Il 2024 per la Francia è un anno a cinque cerchi, all’insegna delle celebrazioni dei Giochi olimpici. Se nel corso dell’estate Parigi ospiterà le Olimpiadi estive – esattamente un secolo dopo quelle che organizzò per la prima volta nel 1924 – la lunga rincorsa verso la cerimonia di apertura di quei Giochi, prevista il 26 luglio, è partita dalla celebrazione di un altro grande, storico evento olimpico: il centenario dell’Olimpiade invernale, che si svolse nel 1924 a Chamonix. Curiosamente, quell’Olimpiade non sapeva nemmeno di essere tale, dato che inizialmente fu battezzata semplicemente come «Settimana internazionale degli sport invernali».
Quel primo passo di un percorso secolare ebbe un’importanza straordinaria, che all’epoca nessuno poteva immaginare, e contribuì a sviluppare e pian piano a democratizzare una forma di turismo, quello legato agli sport invernali, che nel tempo ha assunto proporzioni gigantesche, dando vita a produzioni industriali inimmaginabili, alla creazione del materiale e dell’abbigliamento invernale, trasformando e in qualche caso purtroppo trasfigurando il panorama alpino.
Lo sci alpino non c’è ancora
Bastano un paio di considerazioni per capire. La prima legata all’ideatore delle Olimpiadi moderne, il barone Pierre de Coubertin, inizialmente contrario all’organizzazione di un’Olimpiade invernale perché considerava gli sport praticati «giochi snob per i ricchi», poco apprezzati dal grande pubblico. La seconda chiama invece in causa lo sci alpino, divenuta la disciplina più praticata tra quelle invernali, ma addirittura assente dal programma dei primi giochi bianchi.
Com’era possibile? Semplicemente perché lo sci alpino allora era una disciplina per così dire in una fase di sviluppo embrionale, praticato davvero da pochi ricchi snob e da qualche stella dello spettacolo, soprattutto inglesi. Le regole delle sue competizioni erano ancora lungi dall’essere codificate: lo sarebbero state solo nel 1929, consentendo allo sci di entrare a far parte del panorama olimpico con l’edizione di Garmisch nel 1936.
La contrarietà dei Paesi scandinavi
Ma torniamo alla nascita dell’Olimpiade invernale. Mentre il pattinaggio e l’hockey su ghiaccio avevano già trovato posto nel programma delle prime edizioni dei Giochi (a Londra nel 1908 e ad Anversa nel 1920), l’idea di un’edizione tutta consacrata agli sport invernali stentava ad attecchire non solo per la scarsa convinzione del Barone, ma per il categorico rifiuto dei rappresentanti dei Paesi scandinavi, i quali organizzavano i Nordiska spelen, i Giochi nordici, e temevano la concorrenza dell’Olimpiade. Timore giustificato, giacché dopo il 1926 quelle competizioni non vennero più disputate.
Ciò detto, nel 1921, al settimo congresso del CIO, si decise di fare una versione invernale delle Olimpiadi, con una proposta supportata dai Paesi dell’arco alpino e osteggiata da quelli scandinavi. Ne scaturì un compromesso, nel senso che quelle competizioni, pur associate alle Olimpiadi (organizzate a Parigi) si sarebbero chiamate soltanto «Settimana degli sport invernali». Vennero attribuite all’allora piccola stazione di Chamonix, che le organizzò dal 25 gennaio al 4 febbraio accogliendo 16 nazioni, 258 partecipanti dei quali solo 13 ragazze, e mettendo in programma 14 competizioni. Due anni più tardi, nel 1926 a Lisbona, il CIO decide che la «Settimana internazionale degli sport invernali» fosse da considerarsi la prima edizione di sempre delle Olimpiadi invernali.
La rivolta delle donne
Abbiamo detto che alla prima edizione invernale dei Giochi parteciparono soltanto 13 ragazze. Erano tutte pattinatrici e secondo quanto riferisce il libro Storia delle Olimpiadi invernali scritto da Vincenzo Jacomuzzi, Giorgio e Paolo Valenti (SEI Edizioni, Torino) queste atlete erano destinate soltanto a prendere parte alle competizioni in coppia, cosa che non accettarono, mandando in scena la prima grande protesta degli atleti ai Giochi e obbligando i dirigenti del CIO e gli organizzatori a programmare anche una gara individuale femminile. La gara fu vinta dall’austriaca ventiquattrenne Herma von Planck-Szabo, la prima medagliata donna di un’Olimpiade invernale.
Tutti gli occhi del pubblico però furono per una ragazzina norvegese che non aveva ancora compiuto i 12 anni e si chiamava Sonja Henie: le fu permesso di portare un gonnellino corto (mentre le altre concorrenti dovevano portare un abbigliamento più castigato e da signora), si classificò ultima, ma dimostrò un talento immenso, che negli anni seguenti le consentirà di vincere a mani basse titoli olimpici e mondiali e di rivoluzionare per sempre il pattinaggio artistico, coniugando ciò che non sembrava possibile fino ad allora, sport e danza. Perché sul ghiaccio, disse, «io voglio ballare come Fred Astair».
