mano la leadership dell’opposizione è il governatore della provincia di Buenos Aires, il cinquantenne Alex Kicillof, peronista di sinistra. Attorno a lui si sta coagulando l’enorme magma di disoccupati organizzati e di associazioni varie, non solo sindacali e spesso in contrasto con i sindacati ufficiali, che minaccia di paralizzare la capitale se le misure economiche di Milei si tradurranno in realtà.
In Guatemala, 6600 chilometri a nord di Buenos Aires, sono passati 5 mesi da quando Bernardo Arévalo ha incassato una vittoria elettorale schiacciante. E in questo periodo le istituzioni democratiche sono state messe a dura prova. Arévalo è stato lanciato politicamente da una piattaforma anti-corruzione e di recente ha avuto una serie di problemi giudiziari. Ci sono state molte proteste. Il Paese sembra sull’orlo di un’esplosione. Ciò che alcuni sostenitori di Arévalo dicono di temere è che i loro avversari stiano spingendo per acutizzare la crisi in modo di poter intervenire nella transizione e affermare il loro potere. La Procura ha annunciato che, a causa di presunte irregolarità, le elezioni presidenziali dovevano essere annullate. Il Tribunale supremo elettorale l’ha contraddetta e ha ribadito che Arévalo deve occupare la presidenza. Il clima politico è da tormenta elettrica. In Messico, l’elezione forse più attesa del 2024, saranno due donne a sfidarsi a giugno per le presidenziali. La conferma è arrivata dopo che il partito di sinistra al potere, il Movimento di rigenerazione nazionale (Morena), ha annunciato di aver scelto come candidata Claudia Sheinbaum, ex sindaca di Città del Messico. Sheinbaum dovrà affrontare la rivale del partito conservatore Pan (Partito di azione nazionale, opposizione), Xochtil Galvez, già scelta come candidata della destra alle presidenziali.«Io sostengo Claudia Sheinbaum», ha detto il presidente in carica, Andrés Manuel López Obrador, noto come Amlo, che per legge non potrà candidarsi ancora. Nata da genitori ebrei a Città del Messico, Sheinbaum, fisica con un dottorato in ingegneria ambientale, dovrebbe effettivamente beneficiare in termini di voti del largo consenso di cui gode l’attuale presidente messicano, il cui partito controlla 23 Stati su 32.
A sfidare Sheinbaum alle prossime elezioni sarà, come detto, la candidata del partito Pan, la senatrice di origini indigene, Xochtil Galvez. Anche lei è ingegnere ed è cresciuta in una piccola città a due ore dalla capitale. È in Parlamento dal 2018. Entrambe le candidate assicurano di voler mantenere in vigore le misure contro la povertà e sono favorevoli alla depenalizzazione dell’aborto, tema di divisione politica in Messico. Una posizione che la conservatrice Galvez appoggia in contrasto con il suo partito. Infine nel Venezuela sprofondato nella decadenza del chavismo diventato ormai un regime autocratico senza spazi per il dissenso politico, il presidente Nicolas Maduro, al potere dal 2013, non ha ancora confermato se si ricandiderà. In un’intervista con il giornalista spagnolo Ignacio Ramonet, sostenitore del defunto presidente Hugo Chavez, Maduro ha detto che parlare della sua rielezione è prematuro. Ha fatto riferimento a Diosdado Cabello, figura di primo piano del potere chavista. Potrebbe essere lui il candidato del Partito socialista unito del Venezuela, il partito di regime. Dall’opposizione non è ancora chiaro chi sarà il candidato. María Corina Machado, che ha vinto le primarie della principale alleanza di opposizione, è interdetta dalle cariche pubbliche per 15 anni. Ma aspetta una risposta definitiva dalla Corte suprema di giustizia su questo provvedimento.