Nell’evasione del 41enne affarista figlio di papà – e quale padre, essendo fra i più ricchi dell’intera Russia – Artem Uss, gli elementi criminologici abbondano. Ovvero: il commando in azione, i sopralluoghi mirati, le esercitazioni, per appunto la fuga (dai domiciliari in una casa a Basiglio, nei pressi di Milano, il 22 marzo 2023), e soprattutto quel che da allora è successo. Con punte che sfidano la fantasia d’un romanziere, con intrecci che risultano una lezione di geopolitica, con l’ennesima conferma di come l’Europa rimanga un insieme di provincialismi e interessi locali. Pensate per esempio al premio deciso da quel papà, il presunto mandante della liberazione: Srdan Lolic, 51 anni, uno dei capi della banda, è stato trasportato a bordo di un aereo militare russo fino al Polo Nord dove ha piantato sul ghiaccio la bandiera tricolore del suo Paese, la Serbia. Serbia che, entusiasta della missione, ora lo venera da eroe e lo protegge dalle (legittime) richieste della Procura di Milano, titolare dell’inchiesta, che vorrebbe si procedesse all’arresto e all’estradizione. Non che sia un’utopia: i carabinieri avevano inseguito il commando venendo però spiazzati dalla mossa a sorpresa della CIA, ci arriveremo, e avevano fornito alle autorità serbe la localizzazione del ricercato. Macché, Lolic libero per sempre. Idem per un altro della banda, il connazionale Nebojsa Ilic, 46 anni, mentre un terzo, questo sloveno, il 39enne Matej Janezic, sarebbe stato catturato di recente.
Vezzi oppure vizi pure della CIA, l’Agenzia di spionaggio americana, che coltiva il grande sogno di stanare addirittura lui, Uss, subito corso nella sua Russia dopo che il commando, a bordo di macchine in colonna, aveva sconfinato lasciando l’Italia. Ebbene, gli investigatori USA avevano reso noto, in misura generica e senza inviare alcun documento ufficiale, d’avere bloccato un quarto della banda, Vladimir Jovancic, 52enne. Dove? In Croazia (forse). Come? Boh. Magari era una messinscena in combutta col medesimo Jovancic? Possibile. Ma a che pro? Ottenere informazioni riservate per sublimare quel grande sogno. Sicché, alla fine, di questi cinque del commando uno soltanto è stato assicurato alla giustizia italiana, il figlio di Vladimir, il 27enne Boris, che abitava nella zona del Garda e che, a differenza dei compari, lesti a starsene nell’area balcanica, aveva deciso di fermarsi in Lombardia di fatto consegnandosi ai carabinieri. Ora, ricordando cosa c’entrino mai gli americani – Artem Uss è accusato dai magistrati di New York di reati vari incluso il contrabbando di materiale sensibile e di armi – si evince che la vicenda non sia affatto conclusa. Il padre del fuggitivo, governatore in Siberia, Aleksandr, 69 anni, docente di Diritto russo, grande amico di Vladimir Putin, non dovrebbe esitare nel garantire protezione a oltranza all’amato Artem, a maggior ragione adesso che sta a casa. Se gli Usa lo bramano così tanto, fatti loro; e se, ragiona un investigatore, uno degli attuali latitanti cadesse in trappola (anche se è quasi impossibile), state certi che si muoverà per difenderlo.
Giova narrare, a completamento del quadro, l’esito dei viaggi in Serbia di magistrati e carabinieri per sollecitare l’individuazione di Ilic e Lolic; ebbene, quelli seduti dall’altra parte del tavolo annuivano, ma sempre muti; gli italiani se ne andavano e nell’uscire dal palazzo istituzionale dell’incontro notavano sui tetti i cecchini. Allestimento per prenderli in giro dimostrando che si preoccupavano della loro sicurezza. Per chi ha avuto modo di esplorare il mondo slavo degli Apparati, un’ironica e voluta farsa. Senza dimenticare che in seguito a quel patriottico viaggio al Polo Nord, Lolic gira in pubblico, compare in interviste televisive, prosegue con la propria vita che è stata quella di rappresentante del Governo serbo e di amico del popolo russo: per cinque anni lui ha lavorato per la cooperazione economica tra le due Nazioni con ufficio a Mosca. Dopodiché non apparirà sacrilego interrogarsi se davvero ogni precauzione fosse stata adottata per impedire una facile fuga di Uss dall’abitazione di Basiglio. Non fosse stato ai domiciliari, forse sarebbe ancora al suo posto. Sì, chiaro, quel detenuto aveva il braccialetto elettronico, ma nel testare durante i sopralluoghi i tempi d’intervento delle pattuglie di carabinieri e poliziotti una volta scattato l’allarme legato allo stesso braccialetto, i quattro serbi e lo sloveno avevano appurato d’avere ampio margine per far salire Uss su di una macchina, partire, procedere in autostrada, puntare Trieste, entrare in Slovenia, prima che dietro si scatenasse una furibonda caccia. Non vi sarebbe traccia, nonostante le ovvie indagini in tal senso, della movimentazione di denaro finalizzata a finanziarie le spese della banda, calcolato che nelle permanenze a Milano il commando non esitava a dimorare in lussuosissimi hotel del centro, a volte in compagnia delle fidanzate. E fregandosene di viaggiare a ripetizione, senza pagare l’accesso, nell’Area B, che limita il traffico dei veicoli. Parecchie le multe, che non saranno mai sanate; ma questo, s’intende e concorderete, è l’ultimo dei problemi.