Renato Martinoni e Lorenzo Planzi raccontano l’emigrazione ticinese dalle valli di Blenio e Leventina e dal Locarnese verso la Francia avvenuta a cavallo tra Otto e Novecento
«Lorenzo Planzi è partito dai racconti della sua famiglia e poi da storico ha fatto le sue ricerche negli archivi pubblici e privati ricostruendo questa storia dei ticinesi a Parigi che lui chiama “saga” per il fatto che ha una sua continuità nel tempo» ci dice lo scrittore e professore emerito di Letteratura italiana all’Università di San Gallo Renato Martinoni, curatore della prefazione del volume Ticinesi a Parigi. Una saga emigratoria, crocevia delle culture (1800-1945). «Questo lavoro – continua Martinoni – ha il merito di colmare una lacuna importante nella nostra storia dell’emigrazione che resta un fenomeno importante».
Lorenzo Planzi nel volume uscito per Dadò ricostruisce la storia dei migranti che a cavallo tra Ottocento e Novecento abbandonano la Valle di Blenio, la Leventina o il Locarnese per andare a Parigi in cerca di un lavoro per sopravvivere all’asprezza della vita contadina. A metà Ottocento, tra maronatt, vetrai, spazzacamini, intraprendenti commercianti e gelatai, i ticinesi che vivono a Parigi sono circa tremila.
Martinoni, che ha studiato i movimenti migratori ticinesi verso la vicina penisola italiana e più lontano verso la West Coast americana e l’Australia, dice che «questa è un’emigrazione diversa, più cittadina, meno avventurosa, più povera, un’emigrazione anche più moderna che permette una scalata sociale simile a quella che faranno gli italiani nel dopoguerra qui da noi». Poi ricorda come la nostra emigrazione fosse legata a un certo tipo di professione e di geografia. «Già nel Settecento i bleniesi sono noti perché vanno in Italia a Milano a fare i cioccolatai, i maronai, i cuochi. Quelli dell’alta Valle Maggia, della Val Lavizzara andavano a Roma a lavorare dai cardinali e facevano gli stallieri. Quindi c’è un’emigrazione legata a un certo tipo di professione e a un certo tipo di geografia. I bleniesi erano bravi nel campo della ristorazione, pensiamo ai Gatti a Londra. Nella saga di Planzi c’è la storia del ticinese che diventa il primo gelataio di Francia. L’emigrazione, soprattutto all’inizio, naturalmente è dura e non tutti riescono. Ci sono figure interessanti come quella di Cherubino Patà, verzaschese di Sonogno, pittore che nel 1868 va a Parigi ed esporrà al Salon. A proposito della città dice che è bella ma i parigini sono difficili».
Uniti dalla stessa passione per la storia della migrazione, entrambi, Renato Martinoni e l’autore Lorenzo Planzi sono di Minusio. Classe 1984, un Dottorato in storia e la licenza canonica in teologia conseguita presso l’Università Gregoriana di Roma, Lorenzo Planzi attualmente è ricercatore senior presso il Dipartimento di storia contemporanea all’Università di Friburgo. In attesa della presentazione del volume il prossimo 29 febbraio alle 20:00 nell’ambito del FestivaLLibro di Muralto (che giunge quest’anno alla sua quinta edizione e si terrà dal 28 febbraio al 2 marzo), gli abbiamo fatto qualche domanda.
Lei è partito studiando i suoi legami famigliari?
Sì. Mia nonna è nata a Parigi e così anche la mia prozia Marguerite Baggi che ho conosciuto bene e che ha vissuto nella colonia ticinese gli anni drammatici della Seconda guerra mondiale dell’occupazione tedesca. Sin da bambino sono stato affascinato dalle storie che raccontava: penso alla vita della colonia ticinese, ai momenti difficili del rastrellamento degli ebrei nel Marais. Marguerite Baggi aveva una bottega di castagne, gelati e alimentari. Mi raccontava degli incontri della Pro Ticino, di questa colonia ticinese vivace e anche di alcuni suoi scontri con gli ufficiali nazisti quando aveva voluto prendere le difese di alcune persone perseguitate, ebrei che venivano nel loro negozio. Ho avuto modo di conoscere i lontani cugini che vivono ancora a Parigi e con loro ho avuto la possibilità di consultare degli archivi, a cominciare dal loro archivio famigliare e, passo dopo passo, ricostruire una storia che attendeva di essere scritta. Determinanti sono stati anche i contatti con la sezione parigina di Pro Ticino e il suo presidente Gérard Solari che negli anni ha messo insieme un prezioso archivio nella sua casa alla periferia di Parigi a La Garennes /Colombes. Consultarlo mi ha permesso di allargare lo sguardo trasformando una storia di famiglia nella storia globale di una colonia, di una vera comunità ticinese che si è prolungata per un secolo e mezzo.
La foto scelta per la copertina del libro, la stessa che vediamo qui a lato, ci racconta proprio della bottega della sua famiglia…
Esattamente, ritrae i miei bisnonni, Louis e Marta Baggi con le due figlie, la mia nonna, e Marguerite che è la bambina più piccola, la mia prozia, la prima a raccontarmi questa storia.
A proposito di storie: un bel capitolo del libro ci porta nel cuore di alcune storie di ticinesi a Parigi. Iniziamo da un ritratto femminile, quello di Elsa Franconi-Poretti.
