Quella Renault 4 color amaranto

I libri di Piero Trellini, tutti molto corposi, articolati, costruiti come matrioske, hanno la forma complessa della moltitudine enciclopedica, e dell’enciclopedia la missione contenutistica di dare conto di ogni cosa dello scibile umano sia essa notizia storica, scientifica, sociale, nel caso di questo libro persino politica e industriale. Dopo La partita (Mondadori, 2019), Danteide (Bompiani, 2021) e L’Affaire (Bompiani, 2022) ora esce R4, da Billancourt a via Caetani (Mondadori, Strade blu, 705 pagine, 25 euro, 2023), una narrazione ancora una volta massimalista che copre un arco temporale di oltre un secolo, una moltiplicazione di storie e di voci, di personaggi rocamboleschi e bizzarri, maggiori e minori, blasonati e sconosciuti, che si succedono come in un grande romanzo d’appendice vertiginoso, un feuilleton contemporaneo fatto di tanti piccoli frammenti conchiusi, pieno di curiosità e aneddotica. Un tipo di narrare appunto che dilata, allarga la prospettiva, avanza per moltitudine di eventi sensazionali come la nascita della Renault nel 1899 nelle officine «a un paio di strade di distanza dai neonati studi cinematografici dei fratelli Auguste e Louis Lumière», nel momento storico in cui «l’auto e il cinema rispecchiavano i sogni e le suggestioni di onnipotenza del positivismo», quando tutto comincia.

Il libro ha anche il pregio del saggio, della ricostruzione storica, della dissertazione scientifica, mischia innovazione tecnologica e contesto sociale, quando analizza le fasi della nascita dell’industria dell’automobile, l’intuizione rivoluzionaria della catena di montaggio nel periodo del taylorismo, gli scioperi operai, poi l’arrivo della prima grande guerra. Sempre in una Renault, modello NN Cabriolet Torpedo nella primavera del 1925 viaggiarono da Lione a Parigi diventando amici inseparabili due tra i maggiori scrittori del secolo, Ernest Hemingway e Francis Scott Fitzgerald, così come si racconta della filosofa Simon Weil che proprio per comprendere la vita dei lavoratori e il loro «senso di schiavitù», era andata a fare l’operaia nella fabbrica francese scrivendo successivamente La condizione operaia ma c’è anche Adolf Hitler in questo libro che parla di automobili, e di una utilitaria che pensa «per il popolo». Nella prima parte Renault Trellini racconta anche come cambia la produzione, i rapporti di forza con i sindacati, i momenti bellici, e mentre la storia della casa automobilistica scema, comincia nella seconda e la terza (Il lato oscuro) a prendere corpo quella italiana che precede il dopoguerra, la nascita della Democrazia Cristiana, l’affacciarsi sulla scena di personaggi come Giulio Andreotti e Aldo Moro, la Resistenza, il PCI di Togliatti. Tutte le grandi questioni internazionali del dopoguerra convergono, il Piano Marshall, la rottura del patto di Resistenza, la scelta di De Gasperi di abbracciare l’imperialismo americano in un mondo diviso in due blocchi, quello atlantista e quello sovietico, intanto nelle fabbriche automobilistiche era arrivato il metodo transfer e l’automatismo, cresceva il movimento operaio comunista.

La scrittura per frammenti di Trellini è un nastro trasportatore che conduce il lettore nelle storie della Storia in una tramatura complessa, stratificata come un palinsesto, una lingua piana senza sbalzi e svolazzi al servizio della narrazione che è anche una sorta di controstoria italiana: i cosiddetti «ragazzi con le magliette a strisce» di Genova del 1960, il governo Tambroni, la polizia di Scelba e i morti di Reggio Emilia, ma anche l’istituzione della prima cattedra di filosofia a Trento con un intellettuale grandissimo, Franco Ferrarotti. Intanto il 3 agosto 1961 »la prima Renault 4 destinata a un acquirente uscì dalle linee di montaggio dello stabilimento dell’Ile Seguin», subito definita «l’auto in blue jeans», Marcello Mastroianni ne regala una a Catherine Deneuve battezzandola «Cherie», da un punto di vista industriale e automobilistico «fu il risultato di una riduzione di costi e di un aumento di salari».

L’autore intreccia storie, insegue personaggi e destini tra di loro apparentemente distanti, tra i valori della Resistenza traditi e i primi vagiti di quella che sarà la contestazione studentesca e il ’68 italiano, la battaglia di Valle Giulia, il suo racconto coglie le contraddizioni e le trasformazioni, dà conto del clima sociale. Prima che nascessero le Brigate Rosse è forte e inedito il rapporto tra il giovane editore rivoluzionario Giangiacomo Feltrinelli, Curcio e Franceschini, ma anche con Andreas Baader che incontra a Parigi e i ragazzi della Gauche Prolétarienne, avviene anche «la madre di tutte le stragi», Piazza Fontana 12 dicembre 1969, la strategia della tensione, Enrico Berlinguer diventa segretario del Partito comunista, alla Sit Siemens di Milano arriva dalle Marche Mario Moretti, che ha potuto studiare grazie all’aiuto della marchesa Casati, un’altra storia bizzarra.

Nell’ultima parte del libro, La Renault 4 di Moro c’è un libro nel libro, il romanzo del terrorismo rosso e della lotta armata, e riaffiora la R4, iniziano i primi attentati dimostrativi, i sequestri, gli arruolamenti alla Fiat Mirafiori, entrano in campo gli infiltrati dei servizi segreti, così come lo stragismo fascista. È persino riduttivo dire in poco spazio di un libro complesso e inclassificabile come questo, fatto di quella che Kapuściński chiamava «storia viva», narrata, che è fatto di mille rivoli, rimandi, associazioni, un romanzo corale che alla fine converge inesorabilmente verso il destino dell’oggetto principale del racconto, della sua protagonista assoluta, l’automobile rubata dove il 9 maggio 1978 nel bagagliaio fu rinvenuto il cadavere di Aldo Moro in via Caetani, simbolicamente abbandonata tra la sede della Dc in Piazza del Gesù e quella del Pci in via delle Botteghe Oscure. Pochi mesi prima Moro e Berlinguer si erano incontrati, stava per nascere un governo di «compromesso storico». Come in un giallo d’azione l’autore ricostruisce l’agguato, gli spari, l’uccisione degli uomini della scorta e il rapimento dello statista democristiano, i movimenti di Morucci, Faranda, Balzerani, Gallinari e gli altri brigatisti. Il proprietario di quella R4 Export color amaranto, un certo Mario Bartoli di Serravalle del Chienti, non avrebbe mai immaginato che la sua utilitaria dove trasportava materiale edile «sarebbe stata toccata da un ministro dell’Interno, avrebbe avuto la benedizione di un prete, avrebbe raccolto il presidente del più grande partito italiano e sarebbe finita sulla prima pagina del “New York Times”».

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