Il segreto dei centenari sotto la lente

Quand’è che diventiamo vecchi? Età e invecchiamento non sono la stessa cosa. L’età è solo un numero, sentirsi vecchi è una sensazione soggettiva, mentre l’invecchiamento è un processo osservabile, che può essere descritto e in parte definito scientificamente come la perdita progressiva dell’integrità fisiologica, che porta a una compromissione funzionale e a un aumento della probabilità di morte.

In realtà, l’invecchiamento è in gran parte un mistero, un enigma. Se ne parla tanto, soprattutto oggi che l’aspettativa di vita è aumentata: nell’ultimo secolo nei Paesi industrializzati è addirittura raddoppiata. Più di 500’000 persone nel mondo hanno cento o più anni, un numero triplicato negli ultimi due decenni e lo studio dei centenari va di pari passo con quello dei processi di invecchiamento.

Secondo alcuni ricercatori il segreto per uno stato di benessere fino a tarda età è scritto nei nostri geni

Un aiuto alla comprensione dei meccanismi d’invecchiamento può arrivare proprio dallo studio delle persone più longeve, i centenari. L’innalzamento dell’età media, da un lato, è una delle conquiste più importanti dei nostri tempi, ma dall’altro è anche una sfida: ciò che oggi interessa non è la longevità in sé e per sé, bensì una longevità sana che permetta di invecchiare in salute. Il Cantone Ticino è una delle regioni europee con la speranza di vita più alta, non a caso, fra tutti i cantoni svizzeri, è quello che in proporzione ha più centenari, oltre 180. Persone il cui inconsapevole segreto è ancora un enigma. Perché ci sono individui che vivono così a lungo? Che sembrano non invecchiare? O pur invecchiando non si ammalano? Esistono dei geni della longevità? E in che misura conta l’ambiente? C’è chi dice che il corpo invecchia per il progredire del deterioramento dei tessuti, come se a poco a poco si consumasse, e chi dà più importanza alla genetica dicendo che il nostro orologio interno è impostato su un tempo particolare. A tutte queste domande risponderanno i numerosi esperti del Lugano Longevity Summit, l’evento del 25 marzo organizzato da Braincircle Lugano, in collaborazione con USI e SUPSI, con il patrocinio della Città di Lugano e sostenuto anche dal Percento culturale Migros Ticino. Un evento in cui si parlerà anche di centenari, con i protagonisti di due importanti progetti di ricerca, il Longevity Genes Project condotto negli Stati Uniti dal prof. Nir Barzilai e Swiss100, il primo studio nazionale in Svizzera sui centenari, ancora non concluso, ma del quale saranno comunicati in anteprima alcuni dati.

Nir Barzilai, fondatore e direttore dell’Institute for Aging Research dell’Albert Einstein College of Medicine di New York, è uno dei pionieri della ricerca sulla longevità. «Abbiamo raccolto un campione di 750 centenari – dice il prof. Barzilai – ma ancora più importante è avere l’opportunità di studiare le loro famiglie. Stiamo facendo uno studio longitudinale, nel tempo, sui figli dei centenari per capire come invecchiano: abbiamo osservato, per esempio, che hanno il 40% in meno di malattie cardiache, così come un declino cognitivo minore, una mortalità più bassa e biologicamente sono più giovani di dieci anni rispetto ai loro coetanei». Se lo studio dei centenari permette di capire quali siano i geni che rallentano il processo di invecchiamento, osservare i figli consente di vedere gli effetti di questi geni. «I centenari – continua Barzilai – si ammalano 20 o 30 anni dopo la media, la loro salute e durata di vita vanno di pari passo; assistiamo a ciò che si chiama “contrazione di morbilità”, cioè una riduzione della frequenza con cui certe malattie si manifestano. Il 30% non ha neppure una malattia». Secondo i dati del Centers for Disease Control and Prevention, negli ultimi due anni di vita la spesa sanitaria di un centenario è un terzo rispetto a quella di chi ha 70 anni. Se da un lato la morte è inevitabile, non possiamo pensare di vivere in eterno, possiamo però evitare, dice Barzilai, un invecchiamento non in salute. «Se riusciamo a prevenire le malattie legate all’età, come effetto collaterale avremo una vita più lunga. Il nostro scopo non è quello di evitare la morte, ma agire contro l’invecchiamento. Come specie animale, la durata massima della nostra vita è statisticamente di 115 anni, eppure – continua Barzilai – la metà di noi muore prima degli 80. Cosa possiamo fare per aumentare la durata di una vita in salute? L’invecchiamento è la madre delle malattie cardiache, del cancro, del declino cognitivo, dell’Alzheimer; l’invecchiamento stesso può essere considerato una sorta di malattia, anche se non mi piace definirlo così».

