Un viaggio nell’antichità, culla di ordine e caos

Appassionato ricercatore nell’ambito del IV secolo d. C., Massimo Lolli ha messo a frutto il suo tempo libero dando alle stampe Turpitudinum notae. La caratterizzazione dell’usurpatore nei Panegyrici Latini tardoantichi, un libro che in pochi mesi è andato esaurito, a conferma di quanti appassionati di storia saranno ora interessati a trascorrere una serata alternativa e certamente speciale. Mercoledì 21 febbraio, presso il foyer (primo piano) del Cinema Teatro di Chiasso, avrà infatti luogo un incontro con l’autore, filologo classico di formazione e attualmente docente liceale di Latino e Greco in Ticino. La serata, prevista a partire dalle 18, vedrà coinvolto anche Jean-Jacques Aubert, professore all’Università di Neuchâtel.

A introdurre la discussione sarà invece Alessandro Stroppa, storico dell’antichità; mentre leggerà alcuni brani scelti, Maria Luisa Cregut, soprano e attrice.

Ma veniamo dunque all’opera.

Racconta Eusebio di Cesarea che nella città di Costantinopoli, in una tavola dipinta a encausto visibile (ndr: tecnica di pittura in uso presso gli antichi) nel vestibolo d’ingresso del palazzo imperiale, Costantino imperatore si sarebbe fatto raffigurare in piedi, affiancato dai figli, nel duplice atto di calpestare e trafiggere con la lancia un monstrum serpentiforme ricacciato nelle profondità del mare.

La testimonianza contenuta nell’eusebiana De Vita Constantini, al di là delle interpretazioni cristiane della scena fornite dal presule, apre uno scorcio particolarmente illuminante sulla dinamica della propaganda imperiale romana: il vincitore regnante, Costantino Victor, che mostra in un luogo pubblico, l’atrio del suo palazzo, ciò che i suoi sudditi potevano già toccare con mano sulle monete del biennio 324-326, vale a dire la sconfitta del rivale Licinio a Christopolis sulle sponde della Propontide, in Asia, incarnata in un grande serpente, un draco, trafitto dal labaro costantiniano.

Nella più consueta delle celebrazioni pubbliche del potere imperiale all’insegna dell’evocativo e duraturo mito romano della Vittoria eterna deificata, avremmo dunque assistito alla tradizionale celebrazione dell’unità dell’Impero trasfigurata questa volta nel combattimento dello Stato contro il nemico, dell’ordine contro il disordine, del Kosmos contro il Chaos, luce e tenebra.

Credenze, valori e principi che all’epoca di Costantino erano stati ampiamente metabolizzati dall’ideologia imperiale a giustificazione e a sostegno del sistema di governo in atto da secoli, dal principato al dominato. Una ideologia che ricorreva a ogni strumento disponibile, e non solamente all’indubbio potere delle immagini. Oggetti, architetture, testi, feste, tutto concorreva a plasmare il più possibile presso il pubblico la nitida figura dell’imperatore consolidandone il potere e l’autorità attraverso una retorica elogiativa che esaltasse le virtù meta-umane del vertice dell’Impero, stigmatizzando i rivali del momento.

Nemici ai quali la sperticata opera di celebrazione filoimperiale revocava senza appello la dignità di esseri umani, ora ridotti a mostri ora a creature subumane, ricetto di ogni nefandezza, di ogni bruttezza, fisica e morale.

Il Corpus dei Panegyrici Latini è in questo senso una testimonianza straordinaria perché, nel raccogliere e tramandare discorsi celebrativi pronunciati da oratori di corte all’indirizzo di alcuni tra gli imperatori più significativi del III e IV secolo d.C., da Diocleziano a Massimiano a Costanzo Cloro e Costantino fino a Teodosio, ci consente di comprendere da un lato la retorica e la propaganda imperiali in un periodo compreso tra l’esperienza della tetrarchia dioclezianea e il regno di Teodosio, mentre dall’altro ci mostra quali sono stati e come si sono adattati modificandosi i micidiali meccanismi retorici del processo di disumanizzazione del nemico in ambito romano.

È in questa doppia opera di lettura e analisi, quindi di studio, che si innesta il lavoro di Massimo Lolli il quale, dell’intero Corpus miracolosamente giunto fino a noi grazie al lavoro dell’umanista Giovanni Aurispa nel XV secolo, che scoprì e trasmise il codice contenente il testo antico, si concentra in specifico su otto discorsi pronunciati in momenti diversi, e in onore di vari imperatori, per illustrare fino a che punto la caratterizzazione del nemico emerga come un elemento chiave nella costruzione dell’identità imperiale in un periodo storico particolarmente turbolento per la storia dell’Impero Romano, perturbato da rivolte e instabilità eterogenee alle quali si tentava di contrapporre stabilità e ordine.

Non stupisce che Lolli scelga allora di focalizzarsi sugli usurpatori, uomini che tentarono di assumere o di conservare il comando supremo senza tuttavia riuscirci e che, oltre alla morte, subirono la damnatio memoriae, apostrofati come figure pericolose, bestiali e profondamente immorali.

