Sono sempre più i genitori che dotano i propri figli di dispositivi di geolocalizzazione, per mezzo dei quali poter sapere dove essi si trovano. Smartphone con app di localizzazione, orologi connessi, segnalatori GPS da attaccare agli zaini: gli strumenti a disposizione sono sempre più numerosi. Anche gli AirTag, messi in commercio nel 2021 da Apple – che aveva specificato come questi dispositivi di localizzazione fossero pensati per il ritrovamento di oggetti, come chiavi e valigie – vengono di fatto utilizzati per tracciare la posizione di figli ed animali domestici.
Negli Stati Uniti – Paese precursore per quel che riguarda le tendenze – uno studio del Pew Research Center di Washington, riportava che già nel 2018 il 16% dei genitori aveva geotaggato i propri figli di età compresa tra i 13 e i 17 anni tramite il telefono.
Difficile avere un quadro preciso di quanto il fenomeno della sorveglianza digitale sia diffuso in Svizzera. «Non sono a conoscenza di dati specifici al riguardo e non penso che il Ticino si differenzi dalle altre regioni della Svizzera o dell’Europa; l’impressione è comunque che un numero discreto di genitori approfitti delle nuove disponibilità tecnologiche per geolocalizzare i movimenti dei figli», afferma Pierfranco Longo, presidente della Conferenza cantonale dei genitori.
Genitori che non sono nemmeno gli unici ad utilizzare le possibilità offerte dalla tecnologia in questo campo. Vi sono infatti alcuni Comuni in Svizzera che hanno scelto – con il consenso dei genitori – di dotare gli alunni dei primi anni di scuola di strumenti di localizzazione per avere un controllo sulla presenza sugli scuolabus oppure per mappare i percorsi e identificare delle aree potenzialmente pericolose. La tecnologia d’altronde – in questo come in altri ambiti – esiste ed evolve e per alcuni scegliere di non usufruire delle informazioni che ci può mettere a disposizione può portare ad una certa esitazione. «Credo d’altra parte che ogni genitore sappia quanto sia importante che il figlio si renda progressivamente indipendente nei vari aspetti della vita, anche nell’affrontarne i rischi – continua Longo – oltre a ciò, va precisato come in molti Comuni del nostro Cantone i bambini siano incoraggiati da scuola e genitori a compiere il tragitto da e verso casa autonomamente, e questo già dal primo ciclo delle elementari; un percorso di autonomia cui penso sia coerente aspirare, come famiglia».
Quanto fin qui detto consente già di percepire come il tema della tendenza da parte dei genitori a sorvegliare i figli tramite applicazioni e dispositivi sia più complesso e sensibile di quanto possa sembrare a prima vista: «Sullo sfondo giocano un ruolo importante il dovere di sorveglianza dei genitori e la nuova interpretazione che a questo concetto deve essere data dai legislatori e dai genitori stessi alla luce della nuova tecnica, ma anche il diritto del minore alla protezione dei propri dati personali e della propria privacy e, infine, la centralità del suo interesse», spiega il presidente della Conferenza cantonale dei genitori.
A riprova del fatto che la tematica sia semplice solo in apparenza, si aggiunge la constatazione che se la geolocalizzazione di bambini e ragazzi è utile per far sentire i loro genitori al sicuro, questa onnipresenza di legame rischia di esser d’ostacolo al naturale e graduale processo di separazione dei figli. Man mano che il bambino cresce, deve infatti imparare che i genitori non sono sempre presenti e disponibili e che, a volte, dovrà arrangiarsi con le proprie risorse. Secondo Sally Beville Hunter, assistente professore clinico di pediatria presso l’Università del Tennessee, Knoxville – che al tema ha dedicato un articolo sul «New York Times» – sapendo di essere monitorati, i bambini potrebbero non apprendere abilità critiche come sapere dove si trovano e tenere traccia del tempo, che sono ancora in via di sviluppo durante l’adolescenza. Oltre a ciò, il fatto di essere costantemente controllati, può far percepire il mondo come pericoloso, probabilmente più di quanto non lo sia in realtà, con ripercussioni facilmente immaginabili, per esempio sull’ansia, che è già di per sé più presente nella nuova generazione rispetto a quelle che l’hanno preceduta.
