I maiali salgono al potere

Quando un Teatro d’opera crede profondamente nella propria produzione di un lavoro contemporaneo, anche se dedicato alla generale violenza politica dal secolo scorso fino ai nostri giorni, comprendiamo il coraggio di aver voluto esporre in gran parte della città, Vienna (come nella foto), il suo grande manifesto che recita: «Die Schweine erringen die Macht und du schaust zu» («I maiali conquistano il potere e tu stai a guardare»).

L’impegno profuso lo ritroviamo nel voluminoso programma che prolunga la storia di Animal Farm, scritta negli anni 40 da George Orwell, fino alla recente morte di Navalny con uno scritto dal titolo esplicito, La trappola di Putin. E il 28 febbraio abbiamo assistito alla prima di quest’opera al Teatro dell’Opera di Stato di Vienna, scritta recentemente dal compositore russo Alexander Raskatov.

Commissionata dall’Opera di Amsterdam, dalla stessa Wiener Staatsoper e dal Teatro Massimo di Palermo, Animal Farmdopo il grande successo viennese con il tutto esaurito, proseguirà il suo viaggio oltre questi Teatri verso altre tappe europee, compresa Helsinki.

«La mia opera è rimasta attualissima; la storia delle dittature prosegue, basti pensare alle guerre in corso. D’altronde ho scelto proprio il romanzo di George Orwell perché troviamo una previsione verso un futuro simile che siamo di nuovo obbligati a subire»

Lo stile musicale di quest’opera proviene senza dubbio dai fondamenti storici della musica contemporanea e non da una struttura compiacente, come spesso avviene, per facilitarne l’ascolto mentre l’argomento scelto è stato tratto da uno dei libri più polemici sia sullo stalinismo che sui meccanismi delle dittature in genere.

Abbiamo incontrato il compositore Alexander Raskatov, nel Teatro, il giorno dopo la prima e gli abbiamo chiesto quale fosse il significato della sua opera, in seguito alle novità della situazione politica di oggi: «Certamente la mia opera è rimasta attualissima; la storia delle dittature prosegue, basti pensare alle guerre in corso. D’altronde ho scelto proprio il romanzo di George Orwell, Animal Farm, perché già lì troviamo un’apertura, una previsione verso un futuro simile che siamo di nuovo obbligati a subire».

L’incontro ci ha permesso di entrare in contatto con lo stato d’animo del compositore e di capire se ci sono stati nell’opera dei momenti da rivedere, modificare, come è avvenuto per molte altre opere nella storia. «Mi sembra tutto essenzialmente giusto; per ora non ho intenzione di modificare nulla – ha detto Raskatov – anche perché questo era già avvenuto dopo la prima ad Amsterdam. Allora avevo eliminato una trentina di secondi perché mi sembrava un momento ripetitivo, di poca importanza, quindi inutile e che appesantiva il discorso». Questa scelta del compositore – che si esplicita anche in Animal Farm – è molto significativa per il suo modo di comporre. Vi abbiamo riscontrato un’attenzione sempre presente per la sintesi del discorso musicale e questo per tutte le due ore della rappresentazione.

Il valore delle idee musicali è stato arricchito inoltre dalla precisione e dall’originalità dei timbri scelti che hanno portato colori inusuali in mezzo a strutture poliritmiche. Particolare – come sottolinea anche il compositore – è stato il tessuto musicale spesso suddiviso tra coro e orchestra: «Il coro sembra possedere le qualità di una seconda orchestra». L’orchestra d’altronde non ha occupato solo l’abituale spazio della «fossa» ma anche gli spazi laterali sotto i palchi per inserirvi percussioni e timpani da una parte e strumenti a pizzico dall’altra che il compositore ha sfruttato per creare mondi timbrici sorprendenti.

La vocalità delle voci è pure portata in luoghi limitrofi, vicino a sonorità animalesche, comunque sempre rispettando i confini per evitare facili imitazioni e scivolare nel mondo del kitsch. Nonostante l’aspetto corale sia sostenuto, cantano molte voci soliste, e cosa rarissima, il numero è più di 20, che si immedesimano in personaggi e animali, ciascuno dai caratteri precisi.

Si tratta insomma di una musica forte e anche aggressiva che vuol seguire quel programma compositivo che Raskatov ha descritto nei tre concetti che iniziano con la «E»: Eccentricità, Esagerazione, Energia. In questo vanno inseriti anche i momenti sognanti pieni di ironia sarcastica.

Il compositore, dopo la nostra osservazione che la regia di Damiano Michieletto aveva modificato l’ambientazione originale di Orwell, da una fattoria in una macelleria, ci ha confidato che «nonostante questo cambiamento avrebbe dovuto comportare una prospettiva narrativa diversa, la musica è rimasta la stessa di quella scritta due anni prima della messa in scena». La macelleria indica fin dall’inizio un percorso stabilito che porta gli animali – rinchiusi nelle gabbie di metallo che vengono scosse e fatte risuonare – verso la morte.

I tentativi di rivolta avvengono sotto la grande scritta luminosa introdotta dall’esterno verso il palcoscenico: «Tutti gli animali sono uguali», sulla quale si sono creati i 7 comandamenti per distinguersi dagli umani. L’elencazione periodica delle regole porta un certo ordine musicale nello svolgimento della rivoluzione, che progressivamente viene edulcorata e diventa: «Tutti gli animali sono uguali ma alcuni più uguali di altri».

Altro aspetto importante presente nell’opera è quello dell’eterogeneità del discorso musicale che può deviare anche in generi diversi. Queste deviazioni sono pensate dal compositore come elementi per uno stile personale che devono toccare il proprio vissuto, la propria cultura. Per Alexander Raskatov significa accennare a sonorità della sua amata Patria, la Russia, che sono toccate con delicatezza.

Dobbiamo dire che il direttore d’orchestra inglese Alexander Soddy è riuscito mirabilmente a coordinare tutte le parti di un complessivo di più di 100 tra musicisti, coro, solisti, danzatori, artisti, e che il regista Damiano Micheletto ha provocato ricchi movimenti scenici di masse ordinate o creativamente disordinate ad arte.

Dei bravissimi solisti vocali citiamo solo il grande basso russo, Gennady Bezzubenko, noto in tutto il mondo per la sua presenza al Teatro Marinski di San Pietroburgo, e Elena Vassilieva, soprano virtuosistico, moglie del compositore, nella parte di Blackey.

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