All’incalzare delle ribellioni e delle infruttuose prese di potere, gli oratori oppongono la luminosa opera degli imperatori che di volta in volta vincono e sbaragliano i propri nemici creando ad arte un contrasto netto tra il sovrano celebrato e il nemico denigrato. Un procedimento che – sottolinea l’autore – si regge in larga misura sull’uso sapiente di specifici epiteti morali e fisici, scelti per rafforzare questo contrasto e consolidare così facendo nell’uditorio il sostegno all’autorità imperiale e dunque allo Stato.

Bene lo dimostrano i primi tre panegirici esaminati dall’autore e pronunciati da Mamertino negli anni 289, 291 e 297 in risposta alla crisi politica e militare innescata dalla ribellione di Carausio e Alletto fra Gallia e Britannia dove era stata tentata la creazione di un impero separato.

Una volta approfondito il contesto storico e la retorica impiegata, Lolli mette in luce l’abilità di Mamertino nel costruire narrazioni, plasmando un’immagine positiva degli imperatori attraverso la presentazione della pietas e della concordia come fondamenti della stabilità dell’Impero Romano, mentre Carausio, insieme ai suoi accoliti, è dipinto come un traditore minaccioso e oscuro, un prodigium (cioè un segno mostruoso), un pirata, anzi un archipirata, perché responsabile di violenze e illegalità nei confronti dell’unità, della stabilità e infine della prosperità dello Stato.

È in particolare l’uso del termine prodigium che attira l’attenzione, giacché nella prospettiva romana considerare un nemico un prodigium indicava che le sue azioni fossero percepite come contrarie alla volontà divina o che la sua stessa esistenza fosse una deviazione dalla norma stabilita dagli dèi. Kosmos contro Chaos, ancora una volta.

Ancora più emblematico è poi l’esempio offerto dalla parabola di gloria e caduta dell’Augusto Massimiano, 305-311. La figura di Massimiano è presentata attraverso il prisma della sua abdicazione nel 305 e dei successivi tentativi di recuperare il potere. Le descrizioni lo dipingono come un personaggio ingrato e il suo desiderio di ritorno al potere viene chiaramente definito un errore. Questa caratterizzazione serve a giustificare le azioni di Costantino, presentato come colui che preserva l’ordine contro un usurpatore ingrato. L’uso di espressioni come immaturum otium e foedum facinus contribuisce a dipingere Massimiano come un sovrano che abbandona il suo dovere in cambio di un ozio egoistico e che successivamente compie azioni indegne di un imperatore. Tale rappresentazione serve non solo a discreditare Massimiano personalmente ma anche a giustificare l’azione di Costantino nel liberare l’Impero da un capo considerato debole e moralmente compromesso al fine di preservare e garantire il progresso dell’Impero.

Lolli prosegue poi esaminando i panegirici del 313 e 321, dai quali si staglia sulla scena la figura di Costantino, ormai padrone dell’Occidente, vincitore di un nemico definito senza mezzi termini come un tiranno, l’Augusto Massenzio. Gli epiteti denigratori come monstrum e hostis rei publicae creano un’immagine di lui come minaccia all’ordine politico e alla stessa esistenza dello Stato. La dettagliata descrizione fisica e morale contribuisce a demonizzarlo, costruendo una figura odiata e temuta. Massenzio viene infatti etichettato come monstrum, un mostro, e prodigium, una mostruosità, un essere anomalo e distorto, sia fisicamente sia moralmente.

Come giustamente sottolinea Lolli, epiteti morali e fisici forti come quelli citati poco sopra erano concepiti per colpire emotivamente il pubblico e per minare la reputazione del nemico. Una finalità rafforzata e sostenuta dall’uso di dettagli grafici e descrittivi a creazione di immagini vivide del nemico nella mente del pubblico al fine di rendere più persuasiva la denigrazione, influenzando le opinioni degli ascoltatori. Nel contesto della vituperazione del nemico nei Panegyrici Latini, la creazione di immagini vivide risulta in effetti essenziale per suscitare emozioni, catturare l’attenzione dell’uditorio e consolidare la negatività associata al nemico influenzando emotivamente la comprensione dei fatti.

In conclusione, l’analisi attenta condotta da Massimo Lolli sugli esempi tratti dai Panegyrici Latini rivela l’indubbia abilità degli autori tardoantichi nel plasmare l’immagine dei nemici attraverso una varietà di strategie retoriche che spaziano dall’uso di immagini vivide alle metafore penetranti, alle descrizioni dettagliate, ma non solamente. Se da un lato lo studio di Lolli consente a chiunque voglia accostarvisi di comprendere fino a che punto il metus hostilis, la paura del nemico, sia stata dirimente nella politica e nella retorica imperiale romana, dall’altro un testo come questo permette a mio avviso, in filigrana, di squarciare il velo della propaganda di ogni tempo per sporgersi al di là di essa e vedere infine quale complessità abiti la faticosa costruzione di un potere necessitato comunque e sempre a giustificare sé stesso e il proprio diritto a esistere.

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