«Non temere, ti sarò madre e padre»

by Claudia

Incontri  ◆  La pianista Golda Vainberg Tatz racconta come sua madre scampò alla fucilazione da parte dei nazisti

Il curriculum artistico di Golda Vainberg Tatz (nella foto) non è dissimile da quello di tanti altri pianisti di talento che brillano nel firmamento concertistico internazionale. Ha girato il mondo esibendosi in sale prestigiose, dalla Salle Cortot di Parigi alla Carnegie Hall di New York, a San Pietroburgo e Shangai passando, di recente, per Milano, Giappone, Salisburgo, dove è anche stata «artista in residenza»; applaudita ora in recital solistico, ora in formazioni cameristiche, ora accompagnata da orchestre sifoniche nei concerti di Mozart, Beethoven, Brahms o Ravel.

La più celebrata casa produttrice di pianoforti, la Steinway, l’ha voluta come sua artista in esclusiva. Per musicisti come lei il Paese e la famiglia di origine si citano solo per legarli a una particolare scuola o tradizione pianistica, o a genitori a loro volta musicisti che hanno trasmesso la loro passione e avviato sulle vie dell’arte i giovanissimi figlioletti.

Vainberg Tatz è lituana, la madre era una cantante; però quando Golda ripercorre la sua storia, deve risalire a parecchi anni prima della sua nascita e soprattutto deve esulare, e non poco, dai melodiosi confini della classica, per accordarsi su note ben più dolenti e stridenti. Una storia che principia nell’estate del 1941, quando la madre, all’epoca dodicenne, si trovava in una colonia estiva non lontana dal Mare Baltico. «La mamma mi raccontava che quella fu una colonia diversa da tutte le precedenti: a quel tempo i nazisti stavano invadendo la Lituania, si sentivano esplodere le bombe e tutti i bambini correvano, urlavano, cercavano di rifugiarsi da qualche parte». Una quotidianità già di per sé terribile, ma che non aveva conosciuto ancora il suo giorno più tragico: «Fu quando alcune milizie tedesche si presentarono alla colonia dove, come al solito, si trovavano assieme bambini cristiani e bambini ebrei. Li divisero senza neppure chiedere loro il nome, semplicemente mettendo da una parte quelli con gli occhi azzurri e i capelli biondi, e dall’altra quelli con i capelli e gli occhi scuri: in Lituania i cristiani hanno praticamente tutti i colori chiari, gli ebrei i colori scuri. I primi vennero condotti in un orfanotrofio cattolico di un piccolo paese limitrofo, Panevetzis, gli ebrei nel ghetto di Palanga. Li misero in fila e li fucilarono. I soldati avevano ricevuto l’ordine di ucciderli così, non dovevano neppure deportarli in un lager; li ammazzarono per strada e poi li buttarono in una fossa». Lei al momento non sapeva nulla, glielo raccontarono i genitori e i fratelli; soprattutto, lei sopravvisse pur essendo ebrea.

«La nostra famiglia è ebrea, mia madre si chiama Judith, un nome non certo lituano, gliel’avessero chiesto non avrebbe avuto scampo, ma per fare in fretta li divisero solo in base a occhi e capelli, e mia madre, per sua fortuna, era una delle pochissime ebree con occhi azzurri e capelli biondi». In questi mesi Vainberg Tatz, continuando a suonare, non può non paragonare la storia della sua famiglia e del suo popolo a quanto sta succedendo; e viene da chiedersi quali sentimenti possa provare, quali pensieri possano turbinarle nella mente, dopo l’efferato massacro del 7 ottobre e il tragico presente della Striscia di Gaza, quando lei sale sul palco e vede tanta gente che, tranquillamente, è venuta a teatro per una serata di divertimento: «Girando per le strade delle grandi città europee, o di New York, dove ora abito, guardando alla platea presente a un concerto, anche aspettando un aereo in una sala d’attesa o all’ingresso di qualche Gate, ho un solo pensiero: che fino al giorno prima dello scoppio di questa guerra la vostra era anche la nostra realtà, e l’unico desiderio che ho è che possa ritornare così quanto prima».

Nonostante la situazione non sembri lasciar spazio a spiragli di pace, proprio la storia della sua famiglia le consegna un seme di speranza: «All’orfanotrofio una maestra capì subito che mia madre era ebrea, ma non voleva consegnarla ai nazisti; la  portò dal prete del paese, Antanas Gobis, che la rassicurò: le prime parole che le rivolse furono: “Non temere, ti sarò madre e padre”. Si assunse un rischio pazzesco: c’erano parecchi lituani che avrebbero volentieri denunciato una piccola ebrea e chi la nascondeva; fosse successo, sarebbero stati fucilati entrambi».

Durante la guerra Judith visse nascosta nelle case di alcune famiglie cristiane locali, il prete veniva a visitarle e vegliava su di lei. Quando lei gli confidò di voler diventare cristiana, la sua risposta fu: «Non smetteresti di essere ebrea agli occhi del mondo, e non ti salverebbe dai nazisti». A conflitto terminato, Judith tornò sull’argomento, anche perché stava nascendo un particolare interesse per un ragazzo cattolico, ma la risposta non cambiò: «Devi rimanere ebrea e devi aiutare a ricreare un popolo che è stato spazzato via». Il nome di Gobis è stato iscritto nel libro della Yavadshim, un’organizzazione israeliana che ricorda i cristiani che eroicamente salvarono gli ebrei dall’olocausto. Judith sposò un sarto ebreo, da cui ebbe Ilan nel 1952 e otto anni dopo Golda. «Antanas fu il mio nonno: passavamo assieme le vacanze e le feste, cristiane ed ebraiche, veniva spesso a casa e sempre ai miei concerti. Lui fu anche il nostro mentore musicale: sostenne mia mamma nei suoi studi di canto, comprò il violino a mio fratello, a me toccò il pianoforte perché c’era già un archetto in casa» sorride Golda, il cui talento emerse precocemente: «A tre anni non sapevo leggere, né un libro né un pentagramma, ma avevo l’orecchio assoluto e sapevo riconoscere tutte le note». Fu una enfant prodige: giovanissima si esibiva in Lituania e negli altri Paesi baltici. Una giovinezza serena, con la famiglia progettava il ritorno in Israele ma la madre si ammalò: «Un cancro allo stomaco, che nel 1969 non era curabile; si era salvata dal nazismo, non ci riuscì dal cancro». Il trasferimento avvenne nel 1972, «ma alcune volte, ad esempio a Natale, tornavo in Lituania a trovare padre Gobis; forse proprio la distanza fisica mi ha reso cosciente della sua vicinanza spirituale: c’è stato quando mio fratello combatté nello Yom Kippur, quando mi diplomai a Tel Aviv e alla Juilliard School di New York. Ogni volta che debuttavo in un teatro importante, avevo un desiderio ricorrente: vedere padre Gobis in prima fila».

ABBONAMENTI
INSERZIONI PUBBLICITARIE
REDAZIONE
IMPRESSUM
UGC
INFORMAZIONI LEGALI

MIGROS TICINO
MIGROS
SCUOLA CLUB
PERCENTO CULTURALE
MIGROS TICINO
ACTIV FITNESS TICINO