È l’eterna legge del bicchiere: a seconda della parte da cui lo si guarda, appare sempre mezzo pieno o mezzo vuoto. Eppure l’apertura espressa da papa Francesco sulla possibilità per i sacerdoti di impartire (pur tra mille prudenze) benedizioni a coppie omosessuali, sta avendo in queste settimane l’effetto di un vero e proprio terremoto nel cattolicesimo globale. Non solo dalle roccaforti conservatrici delle Chiesa degli Stati Uniti o dell’Europa dell’Est, ma anche dalla stragrande maggioranza delle conferenze episcopali dell’Africa, come pure da alcuni vescovi di Paesi asiatici a maggioranza musulmana, è partita una levata di scudi sulle nuove direttive impartite la settimana prima di Natale dal dicastero per la Dottrina della fede, l’ex Sant’Uffizio, per secoli severo custode dell’ortodossia in Vaticano e oggi improvvisamente apripista di svolte inedite.
Oggetto del contendere è un documento di una manciata di pagine intitolato Fiducia Supplicans: diffuso il 18 dicembre, è stato approvato da Francesco, ma materialmente porta la firma di Victor Manuel Fernandez, il teologo argentino vicinissimo a Bergoglio che qualche mese fa il papa ha fortemente voluto per portare la sua visione del mondo anche nel luogo per eccellenza della dottrina cattolica. Quella di Fernandez – subito creato cardinale nell’ultimo concistoro – è una delle nomine di maggior peso compiute dal pontefice in questi anni. Ed è significativamente giunta a luglio insieme a una lettera aperta in cui Francesco gli ha chiesto, in sostanza, in questo nuovo ruolo di non giocare in difesa emanando condanne, ma di promuovere la fede cattolica attraverso «un pensiero che sappia presentare in modo convincente un Dio che ama, che perdona, che salva, che libera, che promuove le persone e le convoca al servizio fraterno».
È quanto la dichiarazione Fiducia Supplicans cerca di fare sul tema delle coppie omosessuali. Questione scivolosissima oggi per la Chiesa cattolica, che da una parte non vuole assolutamente cambiare la sua dottrina secondo cui l’unico matrimonio è quello tra un uomo e una donna, ma dall’altra con Francesco non vuole nemmeno chiudere le porte a chi nel mondo LGBTQ+ si riconosce credente. Con il nuovo documento per la prima volta un testo ufficiale del magistero dice espressamente che un prete cattolico può accogliere la domanda di una benedizione avanzata non solo da un singolo ma anche da una coppia omosessuale (o da altre coppie in situazioni «irregolari» dal punto di vista della Chiesa, come per esempio i divorziati risposati civilmente). Lo fa, però, avendo cura di ribadire che questo gesto non deve essere inteso come un’approvazione delle unioni omosessuali e non deve nemmeno apparire come qualcosa di assimilabile a un rito. Il nuovo documento vaticano teorizza per questo l’esistenza di due diversi tipi di benedizioni: uno definito «rituale» e l’altro «pastorale». Dove il secondo sarebbe quello che, manifestando la misericordia di Dio, non può essere negato a nessun credente che chieda questa forma di sostegno nel proprio cammino. L’ansia di distinguere ed evitare «malintesi» resta alta: di fronte al fuoco di fila dei tradizionalisti il card. Fernadez è arrivato persino a formulare un’improvvida specificazione secondo cui quelle pastorali dovrebbero essere «benedizioni della durata di una manciata di secondi» e senza formule pre-determinate, a differenza dei lunghi e precisi rituali previsti per la celebrazione dei sacramenti della Chiesa cattolica.
Letta così verrebbe da chiedersi quante siano le coppie omosessuali cattoliche a cui realmente interessi ricevere da un sacerdote un gesto del genere. Ed è evidente il fatto che gli stessi movimenti LGBTQ+ cattolici siano tutt’altro che soddisfatti da questo approccio, a cui guardano nella migliore delle ipotesi solo come un primo passo verso un’accettazione reale da parte delle proprie comunità. Ma il punto è che la questione delle benedizioni sta diventando uno scontro intorno a una bandiera, andando anche ben al di là della diversità di orientamenti sulla questione specifica. Un gesto di vicinanza verso tutti, coerente con lo stile che papa Francesco ha impresso al suo pontificato, si è trasformato in un simbolo in grado di coalizzare chi – guardando già al prossimo Conclave – invoca un colpo di freno rispetto a una Chiesa dove in nome della misericordia e della fraternità i «sì» e i «no» diventano sempre più sfumati.
Ed è particolarmente interessante il ruolo che in questa dialettica interna alla Chiesa cattolica stanno giocando le Conferenze episcopali dell’Africa: ad eccezione di quello del Sudafrica, praticamente tutti gli episcopati cattolici del Continente hanno espresso difficoltà ad applicare quanto chiesto dalla dichiarazione Fiducia Supplicans. Dunque proprio uno dei volti di quelle «periferie del mondo» che tante volte Francesco in questi anni ha invitato ad ascoltare, si sta rivelando il più chiuso a ogni apertura in tema di vicinanza verso le persone omosessuali. In questo caso a giocare sono evidentemente barriere culturali molto dure da scalfire, in contesti dove le relazioni tra persone dello stesso sesso sono tuttora considerate un reato. E questo non vuole comunque dire che su tanti altri temi l’Africa abbia voltato le spalle a papa Francesco. Ma è lo stesso un monito a non banalizzare un panorama cattolico che oggi è molto più complesso rispetto alle dicotomie classiche tra conservatori e progressisti, o tra Paesi ricchi e Paesi poveri. E in fondo è un quadro che riecheggia contrasti simili emersi da tempo anche in altre confessioni cristiane come ad esempio il mondo anglicano, ugualmente spaccato sulle questioni legate al gender.
Papa Francesco ha invocato la strada della «sinodalità» per provare a comporre queste divisioni: ha avviato ormai tre anni fa una grande consultazione nelle comunità cattoliche di tutto il mondo sulle questioni aperte nella sua visione della riforma della Chiesa. Per smuovere le acque ha provato anche a includere almeno una quota di laici e donne nell’Assemblea che è chiamata a tirare le somme di questo processo. Ma già la prima sessione di questi inediti tavoli composti da vescovi e delegati tenutasi nell’ottobre scorso a Roma ha mostrato tutta la difficoltà di questa impresa. Più che una linea comune a emergere sembrano essere le tensioni. E gli schieramenti in vista di un futuro Conclave che anche per mere ragioni anagrafiche, con un papa di 87 anni, ormai non può più essere un appuntamento lontano.