Ritorno forzato all’inferno

by Claudia

La terribile sorte dei rifugiati afghani rispediti dal Pakistan nel Paese d’origine

«Migliaia di rifugiati afghani vengono usati come pedine politiche per essere rispediti nell’Afghanistan controllato dai talebani, dove la loro vita e la loro integrità potrebbero essere a rischio, nel mezzo di un’intensificata repressione dei diritti umani e di una catastrofe umanitaria. Nessuno dovrebbe essere sottoposto a deportazioni forzate di massa e il Pakistan farebbe bene a ricordare i suoi obblighi legali internazionali, compreso il principio di non respingimento». Così Amnesty International commentava la tragedia, poco considerata da questa parte del mondo, che da mesi si svolge al confine tra Pakistan e Afghanistan. Islamabad ha difatti deciso di espellere dal Paese tutti i rifugiati afghani. Che, contro ogni convenzione internazionale, adopera di fatto come pedine nella complessa partita giocata con il Governo afghano. Il Pakistan, che gestisce la cosiddetta «fazione Haqqani» all’interno del Governo di Kabul, cerca di costringere la fazione opposta, più vicina all’Iran, a venire a patti.

Secondo l’Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, in Pakistan si trovano circa 3,7 milioni di afghani. Molti sono fuggiti dall’invasione sovietica del loro Paese nel 1979, stabilendosi appunto in Pakistan. I loro figli e nipoti sono di fatto cittadini pakistani perché in Pakistan vige lo «ius soli», ma la legge non importa a nessuno. «Quarant’anni fa ho vissuto in una tenda e ora mi ritrovo ancora una volta in una tenda: è la storia della mia vita», ha dichiarato uno di loro. La seconda ondata di immigrati si è verificata nel 2021, all’indomani della presa di Kabul da parte dei talebani. Lo scorso ottobre Islamabad ha dichiarato illegali circa 1,7 milioni di rifugiati privi di documenti e ha ordinato loro di lasciare il Paese entro il 1 novembre per non rischiare di essere sgomberati con la forza. Alla scadenza del termine la polizia è passata dalla registrazione dei casi ai sensi della legge sugli stranieri del 1946, che tra le altre cose criminalizza l’ingresso illegale in Pakistan, alla detenzione diretta dei rifugiati ritenuti «illegali» nei centri di espulsione. In tutto il Pakistan sono stati istituiti una cinquantina di centri di detenzione o di «transito». Questi funzionano di fatto al di fuori del sistema legale ordinario. È stata inoltre formata una task force per «sequestrare le persone con carte d’identità false e le proprietà illegali costruite sui loro documenti falsi», mentre all’ente nazionale di registrazione del Paese è stato ordinato di cancellare tutte le «carte d’identità false» e di confermare tutti i casi con il test del DNA. L’Onu stima che oltre 330’000 rifugiati sono stati espulsi o «volontariamente» rimpatriati, mentre altre migliaia si trovano nei campi «transitori» di detenzione in condizioni miserevoli. Senza acqua o cibo, esposti alle intemperie o ai maltrattamenti. Ma non è tutto. Le Nazioni unite hanno ricevuto anche segnalazioni di raid notturni, confisca di denaro, gioielli e bestiame, arresti arbitrari e detenzioni di rifugiati afghani da parte della polizia locale pakistana. E però, secondo Abbas Khan, commissario capo per i rifugiati afghani, non c’è nulla di strano. La politica del Governo nei confronti degli immigrati clandestini è molto chiara: le persone prive di documenti che hanno investito in proprietà o attività commerciali in Pakistan non hanno una copertura legale per i loro beni perché la loro presenza nel Paese è illegale, e di conseguenza sono illegali anche le loro proprietà e attività commerciali. Viene loro consentito di varcare il confine solo con gli abiti che hanno indosso e poco denaro.

In Afghanistan li aspetta un vero e proprio inferno. Una volta arrivati, si trasformano infatti in rifugiati all’interno del loro stesso Paese, un Paese impoverito da decenni di guerre e conflitti e ora alle prese con una grave crisi alimentare e occupazionale, un Paese in cui 15 dei suoi 40 milioni di abitanti non sanno da dove arriverà il prossimo pasto. L’amministrazione talebana ha allestito due campi profughi lungo il confine per facilitare in teoria il trasferimento dei rifugiati verso le rispettive città e villaggi di origine. In pratica la gente rimane per settimane nei campi senza sapere cosa fare. La Commissione per i diritti umani dell’Onu ha invitato inoltre le autorità pakistane a garantire protezione alle persone che «potrebbero subire persecuzioni, torture, maltrattamenti o altri danni irreparabili» in Afghanistan: ci sono centinaia e centinaia di giornalisti che rischiano la vita, oltre a migliaia di musicisti, attori, omosessuali, dissidenti e, naturalmente, donne. Alle migliaia di bambine e ragazze a cui sarà negato il diritto all’istruzione, alle migliaia di donne a cui sarà negato il diritto di passeggiare in un parco pubblico, di viaggiare da sole, di lavorare, di avere un conto in banca. Migliaia di persone a cui sarà negato il diritto a vivere una vita libera e dignitosa, a cui, nei casi più estremi sarà negato il diritto alla vita tout court. Mentre gran parte del mondo guarda altrove.