Caro Verbeek potrebbe essere definita una «nasologa», se la parola esistesse. Dato che però questo neologismo non è ancora stato creato, posso soltanto permettermi di definirla un’«esperta di nasi». Una specializzazione particolare: Verbeek non ha fatto una scuola ad hoc per studiare i nasi, ma ha seguito un percorso iniziato a partire dalla sua esperienza. Lei e i suoi genitori, infatti, sono stati tutti benedetti da un naso – per usare le sue parole – «prominente». Sua madre, da bambina, a scuola veniva soprannominata «Ringo», come il batterista e cantante dei Beatles «dotato di un organo olfattivo particolarmente evidente». Anche il padre di Verbeek «aveva una proboscide formidabile». La combinazione dei geni dei suoi genitori è stata responsabile della forma e delle dimensioni del punto centrale del suo viso. Da adolescente, Verbeek si vergognava a tal punto del suo profilo che per anni, andando in bicicletta, non osava superare nessuno, perché temeva di ricevere qualche commento spiacevole. Il disagio è continuato anche da adulta. Una volta un presentatore televisivo l’ha annunciata con le parole: «Una donna di gran fiuto». Anni dopo un musicista professionista le ha detto, fissandola: «Hai proprio un naso grosso. È per questo che ti occupi degli odori, vero? Anche i musicisti hanno sempre le orecchie grandi».
Verbeek non si è persa d’animo. Anzi, ha deciso di puntare su questa sua caratteristica: è diventata storica dell’arte e ricercatrice specializzata in Storia culturale dei sensi. Insegna alla Vrije Universiteit di Amsterdam e dal 2010 progetta tour olfattivi e laboratori per musei e altre istituzioni. E ha appena pubblicato Sul naso. Una storia culturale (Il Saggiatore), volume nel quale disquisisce della parte che più di ogni altra sta – letteralmente – sotto ai nostri occhi, e delle molteplici maniere usate, nel corso dei secoli, per raffigurarla, connotarla, esaltarla e metterla in ridicolo. Una rassegna che parte dal profilo aquilino di Cleopatra, esagerato nelle rappresentazioni per emulare quello dei potenti sovrani maschi, e passa a quello storto di Michelangelo, conseguenza di un pugno ben assestato e causa della sua ossessione estetica per i nasi fini, arrivando fino al naso «impossibile» di Barbie.
Verbeek spiega ad «Azione» che nel suo libro ha delineato come le varie forme del naso siano state interpretate nelle diverse epoche. Da storica dell’arte, ha notato che i ritratti su tela erano spesso adornati con nasi particolarmente grandi e caratteristici. «Per millenni si è creduto che la forma del naso fosse l’espressione del carattere o della professione. I dipinti di grandi personaggi arrivati a noi non erano fotografici, ma dovevano riflettere l’aspetto interiore. Un naso aquilino, per esempio, al tempo di Dante era visto come l’espressione di talento poetico. Anticamente il naso adunco rappresentava, invece, qualcuno dotato di coraggio e lealtà, mentre nel 1700 indicava un desiderio di potere e un temperamento volitivo».
I canoni di bellezza, però, cambiano. Purtroppo per chi di noi ha profili irregolari o importanti, l’ammirazione per i nasi grossi è caduta in disgrazia un secolo fa, soppiantata dal modello piccolo, chiamato «celestiale». Nel 1956 Barbie ha rappresentato un passaggio epocale: secondo la studiosa Alexandra Jaudio nessun altro prodotto ha influito sugli standard estetici quanto la bambola dai lineamenti «perfetti».
Comunque c’è chi sta iniziando – finalmente – a ribellarsi a certe regole. I nasi non conformi alla norma, scrive Verbeek, non vengono più evitati dai mezzi di comunicazione tradizionali. «Rivoluzionaria è stata, per esempio, la copertina del “Wall Street Journal Magazine” che mostrava il profilo deciso della regista Sofia Coppola». Da giovane, la figlia di Francis Ford Coppola si sentì dire da un chirurgo plastico che «sarebbe stata molto bella» se si fosse sottoposta a un intervento al naso. Ma lei ha preferito rinunciare al bisturi. Un’altra celebrity che non ha accettato di piegarsi alla chirurgia estetica è Lady Gaga. Agli inizi della sua carriera le dissero di farsi ritoccare il naso, ma lei non ascoltò il consiglio perché «voleva restare quella che era». Barbra Streisand è stata una pioniera della difesa del profilo autentico e non ha mai ceduto alle seduzioni della rinoplastica. «La sua bellezza – osserva Verbeek – affascina in un modo che trattiene lo sguardo, senza che si riesca a capire il perché. I suoi occhi misteriosi, un po’ malinconici, sicuramente contribuiscono all’effetto, ma non quanto il centro del suo volto».
Nel suo libro Verbeek non racconta solo l’estetica, ma anche il «naso interno», e quindi l’olfatto. Stando a quanto scoperto dallo scienziato Andreas Keller, siamo in grado di distinguere dieci miliardi di odori diversi. Se abbassassimo il naso fino al suolo, come molti animali, saremmo capaci di seguire anche bendati una traccia olfattiva (per esempio di cioccolata) sul terreno, secondo gli studi di Noam Sobel e Jess Porter dell’Università di Berkeley. E il rinomato psicologo olandese Ep Köster ha dimostrato che abbiamo tutti un odore di famiglia e che siamo in grado di riconoscerlo. C’è una spiegazione evolutiva per il fatto che disponiamo di un olfatto così acuto: ne abbiamo bisogno. Il naso sembra essere un importante consigliere soprattutto sul piano sociale. Monique Smeets e Jasper de Groot, ricercatori all’Università di Utrecht, hanno provato che possiamo fiutare le emozioni degli altri e farle nostre per rendere più saldi i rapporti sociali: se un mammifero diffonde l’odore della paura quell’emozione «contagia» il resto del gruppo, mettendo tutti in allerta.
Ma «i nasuti» possiedono un fiuto migliore degli altri, viene spesso chiesto a Verbeek? Probabilmente no, risponde l’autrice. «La quantità di recettori che può ospitare un nasino grazioso differisce assai poco da quella di un pronunciato naso aquilino». L’unico beneficio potrebbe essere che, con le narici più larghe, arriva più velocemente ossigeno ai polmoni.