Le protezioni naturali delle coste è sempre più a rischio

Vivere vicino alla costa, così come in collina e in montagna, è una scelta consapevole di chi cerca uno stile di vita meno stressante rispetto ai grandi centri urbani; generalmente i rapporti fra le persone sono meno tesi e prendersi cura della propria famiglia e degli animali domestici è più semplice. Complici i viaggi e le vacanze più frequenti che in passato, gli ambienti costieri si sono velocemente trasformati e stanno subendo uno sfruttamento spesso pianificato a breve termine, senza valutare correttamente le conseguenze ambientali a lungo termine, dando priorità all’incremento della richiesta di spazi urbani, turistici, residenziali e commerciali.

Le coste sono sempre state un crocevia di persone, di traffici, di affari e di sviluppo economico. Tuttavia, nelle ere passate, gli insediamenti umani non erano sul bagnasciuga per la evidente difficoltà a difendere postazioni che consentivano vie di fuga solamente verso l’entroterra, quando i nemici presidiavano gli sbocchi via mare.

Valutando con le dovute proporzioni l’incremento della popolazione globale nei diversi continenti – in Asia e Africa per l’incremento della natalità, nel Continente americano per la consistente immigrazione, mentre in Europa si assiste a una compensazione fra l’immigrazione e la scarsa propensione alle nascite – in anni recenti le coste hanno subito un’accelerazione nello sviluppo che appare insostenibile a lungo termine, a cui si aggiungono le modifiche climatiche e i violenti eventi meteo che ne stravolgono, spesso permanentemente, l’aspetto e la conformazione. Quattordici delle diciassette più grandi città sorgono lungo le coste; undici di loro, tra cui Bangkok, Giacarta e Shanghai, sono in Asia.

Nel numero di «Azione» del 25 settembre abbiamo parlato dell’importanza ecologica e socio/economica degli habitat costieri, delle sfide ambientali che questi territori stanno affrontando ora e che ne hanno caratterizzato l’evoluzione in passato, della Strategia Europea per la Biodiversità, la quale richiede di proteggere – entro il 2030 – il 30 % dei mari europei e il 10% in modo rigoroso in ciascun Paese dell’Unione. In questo servizio ci preme approfondire la complessità e unicità degli habitat costieri.

Quelli naturali, ovviamente funzionano meglio delle strutture artificiali progettate e posate a difesa dei litorali. In genere, le strutture artificiali sono semplicemente pareti verticali e paratie che forniscono scarsa complessità strutturale e la cui presenza spesso distrugge gli habitat naturali prossimali, riflettendo l’energia delle onde e favorendo i processi erosivi sulle coste adiacenti.

Tali costruzioni, realizzate senza cavità, sostengono comunità ecologiche povere e molto meno varie rispetto agli habitat naturali; esistono anche manufatti artificiali di forma complessa, che imitano l’aspetto delle conformazioni naturali costiere. Focalizzati soprattutto sull’ottenere stabilità, si costruiscono massicci sistemi artificiali che non fluttuano affatto; al contrario, la resilienza degli ecosistemi naturali è caratterizzata dalla dinamicità, dalla complessità delle comunità ecologiche e dalla loro non linearità intrinseca. L’utilizzo di strutture costiere artificiali ingegnerizzate, come pareti verticali e rivestimenti, interrompe lo scambio di acque terrestri e altera le dinamiche ambientali (ad esempio, la fisiologia delle onde, il profilo di profondità). Solo di recente, e in gran parte in risposta a grandi disastri conseguenti agli uragani Katrina e Sandy, la ricerca ha favorito iniziative di integrazione ecologica e processi ecosistemici, parallelamente agli obiettivi ingegneristici di resistenza e stabilità.

Considerando esclusivamente l’aspetto ambientale, le barriere coralline offshore (che sono separate dalla terraferma e formano le lagune) e quelle di tipo marginale, i mangrovieti, le praterie marine e le paludi costiere – laddove presenti contemporaneamente – sono più efficaci a contrastare l’erosione delle coste rispetto a qualsiasi singolo habitat o qualsiasi combinazione di due habitat. In particolare, le mangrovie riescono a proteggere la costa sia in condizioni di tempesta sia di calma meteomarina, tuttavia la coesistenza di barriere coralline e praterie marine mitiga meglio l’impatto delle onde e delle tempeste, riducendo così ulteriormente la vulnerabilità dei territori a monte.

Oltre alle diversità strutturali, è fondamentale considerare le forme e gli esseri viventi, nonché le dinamiche (il contesto geomorfico) che costituiscono questi territori al confine fra terra e acqua: gli splendidi coralli vivi e colorati delle barriere coralline di tipo marginale (fringing reef) forniscono una maggiore protezione delle sole praterie marine; le praterie marine nelle barriere coralline offshore sono più efficaci dei soli coralli vivi. Pertanto, in un progetto di tutela e strategia per rafforzare gli ecosistemi costieri, è evidente l’importanza di adottare approcci integrati che valutino accuratamente le caratteristiche specifiche dei luoghi; non limitarsi a considerare solamente lo sviluppo di un unico habitat per proteggere solo le regioni costiere contro specifiche condizioni forzate, bensì valorizzare il potenziale di tutti gli habitat presenti sull’intero paesaggio marino.

Le barriere coralline e le zone umide non solamente riducono l’impatto degli tsunami, delle ondate e delle tempeste (eventi estremi), bensì moderano le onde del vento e quindi riducono l’erosione cronica del litorale, promuovono accrescimento dunale e creano condizioni favorevoli alla riproduzione delle zone umide.

Riassumendo i principali habitat costieri caratteristici troviamo dunque: mangrovie, paludi e praterie marine.

Le praterie marine

Nel Mediterraneo, la più classica prateria marina è costituita dalla Posidonia oceanica (nell’immagine), la pianta preziosa che ricopre molti fondali, offrendo nutrimento e protezione a pesci e invertebrati. Tramite la sua struttura fisica, svolge una funzione cruciale nella stabilizzazione dei fondali e nella difesa dei litoranei sabbiosi dai fenomeni erosivi; le lunghe foglie delle praterie, fluttuando nell’acqua, attenuano l’energia del moto ondoso che raggiunge indebolito le spiagge.

La complessa struttura della matte (l’agglomerato di parti morte ancorate al fondale sabbioso) intrappola il sedimento, ne impedisce la dispersione da parte delle onde e delle correnti; i fondali diventano meno profondi e le onde si infrangono più lontano dalla costa, con conseguente minore erosione durante le mareggiate. I depositi di egagropili (le palline sferiche od ovali di colore marrone chiaro e di consistenza feltrosa che troviamo nelle zone dunali) creano rugosità sulla superficie delle dune, e favoriscono l’attecchimento di piante costiere, contrastando l’asporto della sabbia da parte del vento.

Le banquette di foglie morte che si accumulano lungo le spiagge proteggono la sabbia sottostante dalle mareggiate invernali, limitando l’erosione costiera. Se conoscessimo tutti questi benefici, non ci lamenteremmo troppo della cosiddetta «sporcizia» (residui vegetali) che troviamo sul bagnasciuga delle coste del Mediterraneo durante le nostre vacanze.

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