A proposito di storie femminili è importante dire che questa colonia ticinese all’inizio era quasi esclusivamente maschile nel senso che l’emigrazione ticinese a Parigi è cominciata come fenomeno stagionale. Erano soprattutto gli uomini a lasciare le valli di Blenio e la Leventina per passare qualche mese in Francia. Erano chiamati les hirondelles en hiverperché arrivavano a Parigi in autunno e rientravano in primavera. Poi questo movimento migratorio da stagionale è diventato più stabile e sono arrivate anche le donne. Va ricordato che spesso le donne erano assenti dalle corrispondenze perché erano di più gli uomini a scrivere; ma il loro ruolo è stato fondamentale. In verità, sappiamo che erano loro a portare avanti le famiglie. Elsa Franconi-Poretti è stata corrispondente del «Corriere del Ticino» ma anche della radio della Svizzera italiana da Parigi negli anni tra le due Guerre mondiali e poi ancora alla fine della Seconda. Il suo era un modo molto coraggioso e spigliato di raccontare Parigi al Ticino attraverso le cronache e le corrispondenze. Aveva anche un occhio critico. Non ho il libro con me, ma cito un esempio a memoria: in occasione di un’esposizione svizzera si era fatta avanti per dire che il Ticino era totalmente assente visto che a rappresentarlo c’era soltanto una foto del campanile di Morcote. Aveva uno sguardo coraggioso e una voce critica che non aveva paura di far sentire. Inoltre è stata cofondatrice del giornale «Le messager suisse de Paris» una testata che da una parte cercava di raccontare la realtà parigina, dall’altra di tenere al corrente gli emigrati ticinesi e svizzeri di quello che succedeva in patria.
L’abbiamo già menzionata ma a questo punto vogliamo tornare sulla figura di Marguerite Baggi Planzi…
Nata nel 1918 a Parigi ha vissuto gli anni difficili sotto l’occupazione tedesca. Era sarta di professione ma aiutava i genitori a mandare avanti la bottega di famiglia e raccontava, ad esempio, che in questi anni così difficili poteva dormire poco perché alle due, alle tre di notte doveva alzarsi per andare a mettersi in fila in queste lunghe code che si formavano ai mercati di Les Halles per poter comprare un pezzo di pane o un pezzo di carne. Raccontava anche dei bombardamenti tedeschi e poi inglesi e americani, del fatto che non erano mai al sicuro. Si sentiva molto francese. Quando è rientrata in Ticino insieme al marito Luigi Planzi ha animato il Caffè Milano a Locarno che era un po’ il caffè degli artisti e degli scrittori. La mia prozia si è sempre sentita un po’ parigina e un po’ ticinese. La sua era una doppia identità. Del resto tanti ticinesi sono rimasti un po’ francesi e tanti francesi sono ancora oggi un po’ ticinesi. Mia zia parlava quasi sempre in francese, insomma, anche quando aveva 90 anni diceva qualche parola in italiano, ma la sua lingua del cuore era il francese anche se poi ha vissuto per decenni nel Locarnese. Si è sempre portata nel cuore Parigi, la città dove è nata e cresciuta.
ll volume è arricchito da un notevole apparato iconografico e tra le tante immagini trovo meravigliosa questa di Victor Bagi con Joséphine Baker (qui a sinistra).
Lui era titolare della celebre gelateria al numero 38 di rue d’Amsterdam, aperta già alla fine del 1800. Tra i clienti abituali della gelateria c’era proprio lei – la perle noir – Joséphine Baker. Ma c’era di più, con lei Victor Baggi aveva anche un rapporto di amicizia e di affetto. Alla fine della guerra nel 1949 è stato addirittura proclamato premier glacier de France,un titolo davvero ambito.
Mentre mi raccontava sfogliavo le immagini: sono parte di fotografie di famiglia o anche in questo caso l’apporto degli archivi è stato fondamentale?
Queste foto vengono piuttosto da archivi famigliari che mi sono stati aperti grazie ai tanti incontri e alle interviste che ho fatto a Parigi. Ad esempio c’è Marzio Snozzi che era direttore della Maison de champagne MUMM e in quel caso ho incontrato la figlia che mi ha messo a disposizione la foto. Per Gino Arrigoni è successa la stessa cosa: la figlia Carla mi ha messo a disposizione la foto. Per Victor Baggi, il figlio Willy. Il lavoro di ricerca negli archivi famigliari è stato fondamentale. Sono stato spesso anche in viaggio tra Parigi, Berna, l’archivio federale e poi anche in Ticino. Poi la storia orale ha dato il suo contributo fondamentale perché parte di questa galleria di ritratti è potuta essere scritta grazie alle interviste che ho fatto con i figli di alcune di queste personalità. Altre immagini provengono dall’archivio della Pro Ticino.
Per un progetto come questo si parte sempre con idee e visioni di quello che sarà. Quando si è trovato alla fine, c’è stato un elemento inaspettato, un valore aggiunto che non aveva considerato?
Mi ha sorpreso innanzitutto l’ampiezza di questa comunità, a cominciare dalle cifre. Non avrei mai pensato che alla vigilia della Seconda guerra mondiale a Parigi vivessero addirittura tremila ticinesi. A colpirmi in positivo è stato anche lo spirito di comunità che ho scoperto esserci tra loro. C’era un forte legame tra i ticinesi a Parigi, erano lontani da casa ma uniti nella grande metropoli, uniti dal legame con la loro terra. Questo spirito comunitario mi ha positivamente impressionato.