I problemi di salute di Carlo e Kate rendono umana la monarchia britannica, le restituiscono il ruolo di guida nei momenti difficili
In nessuna telenovela si poteva pensare di fare uscire di scena per un po’ tre personaggi in un colpo solo: il re, la bella principessa e una delle «cattive» più riuscite della storia di Buckingham Palace. Carlo, Catherine e Sarah Ferguson sono tutti alle prese con problemi di salute; nei primi due casi il valore simbolico della faccenda è altissimo. Non solo perché un re malato è una grande novità per una monarchia che ha sempre mantenuto uno strettissimo riserbo sulla salute dei suoi membri, ma perché Kate rappresenta il futuro radioso di un Paese che attraversa da anni una stagione di insicurezza. L’idea che lei, così atletica e solare, possa in realtà essere fragile è un elemento perturbante per la psiche nazionale, educata nei secoli a reagire in maniera emotiva all’immagine della Royal Family.
Kate è sparita da più di un mese dopo una non meglio precisata «operazione all’addome» e tornerà forse dopo Pasqua, mentre Carlo ha iniziato le terapie a Londra e, senza partecipare a eventi ufficiali, non intende comunque nascondersi del tutto. Sa che sarebbe sbagliato anche se le cure gli si leggeranno addosso, forte della lezione di sua madre Elisabetta, che di sé diceva: «Devo essere vista per essere creduta». Al momento dunque ci sono due sole persone al comando: William e, a sorpresa, Camilla. Nel primo caso la faccenda è meno naturale di quello che potrebbe sembrare. Non solo l’erede al trono non può permettersi di oscurare il padre o di dare l’impressione che si sia vicini a una successione, ma l’opinione pubblica lo apprezza soprattutto come rassicurante padre di famiglia: se lasciasse Kate da sola in questo momento difficile la sua immagine ne risentirebbe. E quindi, poiché la monarchia sopravvive anche grazie alla mistica che la circonda, è bene che questa mistica resti intatta.
E qui arriva Camilla, che in molti faticavano a vedere nel ruolo di regina consorte, e che invece si sta ritrovando con tutti i riflettori addosso e il compito di interpretare – benissimo a dire il vero – il mantra nazionale «keep calm and carry on» (manteniamo la calma e andiamo avanti). Con i suoi 76 anni portati senza infamia né lode, la sua evidente disinvoltura davanti al protocollo, vestita come 50 anni fa e l’eterno ghigno che pare nasconda un’ironia travolgente, la ex «donna più pigra d’Inghilterra», secondo la definizione affettuosa di chi la conosce bene, sta procedendo con passo sicuro attraverso tutti gli impegni noiosi e fondamentali che formano l’agenda della famiglia reale. Perché lavorano, i royals. Inaugurano di tutto, tagliano nastri, fanno discorsi, presenziano a funzioni, vengono presi e portati in giro in angoli remoti del Paese per far sentire la presenza della Corona, per alimentare quel senso di eccezionalità che viene con l’essere una monarchia. Non tutti scaldano i cuori come Kate, certo, ma è raro che si apra un nuovo ospedale senza che almeno la principessa Anne, la più stakanovista di tutti con una media di dodici eventi a settimana, venga stringere mani, a dire due parole, a prendere il tè con qualche comitato locale di anziane attiviste o giovani produttori di formaggio.
Re Carlo ha voluto restringere la squadra dei working royals al minimo, in linea con la sobrietà imposta dai tempi, anche per ridurre il numero di persone la cui vita deve essere costantemente sotto esame. Suo fratello Andrew è stato fatto uscire di scena per i suoi rapporti con il finanziere pedofilo Jeffrey Epstein, mentre Meghan e Harry, che invece facevano sognare eccome, hanno fatto danni irreparabili. Le figlie di Andrew e Sarah Ferguson, Beatrice ed Eugenie, sono giovani e amate, ma hanno entrambe un impiego normale – una lavora in un’azienda di software, l’altra dirige una galleria d’arte – e fanno vite ormai diverse. Insomma, quello dei «reali attivi» è un team anzianotto e un po’ spento, in cui al momento splende Camilla, che invece sta gestendo gli impegni pubblici della monarchia con una sobria fattività che ricorda in tutto e per tutto quella di Elisabetta. Dall’ufficio stampa di Buckingham Palace è un continuo invio di comunicati che spiegano che Camilla è lì, che The Queen inaugura qualcosa.
D’altra parte l’ufficio stampa di Buckingham Palace per la prima volta nella sua storia si è trovato a scrivere la parola «prostata», rompendo in modo netto con la tradizione. Anche la vecchia regina madre, morta a quasi 102 anni, ebbe a che fare con un tumore negli anni Sessanta ma la faccenda venne gestita con la massima discrezione e, quando fu ricoverata, ormai anzianissima, per aver ingoiato una spina di pesce, se la cavò con una battuta: sono solo i salmoni che si vendicano, disse lei, appassionata di pesca. Ma certo né lei né le regine del passato dovevano vedersela con i social network e con i canali all news e quindi Carlo ha fatto bene a far sapere di avere il cancro, tenendo segreto il tipo per evitare congetture e speculazioni.
I contribuenti, che di fatto mantengono la monarchia, hanno diritto di conoscere lo stato di salute della persona che, seppur con un ruolo cerimoniale, ne è al centro: negare questo sarebbe negare l’importanza stessa del re, relegarlo a un attore di seconda fila, a un simbolo che non ha neppure bisogno di essere in condizione di lavorare. Inoltre ha contribuito a strappare quel velo di imbarazzo che inspiegabilmente ancora avvolge troppo spesso i malati oncologici. Meno apprezzata la scelta di farsi accompagnare ancora una volta da un medico omeopata, pur seguendo i protocolli delle cure tradizionali. Il premier Rishi Sunak ha detto che la malattia fortunatamente è stata «presa presto», ma le sue parole sono cadute nel vuoto, il palazzo non vuole dare dettagli, del re si sa che ha il cancro e di Kate si sa che non ha il cancro, niente fa pensare a situazioni troppo preoccupanti. Lei sarebbe finalmente uscita di casa, anche se non ha voluto farsi fotografare, forse per non scendere al di sotto degli estenuanti standard di perfezione che da sempre raggiunge a chissà quale prezzo.
Carlo se ne starà tra Sandringham e Highgrove e viaggerà in macchina, senza vetri fumé, per togliere ai fotografi il gusto di rubare scatti. Continuerà a vedere il primo ministro – Sunak, e chiunque ci sarà dopo di lui dopo le elezioni – ogni settimana, magari su Zoom. Per ora non sono stati nominati i «consiglieri di Stato», ossia le persone, tra cui Camilla, che possono sostituirlo in caso di emergenza, e questo fa pensare che si tratti di una situazione gestibile. Oggi solo il 29% dei britannici, secondo un recente sondaggio, crede che la monarchia sia «molto importante». Non sono mai stati così pochi. Però in un momento in cui delle ferite si parla e l’idea del superuomo non è mai stata così fuori moda, la fragilità del monarca non è per forza la fragilità della monarchia: paradossalmente la rende attualissima, umana, e le restituisce il suo ruolo di guida nei momenti difficili, il ruolo che da sempre le viene meglio