Il gioco del mondo visto dall’alto

by Claudia

Colpo critico ◆ Quando si gioca a Carcassonne, posando una tessera dopo l’altra, si ha l’impressione di compiere azioni simboliche, che danno forma alla varietà del pianeta. In «Micromacro: Crime City» bisogna invece risolvere un mistero

Qualche mese fa ho trovato me stesso in un dipinto di Jan Brueghel il Vecchio. L’opera s’intitola Il grande mercato del pesce. Si trova a Monaco, nella Alte Pinakothek, e ritrae un porto di mare: persone che vendono, comprano, caricano e scaricano casse di pesce. Io ero lì, in mezzo alla folla, con in mano un taccuino.

Il personaggio ha un grosso naso, una barba rossiccia, indossa un cappello, una maglia verde e un manto grigio. Non mi assomiglia molto, a dire il vero, tranne per la cura con cui annota qualcosa nel taccuino. Probabilmente sta conteggiando dei pesci, vista la circostanza. Tuttavia mi piace pensare che non sia guidato soltanto da uno spirito commerciale: l’azione di scrivere un dettaglio, strappandolo al fluire del tempo, implica un significato che va oltre la contabilità. Nel molteplice caos del mercato quell’uomo presta attenzione a una cosa, a una piccola cosa – il numero dei pesci – e con il suo gesto cerca, sia pure involontariamente, un’armonia con il mondo: l’atto di prestare attenzione non è mai banale.

Ero nella pinacoteca e, nello stesso momento, ero nel cuore di un mercato ittico del 1603: l’immedesimazione è uno dei prodigi dell’arte, così come la facoltà di guardare la vita dall’alto. Per questo ogni volta che gioco a Carcassonne, posando una tessera dopo l’altra, mi sembra di compiere azioni simboliche, che danno forma alla varietà del mondo. Creato da Klaus-Jürgen Wrede, Carcassonne (Hans im Glück 2000) è un classico: i giocatori si sfidano nella costruzione di un ampio paesaggio medievale, accostando tessere che rappresentano strade, campi, monasteri e pezzi di città, chiusi da mura che ricordano quelle dell’omonimo comune francese. È un ottimo punto di partenza per scoprire il gioco da tavolo moderno; infatti dall’edizione base è derivata una lunga serie di espansioni.

Carcassonne seduce con l’ambiguità fra il comporre tutti insieme una mappa, mettendo ordine nel caos, e il cercare di accaparrarsi le posizioni migliori. Nel suo miscelare fortuna e opportunismo, piace anche ai giocatori inesperti. Il meccanismo è semplice: pesco una tessera e la poso dove mi pare opportuno; se voglio, posso appoggiare una pedina sopra la tessera. Se a fine partita le mie pedine si trovano in una città chiusa da mura, in una strada con un inizio e una fine oppure in un monastero circondato dai campi, posso segnare dei punti.

In genere per definire le «pedine» di legno, si usa il termine inglese«meeple», che è una contrazione delle parole «my» e «people». Ufficialmente, la parola venne inventata il 25 novembre 2000, durante una partita a Carcassonne nella regione di Boston. Il gioco non era ancora uscito negli Stati Uniti, ma qualcuno aveva portato una copia dalla Germania. Fu proprio in quell’occasione che una certa Alison Hensel chiamò «meeple» i piccoli «ometti» che le regole del gioco definivano «Gefolgsleute» («seguaci»). Quando uscì la traduzione inglese, il termine era tradotto con «henchman» («scagnozzo»), ma presto in tutto il mondo i giocatori presero a dire «meeple», e lo dicono ancora oggi.

Se Carcassonne rappresenta l’ampiezza del mondo, il gioco che più mi ricorda Brueghel è Micromacro: Crime City, di Johannes Sich (Spielwiese 2020). Nella scatola si trovano la vasta mappa di una città (75×110 cm) e sedici casi da risolvere. Seguendo una serie di domande, i giocatori dovranno collaborare per svelare un mistero. Come capire ciò che è veramente accaduto? Sulla mappa c’è tutto: in un bruegheliano proliferare di personaggi e di piccole scene, le storie prendono vita. Si sovrappongono tempi diversi: in una parte della città scorgo per esempio due individui che litigano; in un’altra, uno dei due uccide l’altro; un po’ più in là l’omicida si libera dell’arma; in un quartiere periferico lo stesso noleggia un’automobile per fuggire, eccetera. Le vicende sono semplici, ma bisogna essere attenti per rintracciare le azioni, comprese quelle all’apparenza insignificanti. I personaggi hanno l’aspetto di animali antropomorfi, il che toglie crudezza ai delitti. Infatti è un gioco che piace molto pure ai bambini, i quali soccorrono gli adulti con l’acutezza del loro sguardo.

Davanti a un quadro di Brueghel mi piace immaginare le storie delle decine e decine di persone ritratte. Allo stesso modo, Micromacro: Crime City mi conduce dentro una città, in una miriade di incontri, di particolari, di azioni più o meno sconcertanti. Come le opere d’arte, anche i giochi sono specchi che ritraggono un frammento di mondo, in tutta la sua meravigliosa indecifrabilità.

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