Manca coraggio

Durante la sessione primaverile del Parlamento, che si è conclusa il 15 marzo, è emerso il tema del (non) rispetto delle iniziative popolari approvate alle urne. L’iniziativa Giovani senza tabacco, ad esempio, ha visto la bocciatura della sua legge di applicazione e c’è chi appunto ha parlato di volontà popolare non rispettata. Lo stesso vale per un allentamento della legge sulle abitazioni secondarie (votata nel 2012), approvato in via definitiva dagli Stati…

Che ne è quindi della nostra democrazia diretta? Abbiamo rivolto la domanda ad Andrea Pilotti, docente e ricercatore all’Istituto di studi politici dell’Università di Losanna. «L’interrogativo è legittimo ed è vero che talune scelte sono difficilmente comprensibili», osserva. «Un aspetto che accomuna le iniziative citate (abitazioni secondarie e giovani senza tabacco) è riconducibile al fatto che, al momento della loro approvazione, la situazione congiunturale e la sensibilità politica generale sui temi in questione erano diverse. Oggi il contesto e i rapporti di forza al Parlamento sono molto meno favorevoli per le istanze difese dai due testi. Questo può spiegare decisioni che suscitano diverse critiche».

Pilotti è coautore, insieme a Oscar Mazzoleni, di «Eppur si muove. La politica elvetica cambia per restare sé stessa», apparso sulla rivista italiana di geopolitica «Limes» (dicembre 2023). Il saggio sottolineava il carattere di stabilità del sistema politico elvetico, con istituzioni e funzionamento quasi invariati da oltre un secolo e mezzo (si pensi, ad esempio, a ruolo e composizione del Consiglio federale, come pure al federalismo e all’ampia democrazia referendaria). «Fin troppo prevedibile per il discorso comune ma sicuramente efficace», dice Pilotti, citando lo scrittore italo-svizzero Giuliano Da Empoli che provoca: «Più è noioso, meglio funziona»… «Diversamente dalle altre Nazioni del Continente la Svizzera non ha subito cesure istituzionali di rilievo o svolte costituzionali nel Novecento. Dal 1848 – anno della prima Costituzione federale – i membri del Governo non sono quasi mai stati sfiduciati (dal 1946 ad oggi si contano 66 ministri, tra questi solo 2 non sono stati rieletti pur ripresentandosi per un nuovo mandato). E il Parlamento non ha vissuto alcuna riforma significativa, salvo l’introduzione del proporzionale per l’elezione del Consiglio nazionale nel 1918 e del suffragio femminile nel 1971» (in Europa solo il Liechtenstein arriva dopo, nel 1984; leggi il saggio di Brigitte Studer La conquista di un diritto. Il suffragio femminile in Svizzera, Dadò Editore, 2021).

In ogni caso stabilità non significa immutabilità, sottolinea Pilotti: negli ultimi decenni si sono verificati cambiamenti soprattutto in risposta al processo di integrazione europea che ha coinvolto il nostro Paese, sebbene non sia membro dell’Unione. Paese che più di tutti ha implicato l’elettorato nel decidere le sorti di questo legame ambivalente. «L’incontro-scontro con l’UE ha modificato anche i rapporti di forza a livello partitico. Prima le elezioni nazionali erano caratterizzate da una certa prevedibilità. Dominavano i tre partiti storici – socialisti, liberali e popolari democratici – con leggere variazioni. Poi è arrivata la “nuova” UDC di Christoph Blocher, l’ex partito agrario, che si è imposta come prima forza politica – scardinando la consuetudine – proprio profilandosi nelle questioni dei rapporti con l’UE». Il sistema si è smosso, continua l’esperto. Assistiamo a talune forme, seppure contenute, di «americanizzazione» delle campagne elettorali, diventate altresì più costose e in un certo senso permanenti. I partiti, con lo strumento referendario, «martellano» sui temi tutto l’anno, non solo in occasione delle elezioni. Si sono inoltre diffusi una crescente personalizzazione, un linguaggio nuovo e delle rappresentazioni talvolta a tinte forti degli avversari politici, basate su strategie che tendono a evidenziare gli aspetti negativi di questi ultimi (negative campaigning).

Un altro fattore che, negli ultimi anni, ha scardinato molte delle nostre certezze e ha dato uno scossone al sistema politico è stata la pandemia. «Il Covid – osserva Pilotti – è stato una sorta di stress test per le istituzioni politiche svizzere e per il federalismo. Dal 2020 si è infatti verificata un’accelerazione del processo di accentramento del potere decisionale a favore del Consiglio federale (già in atto da qualche tempo). In ogni caso diversi specialisti sono concordi nell’affermare che le istituzioni sono riuscite a reggere piuttosto bene, tenendo anche testa a forme di contestazione sorprendenti per il contesto elvetico (No vax). L’UDC, in particolare, ha saputo inglobare una parte della fetta di elettori critici e, di fondo, la fiducia nelle istituzioni è rimasta salda». Alcune prove? Nel giugno 2023 la maggioranza dei votanti ha deciso di accettare, per la terza volta, la legge Covid-19 e, a inizio marzo 2024, dalle urne del Canton Berna è emerso un chiaro sì all’introduzione di una procedura legislativa che dà a Governo e Parlamento la possibilità di proporre misure urgenti da mettere in pratica prima del voto popolare.

Dunque il nostro sistema politico è «affidabile» e regge anche in situazioni di crisi, ma quali sono i suoi punti deboli? Risponde l’intervistato: «Si è sempre detto della forza del federalismo elvetico, del ruolo di laboratorio politico dei Cantoni… Ma il federalismo ha talune volte frenato e ancora frena l’adozione di riforme di carattere economico e sociale necessarie di fronte a questioni urgenti (pensiamo ad esempio alla disparità di genere sul piano salariale, ai limiti del sistema di cassa malati ecc.). La reticenza a introdurre cambiamenti a livello federale, prima di averli a lungo sperimentati a livello cantonale, può rappresentare una debolezza in un contesto di rapide trasformazioni socioeconomiche. In talune occasioni ci vorrebbe forse più coraggio da parte di autorità federali e cantonali per rispondere in tempi adeguati alle sfide che ci attendono».

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