L’adolescenza è una fondamentale quanto delicata e turbolenta fase dello sviluppo psico-fisico della persona. «È il periodo della pubertà, dell’acquisizione della sessualità, dell’ultimo sviluppo della corteccia prefrontale, ma anche della scoperta e della costruzione della propria identità, come singolo, come membro della comunità e della specie. Gli adolescenti, inoltre, si confrontano con tematiche filosofiche profonde: il senso della vita, la morte, i limiti e la sfida a questi ultimi, il senso dell’essere, l’etica e la morale» spiega la psicologa e psicoterapeuta Elisa Tommasin. In questo percorso, lungo il quale un bambino diventa un individuo autonomo e indipendente, è fisiologica una separazione dalla famiglia di origine a favore del gruppo dei pari, all’interno del quale sperimentare, inventare e imitare nuovi ruoli e nuove forme identitarie.
Se sentirsi parte di un gruppo in adolescenza è fondamentale, è pur vero che ciò può al contempo portare a comportamenti potenzialmente rischiosi. Le condotte irragionevoli e pericolose che – a volte – gli adolescenti adottano, oltre a essere manifestazione di un pensiero a corto raggio, possono essere influenzate dalla pressione esercitata dai coetanei o dalla volontà di non essere diversi da loro. Elementi che il ragazzo può non essere in grado di contrastare, anche perché la corteccia prefrontale – la parte del cervello che ci permette di controllare istinti ed emozioni per evitare di metterci nei guai – conclude la propria maturazione solo verso i 20 anni.
Di compagnie, influenze, propensione al rischio e ricerca di sensazioni forti in adolescenza e dell’importanza, da un punto di vista genitoriale, di mantenere aperto il dialogo, abbiamo parlato con Elisa Tommasin, specializzata in psicoterapia psicodinamica individuale.
«Lo fanno tutti» è un’affermazione con cui i genitori di figli adolescenti si trovano spesso confrontati. Qual è l’importanza del gruppo in adolescenza e perché per i ragazzi è importante uniformarsi a esso?
Il gruppo è l’elemento chiave in questa età. Per potersi svincolare e smarcare dal gruppo familiare, l’adolescente necessita di trovare un altro gruppo di riferimento, all’interno del quale poter ricercare nuovi parametri, modelli e stimoli che lo aiutino a crescere e a trovare la sua strada fisica e identitaria. Il gruppo offre sia protezione e riparo sia spazio di innovazione e sperimentazione: si può essere unici e diversi tutti assieme nello stesso modo, in quel costante coacervo di paradossi in cui l’adolescente è immerso.
Quanto dura, in genere, e come evolve questa fase?
Più passano gli anni, più il ragazzo si forma come giovane adulto e può, così, dipendere meno dall’appartenenza a un gruppo: la sua identità è più solida, i punti nodali sono stati strutturati, l’infanzia è finalmente alle spalle, il suo ruolo e il suo essere gli sono finalmente più chiari.
Tornando alla fase del gruppo, quali sono gli aspetti positivi dell’appartenenza a esso?
In una fase in cui la famiglia va messa un po’ in disparte, in quanto sono troppi i richiami al ruolo di figlio e bambino presenti in essa, il gruppo dei pari offre un nuovo ambito di confronto e quotidianità all’interno del quale i ragazzi trovano persone che si stanno confrontando con le medesime questioni (filosofiche e ordinarie) e che stanno affrontando le stesse sfide a tutti i livelli (emotivo, fisico, sessuale, ideativo). Ciò offre sia la possibilità di imitare, uniformarsi, usare l’altro a modello, sia quella di compararsi, distanziarsi e differenziarsi: il gruppo dei pari offre i punti di riferimento, positivi e negativi, indispensabili in questa nuova fase della vita.
Quali sono, invece, gli effetti sui ragazzi che non riescono a sentirsi parte di un gruppo?
Non riuscire ad avere il proprio gruppo di appartenenza può portare a profondi sentimenti di solitudine, può far sentire diversi e sbagliati, si vive l’esclusione e l’emarginazione. Nei casi più gravi, tale situazione può portare a sviluppare sintomatologie ansiose, fobiche o depressive: l’accettazione e il confronto con l’altro è parte integrante e fondante della crescita e della persona, a tutte le età, ma soprattutto in adolescenza, momento nel quale condividere e sperimentare sentimenti di comunione è ancora più pregnante.
D’altra parte, quali possono essere i rischi connessi alle dinamiche di gruppo, in particolare in materia di influenze, consumi e comportamenti?
