È stata individuata la chiave che potrebbe aprirci a nuove prospettive di cura per il tumore al seno e addirittura prevenirlo. Recentemente pubblicato sulla rivista «Nature», lo studio è frutto di ricerche condotte e coordinate dall’Università americana del North Carolina a Chapel Hill, e mette in evidenza la scoperta di una proteina che provoca la morte delle cellule malate ancor prima che queste completino il processo di trasformazione in cellule tumorali.
Si tratta della scoperta di una proteina chiamata p140Cap che, secondo gli scienziati, «agisce attraverso un processo infiammatorio che mobilita in massa anche le difese immunitarie, rendendole più facilmente in grado di riconoscere, prima, e poi eliminare le cellule danneggiate». Tale scoperta potrebbe portare allo sviluppo di un’ulteriore fase della ricerca che dovrebbe generare trattamenti il cui obiettivo sarebbe proprio la proteina p140Cap, non sempre presente: «Se questa proteina interagisce con un “sensore” del DNA (chiamato cGAS), allora sarà in grado di eliminare le cellule danneggiate».
Per dovere di cronaca, e a suffragio dell’importanza di tale scoperta, bisogna evidenziare che, parimenti alla pubblicazione su «Nature» da parte degli scienziati americani, allo stesso risultato sono giunti gli scienziati del Laboratorio di ricerca «Piattaforma di segnalazione nei tumori» del Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute dell’Università di Torino, insieme al professor Salvatore Pece, ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano. Quest’altro studio ha visto la luce sulla rivista «Nature Communication».
Sono due notizie molto importanti che ci permettono di addentrarci in un ambito, quello della ricerca, tanto affascinante quanto di difficile interpretazione. Un campo ostico, ma non impossibile da comprendere, ragione per la quale ci siamo affidati al consulente scientifico dottor Francesco Meani, senologo alla Clinica Luganese di Moncucco, per farci accompagnare attraverso i meandri della scienza che evolve sempre più verso la conoscenza di strumenti di lotta ai tumori e verso una sempre migliore individualizzazione e presa a carico di queste patologie. «Lo studio, ci spiega, evidenzia che all’origine dell’intero processo c’è verosimilmente p140Cap, una proteina in grado di inibire la crescita tumorale, orchestrando un’efficiente risposta antitumorale nell’omonimo micro ambiente (TME) dei tumori al seno».
I dati indicano che la sua assenza caratterizza almeno il 40-50% di tutti i casi di tumori mammari umani, determinando una cascata di eventi che portano all’attivazione incontrollata del gene responsabile della sintesi di una potente proteina (beta-Catenina) coinvolta nella crescita tumorale. Il dottor Meani così sintetizza il meccanismo: «La funzione di soppressore tumorale della proteina p140Cap è stata storicamente attribuita alla sua capacità unica di comportarsi come una “proteina adattatrice” che interferisce con l’attività di diversi circuiti oncogenici, tra cui le vie delle tirosi-chinasi recettoriali e non recettoriali, riducendo così la modulazione della risposta antitumorale».
Ciò significa che p140Cap si comporta come una sorta di «interruttore» molecolare che esercita una duplice funzione antitumorale tramite l’inibizione della beta-Catenina (ricordiamo: coinvolta nella crescita tumorale) e la conseguente riduzione delle cellule staminali tumorali: «Inibisce l’espansione della massa tumorale e sostiene un’efficiente risposta immunitaria anti-tumorale nel microambiente circostante».
Secondo il nostro interlocutore e consulente scientifico, non sorprende «che una bassa presenza di p140Cap predica una prognosi più grave». Ed è confermato dagli studi del professor Salvatore Pece e della sua équipe: «Abbiamo dimostrato una chiara correlazione tra bassi livelli di proteina p140Cap nei tumori mammari più aggressivi e la ridotta presenza di cellule del sistema immunitario, in particolare linfociti, nelle aree circostanti il tumore».
Pece sostiene che questi dati suggeriscono quindi come p140Cap potrebbe essere usata come biomarcatore nella pratica clinica, in quanto «sarebbe in grado di identificare i tumori mammari con alterazioni della risposta immunitaria antitumorale». Mentre il dottor Meani aggiunge: «Oltre alla sua capacità cellulare autonoma di modulare negativamente le vie di segnalazione oncogenetiche, la proteina p140Cap influenza anche gli eventi esterni alla cellula, sopprimendo una risposta immunitaria permissiva al tumore, a favore di un’efficiente risposta antitumorale nel microambiente del tumore primario».
Meani sottolinea altresì l’estrema rilevanza di questi risultati: «Essi portano a una più approfondita comprensione della funzione di p140Cap come soppressore tumorale, considerando l’emergente legame tra la risposta immunitaria antitumorale del microambiente tumorale e il controllo negativo della progressione tumorale e delle metastasi».
Al netto della scoperta, il dottor Pece conclude: «Oggi si sa che i tumori più aggressivi e con decorso clinico più sfavorevole sono quelli arricchiti in cellule staminali tumorali, oppure quelli in grado di sfuggire alla risposta immunitaria naturale, rendendo inefficienti i meccanismi di barriera antitumorale esercitati dalle cellule del sistema immunitario. La scoperta dell’esistenza di un nuovo circuito molecolare “p140Cap / beta-Catenina” apre quindi una prospettiva concreta per la presa a carico terapeutica delle pazienti con tumore al seno che hanno perduto p140Cap: una perdita che sta alla base dell’aggressività della biologia dei tumori mammari».
In sintesi, riassume il dottor Meani: «L’insieme dei risultati preclinici e clinici amplia l’attuale comprensione della funzione di p140Cap e fornisce una dimostrazione formale del suo ruolo nell’inibire la beta-Catenina, sfruttando questa funzione per la regolazione antitumorale della risposta immunitaria del TME. Grazie a questi risultati, in futuro le pazienti potrebbero beneficiare di nuove terapie per colpire le cellule staminali tumorali e ripristinare una efficiente risposta immunitaria contro il cancro». Terapie di questo tipo oggi rappresentano l’obiettivo delle principali linee di ricerca per lo sviluppo di nuovi farmaci in oncologia.