Un mondo a misura d’uomo

Dagli anni Ottanta a oggi, la bibliografia degli studi di genere è cresciuta costantemente, anche perché una lettura «gender sensitive» – cioè a dire attenta agli aspetti di genere – non solo ha investito pressoché ogni branca delle scienze umane, ma ha prestato attenzione anche a scienze quali matematica, biologia, fisica, chimica, e informatica.

Editore con spiccata attenzione per le implicazioni sociali degli sviluppi scientifici, Codice Edizioni ha pubblicato Per soli uomini, un libro di Emanuela Griglié e Guido Romeo che nel sottotitolo circoscrive l’ambito del loro studio: Il maschilismo dei dati, dalla ricerca scientifica al design.

Gli argomenti trattati spaziano dalla medicina all’urbanistica, dal giornalismo all’intelligenza artificiale e per l’appunto dalla ricerca scientifica al design – mostrando come, a tutt’oggi, il mondo che ci circonda è fatto a una misura d’uomo tale, da renderlo non solo poco vivibile per le donne ma anche per molti uomini. Il mondo del design è emblematico di una standardizzazione che esclude una grande percentuale di donne ma anche una buona parte di uomini: «perché alla base c’è sempre lui: il “reference man” o uomo standard, maschio, caucasico, tra i 20-30 anni, alto un metro e 77 e di 70 chili. Il mondo è disegnato per lui». E per questo motivo, se molte donne hanno difficoltà ad assicurarsi adeguatamente ai tientibene negli autobus perché troppo alti, per parte crescente degli uomini i sedili di treni e aeroplani sono troppo stretti e scomodi perché quasi nessuno di loro ha le proporzioni di Modulor, la scala di proporzioni inventata da Le Corbusier.

Per soli uomini documenta la nuova sensibilità urbanistica caratterizzante le città che hanno l’ambizione di diventare più vivibili. Proprio perché città scandinave come Copenaghen, Malmö e Helsinki già da tempo si distinguono per il grado elevato di attenzione a una mobilità che confina l’automobile ai margini, Vienna è l’esempio sul quale Emanuela Griglié e Guido Romeo si soffermano più diffusamente. Negli ultimi trent’anni, infatti, la città austriaca ha rinnovato la sua pianificazione urbanistica, definendo nuove priorità: «Era il 1991 e allora l’espressione gender planning nemmeno esisteva, ma le indagini sulla mobilità mostravano in modo chiaro che i pedoni erano fantasmi, semplicemente non comparivano nella testa dei decisori pubblici. Si pensava solo al trasporto pubblico e automobilistico e si iniziava a guardare alle bici, ma non ai pedoni. E la maggioranza dei pedoni era costituita da donne».

I nuovi approcci urbanistici più meditati tengono conto del fatto che le strade non possono più essere progettate assecondando il vecchio paradigma che prevedeva la netta distinzione tra casa e luogo di lavoro, pianificando strade come rette tracciate dall’una all’altra, generalmente percorse da maschi che vanno e vengono dal lavoro; ma mobilità più fluide e miste, che devono assecondare le necessità di una popolazione variegata che si muove per andare a scuola, a far la spesa, alla temporanea sede di coworking, al pronto soccorso, dal dentista – senza soffrire l’ostacolo di strade che privilegiano il transito delle automobili ad ogni costo, ostacolando il moto fluido di chi va a piedi o in bicicletta.

«Insomma, quando si guarda al genere, la mobilità urbana non è affatto neutrale e resta ferma a modelli elaborati nella seconda metà del XIX secolo, quando fu costruita la prima metropolitana, nell’ottica di collegare le aree più periferiche con i luoghi di lavoro, concentrati in centro, con una netta divisione tra spazio privato domestico (femminile) e spazio pubblico-produttivo (maschile)». Copenaghen dimostra che è possibile una mobilità fluida, attiva e sicura, dove sono le donne professioniste che portano i bambini al nido in bicicletta a regolare il traffico del mattino.

Un capitolo della ricerca condotta da Emanuela Griglié e Guido Romeo è dedicato alla medicina, mettendo subito in rilievo che «da oltre un secolo la ricerca medica mira a sviluppare rimedi e procedure cliniche prima di tutto per pazienti uomini». Basterebbe pensare alle malattie cardiovascolari: solo recentemente si è cominciato a prestare attenzione alla specificità femminile dei segnali premonitori. «Mal di stomaco, respiro affannato, nausea e a volte solo fatica e ansia» sono sintomi femminili, ai quali non si dava ascolto con la necessaria attenzione, facendo convergere le preoccupazioni verso quel «dolore al petto» che, viceversa, contraddistingue i segnali premonitori maschili.

Ma anche gli studi stessi sono orientati verso preoccupazioni maschili: quelli sulla disfunzione erettile, per esempio, sono cinque volte maggiori degli studi sulla sindrome premestruale, alla quale è soggetto il 90% delle donne. Mentre patologie invalidanti come l’endometriosi, che colpisce un decimo delle donne in età fertile e per la quale ancora non esistono cure, tendono a essere poste in secondo piano, nonostante i costi elevati per curare i sintomi associati.

Anche là dove sembrerebbe non dovrebbero esserci differenze tra uomini e donne, vale a dire nel campo delle interfacce informatiche, emerge un’attenzione prevalente per gli uomini. Le interfacce vocali, per esempio, che presto prenderanno il sopravvento su quelle grafiche per impartire ordini ai dispositivi che ci attorniano, percepiscono la voce maschile come più intelligibile perché addestrate in contesti di sviluppo industriale prevalentemente maschili: «nel 2016, Rachael Tatman, ricercatrice linguistica all’Università di Washington, ha scoperto che il riconoscimento vocale di Google aveva il 13% di probabilità in più di comprensione con parole pronunciate da un uomo».

Quanto discriminante possa essere il milieu di sviluppo lo si comprende bene – spiegano Emanuela Griglié e Guido Romeo – quando ci si occupa di riconoscimento visivo (un altro campo in pieno sviluppo) che si dimostra essere meno efficace quando i tratti degli utenti si discostano da quelli dell’americano medio – nonostante rappresenti solo il 4 % della popolazione globale. Anche in questo caso, gli autori di Per soli uomini dichiarano che un’attenzione molto più pronunciata per le donne creerebbe le condizioni per una più viva attenzione per le differenze etniche, a vantaggio di tutti perché dietro l’angolo c’è l’Internet delle cose, alle quali comunicheremo a voce e che sapranno riconoscerci per le nostre fattezze.

Quanto importante sia il valore dell’inclusività tecnologica lo si comprende bene, ponendo attenzione alle caratteristiche che hanno le automobili: «Le donne sono mediamente più basse e tendono ad avvicinare il sedile al volante per arrivare meglio ai pedali. Così facendo, assumono quasi sempre una posizione di guida che non è quella standard e in caso di collisioni frontali sono di conseguenza soggetti a maggior rischio». Non è un caso, perché «i crash test sono stati eseguiti solo con manichini modellati sul maschio medio», mentre in alcuni casi il manichino femminile è stato testato solo sul sedile posteriore.

Emanuela Griglié e Guido Romeo hanno fatto emergere come «per soli uomini» siano progettate molte cose della vita quotidiana. È possibile e necessario correggerne molte, «perché un mondo a misura solo di uomini va stretto a tutti»; tuttavia per gli autori è necessario che avvenga una svolta radicale a livello dei decisori – che non possono più essere solo «maschi bianchi e sessantenni».

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