In Ucraina la confusione strategica e tattica regna sovrana. Kiev è allo stremo e Mosca potrebbe vincere per default dell’avversario
L’Occidente è sempre più stanco della guerra in Ucraina, ma non sa come uscirne. L’aggressione della Russia all’Ucraina, il 24 febbraio 2022, aveva brevemente dato l’impressione di una risposta unitaria del campo euroatlantico, presto svanita. Oggi tendente a volgersi nel suo opposto: ognuno per sé, nessuno per tutti. Il catalogo delle divaricazioni è questo. Primo, un abbastanza coerente blocco dell’est, dalla Scandinavia al Mar Nero, con al centro la Polonia, che oggi è considerata dall’America il suo primo riferimento e migliore alleato in Europa. Questo schieramento comprende anche, fra gli altri, la Romania, suo perno meridionale. È l’avanguardia antirussa, per usare le parole di Biden. L’obiettivo non dichiarato – almeno ufficialmente – da questi Stati non è solo la vittoria dell’Ucraina ma il cambio di regime a Mosca. Con probabile disintegrazione della Federazione Russa. Secondo, una sparsa famiglia di Paesi più o meno intermedi, non disposti a sacrificarsi troppo per l’Ucraina né a inimicarsi la Russia. Fra questi spicca, in ambito Nato, la Turchia. Erdogan la dirige verso il ritorno alle dimensioni imperiali di un tempo. Sperando di ergersi a onesto sensale capace di favorire un negoziato serio fra Kiev e Mosca per un cessate-il-fuoco duraturo. Nel Continente si muovono in questo spazio Ungheria e Slovacchia.
Terzo, gli Stati dell’Europa centro-occidentale – Germania, Francia e Italia in testa – non condividono la russofobia del primo blocco e, pur appoggiando l’Ucraina, guardano a una composizione del conflitto che consenta di inaugurare una nuova struttura di sicurezza paneuropea che coinvolga la Russia. Quanto agli Stati Uniti, sono estremamente divisi sul tema, sia al Congresso che nell’amministrazione Biden. Ma la stanchezza di guerra sembra prevalere. Di qui la difficoltà a reperire fondi e armamenti sufficienti a sostenere lo sforzo di Kiev. Anche in vista delle elezioni per la Casa Bianca, il prossimo novembre, che potrebbero sfociare nel ritorno di Trump, il quale promette di chiudere la guerra in 24 ore; s’intende via intesa siglata con Putin e trasmessa agli ucraini. Questa confusione strategica e tattica aggrava la posizione di Kiev. Il Paese è allo stremo. Riesce difficile persino reperire soldati da mandare al fronte, anche a causa della crisi demografica che ha ridotto la popolazione ucraina dai 51 milioni del 1991 ai 28-29 attuali. Effetto soprattutto della massa di rifugiati all’estero che non sembrano troppo interessati a tornare a casa, anche perché spesso la casa non c’è più. Inoltre il bilancio dello Stato è tenuto a galla dai finanziamenti europei e americani, altrimenti sarebbe saltato. Il costo della ricostruzione è stimato intorno al trilione di euro. Washington pensa di appaltarlo agli europei, ma anche ai russi, volenti o nolenti. L’ipotesi è di mandare a Kiev parte degli oltre 300 miliardi di dollari depositati dai russi presso le banche centrali europee e americane già congelati via sanzioni.
Come prevedibile quando le guerre si prolungano, la conflittualità politica interna tende a inasprirsi nel Paese più debole, l’Ucraina. Il conflitto fra il presidente Zelensky e il capo delle Forze armate, generale Zaluzhny, è sempre più acuto e pubblico. Recenti sondaggi confermano il forte calo di popolarità del primo e la rapida ascesa del secondo. Sul piano tattico, Zelensky continua a favorire una postura offensiva per cui l’Ucraina non pare avere i mezzi. Zaluzhny postula da tempo un trinceramento difensivo, parallelo a quello russo. La situazione sul terreno sembra rendere obbligata la seconda scelta, che ha però costi propagandistici enormi. In parole povere, marca lo iato fra la retorica del presidente, che insiste sul recupero di tutti i territori sottratti dalla Russia dal 2014 a oggi, e la realtà dei fatti che pare escludere questa ipotesi massimalista almeno nel breve-medio termine.
Di recente Putin ha lanciato qualche segnale di disponibilità al negoziato. Vedremo presto se sarà retorica o intenzione vera. E soprattutto se Zelensky sarà disposto a sondare le eventuali aperture russe. In America il partito del negoziato, sempre più ampio, concepisce una tregua a tempo indeterminato in stile coreano. La guerra va congelata. Le linee scavate dai militari sul terreno segneranno i limiti non ufficiali ma fattuali fra Ucraina e Russia. Il sistema coreano funziona da ottant’anni, ma negli ultimi tempi sembra più fragile. Soprattutto, i teatri sono assai diversi. Prendere una soluzione asiatica, inscatolarla e applicarla altrove rischia di essere troppo semplicistico. Ma se la guerra dovesse prolungarsi ancora molto, la Russia potrebbe vincere per default, causa crollo dell’Ucraina. L’opposto di quanto speravano – oggi molto meno – gli alfieri dell’avanguardia antirussa. Unica certezza: il grosso della ricostruzione lo pagheranno gli europei. Oppure non lo faranno, e l’Ucraina diventerà un enorme buco nero fra Ue, Nato e Federazione russa. Mina non vagante, potenzialmente in grado di produrre effetti devastanti in tutta la regione.