La Henie dopo un’esibizione al Madison Square Garden di New York nel 1930 fu ingaggiata con un sontuoso contratto a Hollywood e finì per recitare con celebri attori come Tyrone Power, John Payne e Cesar Romero. Insomma, l’avete capito: dallo sport era nata una stella del cinema, che in seguito divenne anche abile imprenditrice e appassionata di arte, tanto che tornò a Oslo per fondare col marito un centro culturale che esiste ancora oggi (Henie Onstad Kunstsenter).
Nel 1928 tocca a St. Moritz
La Svizzera non ci mette molto a capire la popolarità che un evento come l’Olimpiade invernale procura alla località organizzatrice e per il 1928 presenta ben tre candidature: quella di Saint Moritz, Davos ed Engelberg.
A spuntarla fu la località engadinese, preferita dal Congresso del CIO che la votò il 6 maggio 1926 a Lisbona perché la cittadina grigionese già allora era famosa in tutta Europa per il turismo invernale che stava sviluppandosi e per l’esistenza di una pista di bob e skeleton, la Cresta Run, che ospitava regolarmente gare internazionali.
Gli engadinesi fecero le cose per bene, l’organizzazione funzionò perfettamente nonostante le bizze del tempo e in particolare la presenza del favonio che provocò un sensibile aumento delle temperature mettendo a rischio diverse gare.
La Confederazione stanziò un credito in favore dei Giochi: 100mila franchi, 40mila dei quali per gli organizzatori, 60mila per le spedizioni olimpiche rossocrociate, sia invernale, sia estiva.
A St. Moritz il numero delle nazioni partecipanti lievita a 28 e per la prima volta partecipa all’Olimpiade anche il Giappone. Raddoppiano le donne presenti rispetto a Chamonix (26) mentre in totale si contano 464 atleti.
Agli organizzatori viene proposto di accogliere ben 800 accompagnatori ufficiali, ciò che avrebbe creato numerosi problemi di alloggio: alla fine ne arriveranno 600 e l’inviato de «Il Dovere» che riferisce della manifestazione scriverà che a Saint Moritz «tutto è occupato, quasi più nessun letto. San Moritz è una babilonia di lingue, di divise, di distintivi, un reggimento di delegati e un esercito di fotografi. Si vive in un ambiente anormale, ognuno s’improvvisa critico sportivo, ex-campione, cala lezioni a destra e a manca».
Il primo atleta ticineseai Giochi invernali
Alla seconda edizione dell’Olimpiade bianca troviamo anche il primo atleta ticinese che riesce a qualificarsi per i giochi invernali: è il fondista airolese Carlo Gourlauen, che Tajo Eusebio, giornalista dell’epoca, così descrive in un articolo pubblicato su «Illustrazione Ticinese» del 1944: «È il più forte campione del San Gottardo, un atleta di classe veramente internazionale. Carlo è il fondista per eccellenza, l’atleta di razza che piace e conquista il conoscitore. È lo stilista che può dominare qualunque ostacolo: c’è sì la forza, la resistenza, ma c’è in più il tocco fine dell’artista, che aggrazia il movimento, che fa dimenticare l’espressione di forza e avvince».
L’airolese è molto forte sulle distanze corte, ma inspiegabilmente alle Olimpiadi viene allineato nella gara più lunga, la 50 km. Il suo fisico non è adatto alla corsa di resistenza, la competizione è dominata dagli svedesi, Gourlauen si classifica al 22° posto e torna a casa con qualche rammarico.
Nell’articolo già citato, Tajo Eusebio si spinge sino ad affermare che se Gourlauen quel giorno a St. Moritz avesse corso sulla sua distanza preferita «siamo certi che ci avrebbe dato la più grande vittoria della sua carriera».
A vent’anni dalla prima Olimpiade, Saint Moritz nel 1948 ne organizzerà una seconda, a poca distanza dalla fine della tragica Seconda Guerra mondiale. La scelta della Svizzera non fu casuale: neutrale e non belligerante, il nostro Paese non doveva affrontare una ricostruzione dopo l’evento bellico e anche da un punto di vista politico la decisione apparve opportuna.
Le Olimpiadi invernali proseguirono ogni quattro anni, negli stessi anni di quelle estive, fino al 1992, quando tornarono per la terza volta in Francia, ad Albertville, poi il CIO dal 1994 (Olimpiadi invernali di Lillehammer, in Norvegia) decise di alternarle con quelle estive a cadenza biennale: si stava ormai entrando nello sport business ed era necessario catturare la massima attenzione da parte delle televisioni di tutto il mondo.