Il fenomeno di cui stiamo parlando rientra in una tendenza più ampia che vede i bambini perdere progressivamente autonomia nello spazio pubblico. Una tendenza di cui ha con ogni probabilità esperienza chi è adesso genitore, o nonno, di un bambino o di un adolescente, influenzata, anche, dalla copertura mediatica dei tragici casi di cronaca che purtroppo di tempo in tempo si verificano, oltre che da un’atmosfera generale sempre più ansiogena, nella quale i genitori diventano iper protettivi verso i propri figli e pessimisti verso la società. Nella loro quotidianità, i genitori di oggi si trovano spesso a doversi destreggiare tra vari impegni, loro e dei figli, e a vivere la sensazione di dover tenere tutto sotto controllo. Elementi, questi, che possono effettivamente trovare una risposta, facile, immediata e rassicurante in una delle tante possibilità che la tecnologia mette a disposizione.
Tra le ragioni addotte dai genitori per motivare la loro scelta di sorvegliare i figli tramite applicazioni e localizzatori è la sicurezza a figurare al primo posto. «La geolocalizzazione viene utilizzata per curare le paure dei genitori riguardo allo spazio urbano e alle sue incertezze», afferma Yann Bruna, docente di sociologia all’Università di Parigi-Nanterre, che ha pubblicato un articolo sulla sorveglianza parentale e la geolocalizzazione degli adolescenti sulla rivista scientifica «Tic & Société» nel 2022: «Sono ben consapevoli che non impedisce che si verifichi un incidente, ma sottolineano che se succede qualcosa, sanno dove sono i loro figli».
Questi strumenti non possono però essere considerati la soluzione: «Credo sia importante che ogni genitore si faccia un’idea critica della differenza tra sentirsi sicuri e la sicurezza del figlio, e distingua tra bisogni dei figli e proprie scelte. Personalmente ritengo importante conservare il primato della relazione, in cui ci si parla di come vanno le cose fuori casa, riconoscendo ai figli la libertà di raccontarsi dal proprio punto di vista, ma anche di coltivare il concetto di privacy, già tanto messo a dura prova da un modello di società iper-connessa», commenta Pierfranco Longo.
A tal proposito, Sonia Livingstone (docente presso il dipartimento di media e comunicazione della London School of Economics and Political Science), intervistata sul sito della Bbc, ritiene che nel lungo periodo il fenomeno della sorveglianza digitale possa ripercuotersi negativamente sulla relazione genitore-figlio. Per esempio, usare un’app per scoprire dove si trova il ragazzo o cosa stia guardando online, soprattutto se a sua insaputa, potrebbe portarlo a ingegnarsi per disattivare il rilevamento o ancora a compiere delle scelte più rischiose. Quando invece la cosa più importante nella relazione sarebbe proprio che il bambino impari a fidarsi del genitore e viceversa. Le famiglie che scelgono di ricorrere ad un’app di monitoraggio, orologi connessi o simili, sarebbe bene che spiegassero le proprie motivazioni ai figli, facendo in modo che sia per loro chiaro che questa scelta non è fatta per mancanza di fiducia. Altro elemento fondamentale è che l’uso di tali dispositivi venga adattato nel tempo, man mano che il bambino cresce e aumenta il bisogno di indipendenza. Come dicevamo, infatti, anche i ragazzi hanno diritto alla privacy, in particolare quando stanno diventando dei giovani adulti. Durante l’adolescenza sarebbe infatti giusto che i genitori non sapessero sempre ciò che fa il figlio, perché è anche facendo le proprie esperienze e correndo qualche rischio che si ha la possibilità di evolvere e diventare indipendenti; esperienze che potrebbero invece venir inibite se il ragazzo si dovesse sentire costantemente sotto controllo.