Ovviamente, non in tutti i gruppi si instaurano le medesime dinamiche virtuose. L’adolescenza è, come detto, anche la fase della sperimentazione, delle pulsioni incontrollate, di un’emotività esplosiva che non trova una riflessività capace di contenerla (la corteccia prefrontale cui si accennava è proprio la sede cerebrale deputata al pensiero riflessivo, all’elaborazione del giudizio in termini di costi e benefici, quindi alla capacità di sospendere l’azione in favore della ponderazione). Risulta perciò molto più facile imitare comportamenti e dinamiche magari disfunzionali, adottare condotte pericolose, devianti o semplicemente controproducenti per il proprio sviluppo: la capacità di riflettere sulle conseguenze a lungo termine è davvero scarsa in tale fase di vita. Inoltre, il bisogno di appartenere a un contesto gruppale e la paura dell’esclusione possono sopravanzare il timore e le preoccupazioni riguardanti comportamenti o consumi.
In tema di comportamenti e dinamiche disfunzionali, in alcuni fatti di cronaca si parla non di gruppo ma di branco; quando un gruppo diventa branco?
Nel racconto dei fatti di cronaca il termine branco viene usato per sottolineare una deriva che possono prendere le dinamiche gruppali, soprattutto quando si ha a che fare con pulsioni ed emozioni particolarmente intense e profonde. Il branco è un gruppo che agisce come fosse un unico grande individuo, con un solo pensiero e una sola spinta emotiva: con tale termine si vuole sottolineare la perdita di individualità e la potenza della mente gruppale.
Ci sono degli strumenti dei quali dovrebbero disporre i ragazzi per non incorrere in rischi eccessivi in tema di consumi e comportamenti?
Difficile trovare una regola che valga per tutti. Ovviamente, vi sono contesti socio-economici e ambientali che risultano più a rischio di altri; così come fragilità e insicurezze caratteriali, personali e familiari che non offrono gli stessi parametri di stabilità, protezione e rassicurazione. Un punto fondamentale, a mio parere, sarebbe quello di curare, educare e sostenere i gruppi in quanto tali, oltre che i singoli individui, sviluppando momenti di scambio e apprendimento nelle scuole e negli ambienti di lavoro. Gli adolescenti devono trovare adulti in grado di limitarli e capirli: è fondamentale permettere loro anche di sbagliare e deragliare, restando sempre pronti ad afferrarli con risolutezza quando diventa necessario.
Abbiamo detto che in adolescenza i ragazzi devono potersi separare dai genitori per diventare persone autonome e indipendenti; come cambia il rapporto figlio-genitore?
La conflittualità sarà spesso profonda e anche brutale: i genitori vanno demonizzati e denigrati perché altrimenti sarebbe difficile separarsi da qualcuno che si ama profondamente e incondizionatamente. Il rapporto con i genitori sarà, dunque, caratterizzato dall’ambivalenza: momenti di grande tenerezza e vicinanza infantile, saranno circondanti da momenti di lotta e presa di distanza, moti di ribellione e differenziazione.
Quali consigli si sente di dare ai genitori per interagire con i propri figli e aiutarli a crescere in questa fase della loro vita?
Innanzitutto, è sempre importante ricordare che è solo una fase: il compito dei genitori durante l’adolescenza dei figli è quello di resistere. Resistere agli attacchi, alle provocazioni, alle sfide, al dolore della separazione, ai cambiamenti radicali, all’estraneità che si prova spesso rispetto ai figli. L’adolescenza mette tutto in discussione, cambiano le persone, i legami e le dinamiche. I genitori devono continuare a essere un polo di accudimento e autorevolezza: i ragazzi vanno ascoltati, accolti e sostenuti, ma anche limitati, sgridati, regolati e contenuti. Ma ancora più importante è ciò che è stato seminato prima: essere riusciti ad avere una relazione votata alla comprensione e al dialogo, alla ferma autorevolezza e alla stabilità (emotiva, affettiva, quotidiana), permetterà di sopravvivere alla fase della resistenza e di raccogliere i frutti di tale semina non appena le fasi più burrascose si placheranno.
Come si devono infine comportare i genitori se scoprono o dubitano che i propri figli hanno dei comportamenti che non approvano e/o che possono essere rischiosi per la loro salute?
Fondamentale parlarne con i diretti interessati: manifestare dubbi e preoccupazioni è il primo passo per agire in modo chiaro, diminuendo il rischio di essere vissuti come persecutori. Importante è poi segnalare le proprie inquietudini a professori, docenti mediatori e di sostegno, figure terapeutiche: la resistenza è da sempre un lavoro di rete e in rete; serve un gruppo per rispondere a un gruppo.