Ma in tutto questo che ruolo ha l’ambiente? La risposta del prof. Barzilai in parte sorprende: «L’80% delle cause d’invecchiamento è legato all’ambiente in cui viviamo, il 20% alla genetica; ma ambiente e genetica interagiscono fra loro, e, senza dubbio, la genetica ha un ruolo fondamentale: se prendiamo i centenari del nostro campione, il 60% degli uomini e il 30% delle donne sono fumatori, dal punto di vista dell’attività fisica, meno della metà fa una moderata camminata o svolge lavori domestici, gli altri si muovono pochissimo. Il 50% è in sovrappeso o addirittura obeso, eppure, in gran parte sono rimasti in salute fino a 100 anni. Per questo pensiamo che il loro segreto sia nei geni, e questo segreto lo vogliamo scoprire per sviluppare trattamenti che permetteranno anche a chi non ha la genetica dalla sua parte di rallentare il processo di invecchiamento».

Ma per capire il mondo dei centenari non basta studiare un solo aspetto, quello biologico o genetico. Si tratta di una popolazione molto diversificata, alcuni sono fragili, altri sviluppano problemi sensoriali e possono soffrire di malattie croniche, altri ancora rimangono molto attivi e continuano a beneficiare di buone condizioni di salute. Swiss100, lo studio svizzero sui centenari, ha proprio lo scopo di cogliere questa eterogeneità, studiando, anche attraverso biomarcatori, i processi biologici responsabili di queste differenze. «Il Canton Ticino – dice Barbara Masotti, ricercatrice senior e sociologa presso il Centro di Competenze anziani della SUPSI – ha proporzionalmente il numero più alto di centenari rispetto agli altri cantoni, ma si sa poco di come vivono, di quali bisogni abbiano. Il nostro è uno studio multidisciplinare che affronterà aspetti biologici, sociologici, ma anche psichiatrici e psicologici: è qualcosa di nuovo, perché gli studi esistenti, anche a livello internazionale, si concentrano solo sugli aspetti medici, mentre noi vogliamo conoscere anche come e dove vivono i centenari, qual è la loro rete sociale». In Svizzera si parla di circa 2000 centenari (nel 2022), l’obiettivo dello studio era quello di avere un campione di almeno 80 centenari per regione linguistica, 240 in tutto, obiettivo ampiamente superato. Nello studio Swiss100 sono coinvolti numerosi istituti svizzeri, dal Centro competenze anziani della SUPSI all’Università di Losanna, con la professoressa Daniela Jopp, responsabile e coordinatrice del progetto, e poi l’Università di Ginevra e quella di Zurigo, così come gli ospedali universitari di Losanna e Ginevra per le analisi biologiche.

«Lo studio non è concluso, ma posso già dare alcune indicazioni – commenta Barbara Masotti – Sulla base dei primi dati abbiamo visto una popolazione di centenari molto differenziata. A livello di salute funzionale, cioè del grado di indipendenza nello svolgere attività di base della vita quotidiana, il 13% è indipendente, mentre il 60% è dipendente in almeno una di queste attività, e la percentuale può variare da regione a regione. Abbiamo inoltre chiesto come le persone sentano e giudichino la propria condizione di salute: a livello nazionale, il 44% considera le proprie condizioni buone, il 21% molto buone e il 5% addirittura eccellenti». Uno degli aspetti più importanti, indagati dallo studio, i cui dati saranno presentati da Stefano Cavalli, responsabile per la Svizzera italiana del progetto, nel corso del Lugano Longevity Summit è la percezione di cosa significhi per una persona avere più di cento anni, e quand’è che si comincia a sentirsi vecchi. «In generale, l’avevamo già visto in altre ricerche – anticipa la dottoressa Masotti – sentirsi vecchio non va per forza di pari passo con le condizioni di salute. Se penso ai centenari che ho intervistato, una risposta ricorrente è stata: mi sono ritrovato ad aver cento anni senza nemmeno accorgermene».

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